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Stranamente, il secondo colpo suonò più acuto.

Khamisi girò su se stesso, ma si accorse di essere illeso.

Guardò in alto appena in tempo per vedere la donna cadere dal ponte, il petto devastato e insanguinato.

Una nuova sagoma comparve sul ponte.

Un uomo muscoloso con la testa rasata. Teneva puntata una pistola, con un braccio teso appoggiato sul moncherino dell’altro. Si sporse oltre il cavo d’acciaio e vide il ragazzo, ancora appeso sotto il ponte.

«Ryan…»

Il giovane singhiozzò di sollievo. «Mi porti via di qui.»

«È proprio quello che vorrei fare…» replicò l’uomo, che guardò Khamisi. «Sempre che il nostro amico laggiù conosca una via d’uscita. Io mi sono perso.»

ore 06.44

I due colpi d’arma da fuoco echeggiarono nella foresta.

Un piccolo stormo di pappagalli verdi si sollevò in volo, attraversando la radura con un gran fragore di ali e schiamazzi di protesta.

Gray si acquattò. Avevano trovato Monk?

Ischke doveva aver pensato la stessa cosa, perché si girò nella direzione da cui provenivano i colpi e fece un cenno alle guardie. «Andate a vedere.»

Fucili alla mano, le guardie si lanciarono lungo il percorso circolare verso il punto in cui si trovava Gray, che, colto di sorpresa, si lasciò cadere dal ponte. Di lì a pochi secondi sarebbe stato nella visuale della prima guardia. Tentò di aggrapparsi al cavo d’acciaio, come aveva già fatto prima, ma nella fretta perse l’equilibrio e riuscì a malapena ad afferrarlo con una mano. Dondolò e il fucile gli scivolò dalla spalla. Contorcendosi e allungandosi, riuscì ad arpionare la cinghia di cuoio con un dito. Fece un silenzioso sospiro di sollievo.

Subito dopo le guardie passarono sopra di lui, facendo dondolare e sobbalzare il ponte.

La cinghia del fucile gli sfuggì dalle dita e l’arma cadde, infilandosi tra gli arbusti. Gray afferrò il cavo anche con l’altra mano e rimase lì appeso. Per fortuna il fucile non aveva sparato, cadendo a terra.

L’eco dei passi delle guardie si disperse in lontananza.

Gray sentì Ischke parlare alla radio.

Che fare?

Aveva solo un coltello, mentre la donna aveva una pistola.

Aveva soltanto il vantaggio della sorpresa, che era quasi sempre sopravvalutato.

Muovendo una mano dopo l’altra, Gray raggiunse il percorso circolare. Continuò a spostarsi lungo il bordo esterno, sempre aggrappato al cavo di sostegno, fuori dalla visuale della Waalenberg. Doveva muoversi lentamente, per evitare di far oscillare il ponte e allertare Ischke. Coordinò i movimenti alle occasionali folate di vento che arruffavano le chiome degli alberi.

Ma la sua presenza non passò inosservata.

Fiona si accovacciò nella gabbia, mettendo tutte le sbarre possibili tra sé e Ischke. Evidentemente aveva capito ciò che la donna aveva detto in olandese: Uccidiamo la ragazza, subito! Anche se gli spari l’avevano momentaneamente distratta, prima o poi Ischke sarebbe tornata a occuparsi di lei.

Dalla posizione avvantaggiata in cui si trovava, Fiona vide Gray, un gorilla con la tuta bianca che dondolava sotto il ponte, seminascosto dalle fronde. Sobbalzò per la sorpresa e quasi si alzò, poi si costrinse a rimanere accovacciata. Lo seguì con lo sguardo e si scambiarono un’occhiata.

Nonostante la spavalderia che aveva dimostrato, Gray le lesse il terrore in volto. Sembrava molto più piccola, nella gabbia, con le braccia avvolte attorno al petto, come per proteggersi. Temprata dalla strada, la sua unica difesa contro il panico più completo era urlare insulti. Solo così era riuscita a non crollare, ma ci mancava poco.

Gli fece alcuni segnali, usando i movimenti del corpo. Spostò lo sguardo verso il basso e scosse leggermente il capo, gli occhi sgranati e pieni di paura, avvertendolo che lì sotto non sarebbe stato al sicuro.

