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Quanto di tutto questo era parte del piano degli insegnanti? Erano al corrente di avergli assegnato ragazzi oscuri ma eccellenti? Gli avevano gettato fra le braccia trenta novellini, molti dei quali sotto il limite d’età, perché sapevano quale rabbia repressa vi fosse nei pivelli invidiosi dei più grandi e bramosi di portarsi alla loro altezza? O questo era ciò che succedeva a ogni gruppo simile, se dato in mano a un comandante che sapeva cosa voleva da loro e come costringerli a impararlo?

Quegli interrogativi lo preoccupavano, perché non sapeva se stava confondendo le idee a degli insegnanti ostili oppure esaudendo le aspettative di insegnanti molto astuti.

Il solo elemento di cui era certo era la sua impazienza di battersi. Molte orde avevano bisogno di tre mesi per il solo fatto che dovevano memorizzare dozzine di elaborate tattiche. Be’, noi siamo già pronti. Mandateci in battaglia.

Nelle tenebre la porta si aprì silenziosamente. Ender tese gli orecchi: un passo soffocato. Il battente fu richiuso.

Rotolò fuori dal letto e si mosse lentamente verso il lato opposto della camera; ma soltanto due minuti dopo, quando avvertì la presenza di un foglio di carta sotto un piede, capì che non era entrato nessuno. Lo raccolse. Naturalmente non poté leggerlo, ma sapeva che genere di ordini conteneva. Battaglia. Ma quanto sono gentili. Esprimi un desiderio, e loro te lo realizzano all’istante.

Quando le luci si accesero Ender indossava già la tuta da battaglia dell’orda dei Draghi. Uscì subito in corridoio, e alle 0601 era alla porta della camerata della sua orda.

— Uomini, fra un’ora sapremo se stiamo qui dentro per suonare o per essere suonati. Abbiamo una battaglia contro l’orda delle Lepri alle sette in punto. Vi voglio scaldati a gravità normale e pronti a scendere in campo. Tutti nudi come vermi e dritti in palestra, con la tuta da battaglia sottobraccio. Ci vestiremo dopo la ginnastica. E la colazione?

— Non vogliamo che qualcuno si metta a vomitare in sala di battaglia, no?

C’era almeno il tempo di andare a fare un po’ d’acqua?

— Non più di un decilitro ciascuno, razza di perditempo!

I ragazzi risero. Quelli che non avevano l’abitudine di dormire nudi si spogliarono; tutti arrotolarono la tuta da battaglia e seguirono Ender di corsa lungo i corridoi fino in palestra. Li fece passare due volte sul percorso a ostacoli, quindi alla scala svedese e alle parallele, ma con tutta calma. — Non affaticatevi, andate in scioltezza, dovete soltanto scaldarvi — ordinò, ma non temeva che si stancassero. Erano in buona forma, agili e leggeri, e il suo repertorio di frasi salaci una volta tanto li eccitava. Alcuni cominciarono spontaneamente a lottare; la palestra, di solito tediosa, nell’imminenza della battaglia diventava all’improvviso un posto divertente. La loro è l’euforica sicurezza di chi non ha mai sbattuto la faccia nelle delusioni di una battaglia, e pensano d’esser pronti. Be’, perché non dovrebbero pensarlo? Lo sono. E io anche.

Alle 0640 ordinò che indossassero le tute da battaglia. Parlò poi con i capibranco e i loro vice mentre si vestivano. — Le Lepri sono per lo più veterani, ma Carn Carby è il loro comandante da soli cinque mesi e non ho mai combattuto contro quest’orda con lui alla guida. È stato un soldato di ottima levatura, e le Lepri sono ormai da anni nella zona alta della classifica. Ma mi aspetto di vederli manovrare in formazione standard, perciò non sono molto preoccupato.

Alle 0650 li fece stendere tutti sui materassini per un training autogeno basato sulla musica e sulla respirazione. Alle 0656 ordinò l’uscita e correndo con leggerezza sfilarono nei corridoi verso la sala di battaglia. Ogni tanto Ender balzava in alto a toccare il soffitto, e i ragazzi dietro di lui lo imitavano battendo una mano nello stesso punto esatto. La loro striscia di luce colorata girò a sinistra; l’orda delle Lepri era già passata di lì, svoltando a destra. E alle 0658 furono davanti alla porta chiusa della sala di battaglia.

