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— Due giorni circa.

Mi sfuggì un lamento, e Dak scoppiò a ridere. — La smetta di frignare, marmocchio! La prima volta che andai su Marte impiegai trentasette settimane, tutte in caduta libera su un’orbita ellittica. Lei invece viaggia sulla rotta più comoda, sotto 2 miserabili g per un paio di giorni… e poi ci sarà un periodo a un solo g a metà viaggio per voltare la nave, se le interessa. Dovremmo farle pagare un supplemento sul biglietto!

Stavo per dirgli cosa pensavo di lui e del suo umorismo, con le più feroci battute da caserma, quando mi ricordai che era presente una signora. Mio padre mi diceva sempre che una donna è disposta a perdonare qualsiasi azione, ivi compresi gli approcci con violenza, ma le parole sconvenienti la urtano. La più gentile metà del genere umano dà molto valore ai simboli verbali… cosa piuttosto strana, dato il suo estremo senso pratico. Comunque sia, non mi sono mai lasciato sfuggire una parola meno che conveniente in presenza di una signora, dal giorno in cui il dorso della mano di mio padre mi era calato duramente sulla bocca. Mio padre avrebbe potuto dare dei punti al professor Pavlov, in fatto di condizionamento dei riflessi.

— Penny! — stava dicendo intanto Dak. — Ci sei anche tu, piccola impertinente?

— Sì, capitano — rispose la giovane donna che era in cabina con me.

— Va bene, allora comincia a fargli un po’ di doposcuola. Io scenderò appena questa trappola sarà sulla rotta.

— Benissimo, capitano. — La ragazza voltò la testa verso di me e mi disse con bellissima voce di contralto, tutt’al più un po’ fioca: — Il professor Capek le consiglia di cercare di rilassarsi, e di limitarsi a osservare i nastri per qualche ora. Io posso rispondere alle sue eventuali domande.

— Grazie a Dio — sospirai — finalmente ho trovato qualcuno disposto a rispondere alle mie domande!

Non rispose ma, non senza difficoltà, sollevò un braccio per girare un interruttore. Le luci si spensero, e davanti ai miei occhi si materializzò un’immagine tridimensionale. Riconobbi subito la figura che stava al centro della scena… così come l’avrebbero riconosciuta i miliardi di cittadini dell’Impero… e finalmente capii fino a che punto, spietatamente, mi avesse ingannato Dak Broadbent.

Era Bonforte.

Proprio lui, Bonforte… l’Onorevolissimo John Joseph Bonforte, ex Primo Ministro, capo dell’opposizione di Sua Maestà l’Imperatore, leader della Coalizione espansionista: l’uomo più amato (e più odiato!) di tutto il Sistema Solare.

La mia mente attonita fece un prodigioso balzo immaginario, e giunse a quella che sembrava la conclusione ovvia. Bonforte era sopravvissuto a tre attentati almeno, o così ci volevano far credere i giornalisti. Due volte su tre era riuscito a salvarsi per miracolo. E se invece non ci fosse stato nessun miracolo? E se gli attentatori avessero sempre colto nel segno ma il caro John Bonforte, con la sua aria da vecchio zio affettuoso, non fosse mai stato sul luogo dell’attentato?

A far come lui, si può consumare un mucchio d’attori.

3

Non mi ero mai immischiato nella politica. Mio padre mi aveva messo in guardia sovente dicendo: — Non intrometterti, Lorenzo — e il suo tono era oltremodo solenne. — La pubblicità che ne trarresti sarebbe negativa, di quella che ai bifolchi non garba. — Non avevo mai votato, neppure dopo che l’emendamento del ’98 aveva reso facile per la popolazione priva di residenza fissa (tra la quale sono compresi quasi tutti i membri della mia professione) l’esercizio del diritto di voto.

Comunque, posto che avessi mai avuto delle inclinazioni politiche, queste non si erano mai rivolte verso Bonforte. Lo consideravo un uomo pericoloso, probabilmente un traditore dell’umanità. A dir poco, l’idea di far da bersaglio e di venire ucciso al posto suo mi riusciva… come potrei dire?… piuttosto sgradevole.

Però… che parte!

