Logan e Kat si sarebbero dati da fare per scoprire chi ci fosse dietro. Logan aveva già avviato indagini presso le autorità di Copenhagen. Non erano stati riferiti decessi al lunapark. A quanto sembrava, il corpo dell’assassino che avevano agganciato con l’ala dell’anatroccolo era scomparso. Perciò la loro fuga da Tivoli non aveva lasciato strascichi fra la gente strattonata, a parte qualche contusione e qualche graffio. Nessun ferito grave, tranne il carro della parata.
Gray guardò Monk che controllava le tasche dei jeans. «C’è ancora, l’anello?»
«Non c’era bisogno di rubare anche quello.»
Gray doveva riconoscere la destrezza di Fiona. «Allora, vuoi dirmi qualcosa di quel cofanetto per anelli?»
«Ti volevo fare una sorpresa…»
«Monk, non sapevo che mi volessi così bene.»
«Ma piantala! Intendevo che te lo volevo dire io, senza che la signorina Copperfield decidesse di tirarlo fuori dal cilindro.»
Gray si appoggiò allo schienale, guardando in faccia Monk, con le braccia conserte. «Perciò hai intenzione di chiederglielo. Non so… La signora Kat Kokkalis. Non acconsentirà mai.»
«Non credo neanche io. Questo dannato coso l’ho comprato due mesi fa. Non ho mai trovato il momento buono per chiederglielo.»
«Vuoi dire che non hai mai trovato il coraggio.»
«Be’, forse anche quello.»
Gray si sporse in avanti e diede un buffetto sul ginocchio dell’amico. «Ti ama, Monk. Smettila di preoccuparti.»
Lui sorrise come un ragazzino. Non gli donava molto, ma Gray riconobbe dallo sguardo di Monk quanto erano profondi i suoi sentimenti… accompagnati da una punta di paura. Monk si sfregò il punto in cui la protesi della mano si congiungeva col moncherino del polso. Nonostante la spavalderia che ostentava, era stato scosso profondamente dalla mutilazione dell’anno precedente. L’attenzione di Kat aveva contribuito alla sua guarigione molto più degli sforzi dei medici. Ma gli restava una vena profonda di insicurezza.
Monk aprì il cofanetto di velluto e guardò l’anello di fidanzamento da tre carati. «Forse avrei dovuto comprare un diamante più grande, soprattutto adesso.»
«Che vuoi dire?»
Monk lo guardò. Aveva una nuova espressione sul viso: una traballante speranza era il modo migliore di descriverla. «Kat è incinta.»
Gray si drizzò sul sedile, sorpreso. «Cosa? Come?»
«Penso che tu sappia come», rispose Monk.
«Cristo! Congratulazioni», farfugliò, mentre si riprendeva gradualmente. L’ultima frase suonò più come una domanda: «Voglio dire… lo tenete, il bambino».
Monk inarcò un sopracciglio.
«Naturalmente», disse Gray, scuotendo la testa per la sua stupidità.
«È ancora presto», replicò Monk. «Kat vuole che non lo sappia nessuno, ma ha detto che a te potevo dirlo.»
Gray annuì, dandosi tempo per assimilare la notizia. Cercò di immaginarsi Monk padre e fu sorpreso di quanto fosse facile. «Mio Dio, è fantastico.»
Monk chiuse il cofanetto. «E tu?»
Gray lo guardò perplesso. «Io cosa?»
«Tu e Sara. Che ha detto quando le hai raccontato delle tue avventure a Tivoli?»
La fronte di Gray si corrugò.
Monk sgranò gli occhi. «Gray…»
«Cosa?»
«Non l’hai ancora chiamata, vero?»
«Non pensavo…»
«È nei carabinieri. Perciò sai benissimo che verrebbe a sapere di qualsiasi potenziale attentato terroristico a Copenhagen. Soprattutto se c’era un pazzoide che urlava ‘bomba’ in un parco affollato e se ne andava in giro in un carro da parata. Non potrà fare a meno di pensare che ci sia in mezzo proprio tu.»
Monk aveva ragione. Avrebbe dovuto chiamarla subito.
«Grayson Pierce, che cosa devo fare con te?» Monk scosse la testa tristemente. «Quando lascerai in pace quella ragazza?»
«Di che stai parlando?»
«Sono felice che tu e Sara vi siate trovati, ma dove avete intenzione di andare?»
Gray s’innervosì. «Non che siano affari tuoi, ma era quello che avevamo intenzione di discutere, prima che scoppiasse l’inferno.»
«L’hai scampata.»