I branchi si allinearono su cinque colonne. A ed E erano pronti ad afferrare i corrimano esterni per proiettarsi ai lati. B e D avrebbero usato quello superiore per spingersi verso l’alto nell’ambiente a gravità zero. Il branco C si sarebbe tuffato sul corrimano inferiore per balzare nella direzione opposta.

Su, giù, destra, sinistra; Ender li fronteggiò, stando fra due delle colonne per non essere d’ostacolo, e li orientò nel solito modo: — Soldati, dite al nostro Bean dov’è la porta del nemico. Da che parte?

— In basso! — gridarono tutti, ridendo. E in quel momento su diventò nord, giù diventò sud, e la destra e la sinistra divennero est e ovest.

La parete grigiastra davanti a loro si dissolse, e l’interno della sala di battaglia fu visibile. Non sarebbe stato un combattimento al buio, ma non si poteva dire che la luce fosse molta: c’era una fosca penombra in cui tutto sembrava nebuloso. In distanza Ender vide la porta nemica, da cui già scattavano fuori le forme appena fluorescenti degli avversari. Per un attimo questo lo fece sorridere: tutti avevano imparato la lezione, dopo che Bonzo aveva fatto un uso malaccorto di Ender Wiggin, e continuavano ad applicarla. Si sparavano fuori dalla porta come razzi, cosicché c’era soltanto il tempo di gridare il codice della formazione in cui manovrare. Le battaglie iniziavano senza che i comandanti avessero il tempo di pensare. Ma Ender ora voleva prendersi quel tempo, e confidava nella capacità dei suoi soldati di combattere con le gambe congelate perché uscissero dalla porta intatti, malgrado il ritardo.

Controllò la disposizione delle stelle con un’occhiata. Ce n’erano otto, scaglionate non diversamente dal solito, abbastanza grosse perché valesse la pena di sfruttarle. — Prendiamo le stelle più vicine — ordinò. — C, scivolare lungo la parete. Se funziona, A ed E seguiranno. Se no, deciderò da lì. Io sarò col D. Muoversi!

Tutti i soldati avevano sentito quale fosse la strategia, ma le decisioni tattiche dipendevano adesso dai capibranco. Le istruzioni di Ender non fecero ritardare più di una decina di secondi la loro uscita, mentre l’orda delle Lepri si stava già muovendo in un’elaborata danza aerea all’altro lato della sala. In qualunque orda precedente Ender avesse militato, in quel momento avrebbe dovuto preoccuparsi che i suoi compagni potessero coprirsi a vicenda in una formazione adatta ad arginare la manovra nemica. Invece l’unica cosa che i Draghi stavano pensando era di penetrare al di là di essa, disperdersi fra le stelle e negli angoli della sala e quindi spezzettare la formazione avversaria in gruppetti molti dei quali sarebbero stati privi di un capobranco. E con quattro settimane appena di lavoro collettivo il caos scimmiesco in cui combattevano sembrava a Ender l’unico modo intelligente, l’unico modo possibile. Fu quasi sorpreso nel constatare che le Lepri erano ancorate a schemi tattici per lui già sorpassati.

Il branco C scivolò via lungo la parete, con le ginocchia ripiegate per farsi scudo contro gli avversari. Tom il Matto, il capo del branco C, aveva evidentemente già ordinato ai suoi di spararsi alle gambe. In quella cupa penombra non la si poteva definire un’idea malvagia, dal momento che una volta colpite le tute da battaglia perdevano la loro debole fluorescenza. Il suo branco parve svanire nella foschia, e per quanto seccato dal non vederli più Ender dovette approvare la cosa.

L’orda delle Lepri riuscì a rintuzzare l’attacco laterale del branco C, ma non prima che Tom il Matto e i suoi ragazzi avessero attraversato come proiettili la formazione più avanzata: gli otto Draghi fecero fuori una buona dozzina di Lepri prima d’esser costretti a ripararsi dietro una stella. Ed era una stella all’interno del territorio nemico, cosa che bastò a fermare l’avanzata ordinata da Carn Carby.

Han Tzu, soprannominato Zuppa Cinese, era il capo del branco C. Scivolò come un gatto dietro il bordo della stella dove s’era attestato Ender. — Che ne dici di girare sulla parete nord e arrivargli in faccia a ginocchia in avanti?

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