Avevo recitato una volta da protagonista nell’Aiglon, e avevo anche impersonato Cesare nelle uniche due tragedie degne del suo nome. Ma recitare un simile ruolo dal vivo… be’, è sufficiente a far comprendere cosa sia andare alla ghigliottina al posto di un altro… solo per la possibilità di recitare, anche per pochi istanti, la parte che esige il sacrificio supremo, e così creare il capolavoro perfetto, insuperabile.

Mi chiesi chi potessero essere i miei colleghi che non erano stati capaci di resistere alla tentazione, le altre volte. Erano dei veri artisti, non c’è dubbio, anche se l’anonimato era l’unica testimonianza della riuscita dell’interpretazione. Mi sforzai di ricordare la data esatta degli attentati contro Bonforte, e quali colleghi, tra coloro che avrebbero potuto prendere il suo posto, erano morti o erano scomparsi dalla circolazione nello stesso periodo. Ma non servì a nulla. Oltre a non essere certo dei dettagli della recente situazione politica, c’era il solito fatto che gli attori ti scompaiono continuamente di torno, con una frequenza desolante. È una professione incerta, anche per i migliori.

Mi accorsi che stavo studiando attentamente la sostituzione.

Compresi subito che potevo recitarla senza difficoltà. Diavolo, mi sentivo di poterla fare anche in un incendio, con le gambe legate e con già l’odore del fumo proveniente dagli scenari. In primo luogo, non c’era nessun problema per quanto riguardasse il fisico: io e Bonforte avremmo potuto scambiarci gli abiti senza che facessero una grinza. Quei cospiratori da quattro soldi che mi avevano arruolato di forza avevano dato un’importanza eccessiva alla rassomiglianza fisica, perché essa non significa nulla se non c’è l’arte ad animarla… e non c’è bisogno di molta rassomiglianza se c’è un vero artista a sostenerla. Però debbo ammettere che un po’ di rassomiglianza aiuta, e il loro stupido giochetto con il computer dell’Aia li aveva portati (per puro caso) a scegliere un vero artista il quale, per di più, come struttura fisica sembrava il fratello gemello dell’uomo politico che doveva sostituire. Il profilo di Bonforte ricordava un po’ il mio; anche lui aveva mani lunghe e magre, aristocratiche come le mie… ed è molto più difficile imitare le mani che non i volti.

La sua andatura zoppicante, che si presumeva dovuta a uno degli attentati contro di lui… una bazzecola! Dopo qualche minuto d’osservazione, sentivo di poter scendere dalla cuccetta (a 1 g, beninteso) e imitare alla perfezione il suo modo di camminare, senza neanche bisogno di pensarci sopra. Quel suo vezzo di grattarsi il pomo d’Adamo e poi di passarsi le dita sul mento, quella smorfia quasi impercettibile che faceva quasi ogni volta che si accingeva a parlare… piccoli dettagli che non presentavano difficoltà e che vennero assorbiti istantaneamente dal mio subcosciente come la sabbia assorbe l’acqua.

Certo, aveva una quindicina o una ventina d’anni più di me, ma è più facile invecchiarsi che non ringiovanirsi. Comunque, l’età, per un attore, è unicamente una questione d’atteggiamento interiore, e non ha niente a che fare con l’avanzata regolare del catabolismo.

Entro i primi venti minuti d’osservazione mi sentivo in grado di poterlo imitare sul palcoscenico, o di leggere un discorso al posto suo. Però, da certi accenni, avevo idea che la mia interpretazione richiedesse qualcosa di più. Dak aveva suggerito che avrei dovuto ingannare gente che lo conosceva di persona, forse anche in colloqui a quattr’occhi. Questo era notevolmente più difficile. Per esempio: il caffè, lo prendeva con lo zucchero o senza? E se sì, quanti cucchiaini? Con che mano toglieva la sigaretta dal pacchetto e con che gesto la teneva mentre s’accendeva? Proprio mentre stavo chiedendomelo, ottenni la risposta e la imparai immediatamente a memoria: l’immagine che stava davanti a me prese la sigaretta in un certo modo caratteristico, e mi convinsi che doveva aver usato per anni i fiammiferi e le sigarette scassapolmoni di una volta, prima di arrendersi alla marcia del cosiddetto progresso.

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