Lui scrutò l’erba folta e gli arbusti nella radura. Non vide nulla tra le ombre fitte, ma si fidò del monito di Fiona: Non cadere.

In quel momento era più o meno a ore otto lungo la circonferenza. Ischke si trovava a ore dodici. Gray aveva ancora una certa distanza da percorrere, ma aveva le braccia stanche e le dita doloranti. Doveva accelerare. Le continue soste e ripartenze erano sfiancanti. Tuttavia, muovendosi più rapido temeva di attirare l’attenzione di Ischke.

Evidentemente se ne rese conto anche Fiona. Si alzò e cominciò a prendere a calci le sbarre un’altra volta, scuotendo la gabbia e facendola ondeggiare.

Quell’oscillazione consentì a Gray di aumentare il ritmo. Purtroppo, però, fece anche infuriare Ischke.

La donna mise via la radio e gridò a Fiona: «Basta con le tue stupidaggini, bambina!»

Aggrappata alle sbarre, Fiona continuò a sferrare calci.

Gray passò rapidamente a ore nove.

Ischke si spostò verso il corrimano interno, da dove avrebbe potuto vederlo. Per fortuna era concentrata su Fiona.

La donna estrasse un apparecchio dalla tasca del maglione, allungò l’antenna coi denti e lo indirizzò verso Fiona. «È ora che tu conosca Skuld, che prende il nome dalla dea norrena del destino.»

Premette un bottone.

Quasi direttamente sotto i piedi di Gray, qualcosa ululò di rabbia e di dolore, uscì dimenandosi dalle ombre della giungla ed entrò con passo furtivo nella radura. Era una delle iene mutanti. Doveva pesare almeno centocinquanta chili, tutti muscoli e denti. Emetteva un ringhio sommesso e aveva il pelo irto sulla schiena. Abbaiò e morse l’aria, annusando la gabbia e scoprendo i denti.

Gray si rese conto che per tutto quel tempo il mostro doveva averlo tenuto d’occhio da laggiù. Sospettava già che cosa sarebbe successo.

Accelerò, superando le ore dieci.

Godendosi il terrore della ragazzina e prolungando la crudeltà, Ischke gridò: «Skuld ha un chip nel cervello che ci consente di stimolare la sua sete di sangue».

Premette il bottone un’altra volta. La iena ululò e saltò verso la gabbia, scagliando in aria filamenti di bava, in preda a un’incontrollabile furia assassina.

Era così, dunque, che i Waalenberg controllavano i propri mostri: innesti radiocomandati.

Ancora una volta, avevano soggiogato la natura per i propri scopi.

«È tempo di saziare l’appetito della povera Skuld», ironizzò Ischke.

Gray non sarebbe mai arrivato in tempo, ma fece più presto che poté.

Ore undici.

Mancava così poco…

Ma era troppo tardi.

Ischke premette un altro bottone. Gray sentì un secco rumore metallico: guardò la botola che si apriva sotto i piedi di Fiona e la ragazza che cadeva verso la bestia famelica.

L’uomo stava per lasciarsi andare, per raggiungerla e proteggerla.

Ma Fiona aveva imparato dall’errore di Ryan. Era pronta. Mentre cadeva si aggrappò alle sbarre e rimase appesa. Skuld saltò, cercando di morderle le gambe. Fiona le sollevò e si tirò su con le braccia, così la bestia la mancò e ricadde tra gli arbusti, ululando per la frustrazione.

Arrampicandosi, Fiona si aggrappò all’esterno della gabbia come una scimmia ragno.

Ischke rideva, godendosi il macabro spettacolo. «Zeer goed, meisje. Che intraprendenza! Grootvader avrebbe potuto prendere in considerazione i tuoi geni per il suo repertorio. Ma purtroppo dovrai soddisfare Skuld.»

Ischke sollevò la pistola.

Gray si spostò sotto di lei, guardando attraverso le assi di legno.

«E ora finiamola…» borbottò la donna, in olandese.

Già, finiamola.

Gray si sollevò con le braccia e slanciò le gambe all’indietro, poi oscillò in avanti sino a portare le gambe sopra il ponte, come un ginnasta alla sbarra. Colpì Ischke al ventre, mentre la donna si sporgeva e puntava la pistola verso Fiona.

Mentre i talloni dell’uomo la colpivano, la pistola esplose un colpo.

Gray sentì il proiettile rimbalzare sul ferro.

Mancata.

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