«Sai una cosa? Il fatto di avere in tasca da due mesi un anello di fidanzamento non ti fa diventare improvvisamente un esperto di relazioni.»
Monk alzò le mani. «Va bene, come non detto… Stavo soltanto dicendo…»
Gray non aveva intenzione di fargliela passare liscia. «Che cosa?»
«Tu non vuoi davvero una relazione.»
Quell’attacco frontale lo lasciò di stucco. «Di che cosa stai parlando? Sara e io ci siamo fatti in quattro per far funzionare questa cosa. Io amo Sara, lo sai bene.»
«Lo so. Non ho mai detto il contrario. È solo che tu non vuoi avere una vera relazione con lei.» Monk contò fino a tre con le dita: «Significa moglie, mutuo e figli».
Gray si limitò a scuotere la testa.
«Quello che stai facendo con Sara è goderti un primo appuntamento prolungato.»
Gray cercò di ribattere in qualche modo, ma Monk era andato troppo vicino al bersaglio. Gli venne in mente la goffaggine che doveva superare ogni volta che lui e Sara si rivedevano, quella barriera da sormontare prima di poter ristabilire un’intimità più profonda. Come a un primo appuntamento.
«Da quanto tempo ti conosco?» chiese Monk.
Gray cancellò la domanda con la mano.
«E in tutto questo tempo quante storie serie hai avuto?» Monk formò un grande zero con la mano. «E guarda chi vai a pescare per la tua prima relazione seria.»
«Sara è meravigliosa.»
«È vero. E trovo fantastico che tu ti stia finalmente aprendo. Ma, ragazzi, quando si dice mettere in piedi barriere invalicabili!»
«Quali barriere?»
«Che ne dici dell’oceano Atlantico, tanto per cominciare? Quello che sta tra te e una vera relazione.» Monk agitò tre dita davanti a lui.
Moglie, mutuo, figli.
«Non sei pronto», proseguì Monk. «Avresti dovuto vedere la tua faccia quando ho detto che Kat è incinta. Ti è venuta la cacarella, anche se il bambino è mio.»
Gray aveva il cuore in gola. Si accorse di respirare affannosamente. Come se si fosse preso un pugno nello stomaco.
Monk sospirò. «Hai qualche problemino, amico mio. Forse hai qualcosa da risolvere coi tuoi vecchi. Non so.»
Gray fu salvato dal suono dell’interfono.
«Siamo a circa trenta minuti dalla destinazione», riferì il pilota. «Tra poco cominceremo la discesa.»
Gray guardò fuori dal finestrino. Il sole stava sorgendo. «Provo a fare un altro pisolino. Finché non atterriamo.»
«Buona idea.»
Gray si voltò verso Monk. Aprì la bocca per rispondere in qualche modo alle sue parole, ma alla fine si limitò a dire la verità. «Io amo davvero Sara.»
Monk reclinò lo schienale della poltrona e si mise su un fianco con un grugnito. «Lo so. Per questo è così difficile.»
Riserva di Hluhluwe-Umfolozi,
ore 05.45
Khamisi Taylor sorseggiava il tè nel piccolo salotto. Per quanto fosse un’ottima infusione, addolcita col miele, non ne sentì neanche il sapore.
«E non c’è nessuna possibilità che Marcia sia ancora viva?» chiese Paula Kane.
Khamisi scosse la testa. Non cercava di eludere quella realtà. Non era il motivo per cui era andato lì, dopo la lavata di capo da parte del sovrintendente. Avrebbe voluto ritirarsi nella sua casetta ai margini della riserva, dove c’era una schiera di costruzioni basse, affittate ai guardacaccia. Si chiedeva per quanto ancora sarebbe potuto rimanere ad abitare lì, se la sospensione si trasformava in licenziamento.
Ma non era tornato direttamente a casa. Aveva attraversato in auto metà del parco, fino a un altro complesso di alloggi temporanei, una piccola enclave in cui risiedevano i ricercatori.
Khamisi era stato molte volte in quella casa coloniale bianca a due piani, coi suoi giganteschi e ombrosi alberi di acacia, col minuscolo giardino e col piccolo cortile in cui gironzolava qualche pollo. Sembrava che le due inquiline non rimanessero mai senza sovvenzioni. L’ultima volta che Khamisi ci era andato, era stato per festeggiare il decimo anniversario della permanenza delle due donne al parco. Ormai erano diventate un’istituzione, nella comunità scientifica di Hluhluwe-Umfolozi, un po’ come i cinque grandi animali da trofeo.