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«Ah» disse Iziezi… non una mina che esplodeva, ma un lungo sospiro.

Quattro

Se il Controllore la teneva sotto sorveglianza, lei non avrebbe potuto andare da nessuna parte, scoprire alcunché, senza mettere in pericolo della gente. Forse, anche se stessa. E il Controllore era lì per sorvegliarla: l’aveva detto, se solo lei avesse ascoltato. Le era occorso tutto quel tempo per rendersi conto che i funzionari dell’Azienda non viaggiavano in battello. I burocrati volavano con gli aerei e gli eli dell’Azienda. Convinta della propria scarsa importanza, non aveva compreso il motivo della presenza del Controllore e non aveva badato alle sue parole d’avvertimento.

Non aveva ascoltato neppure quello che le aveva detto Tong Ov: le piacesse o no, lo ammettesse o no, lei era importante. Lei rappresentava l’Ekumene su Aka. E il Controllore le aveva detto, ma lei non aveva ascoltato, che l’Azienda l’aveva autorizzato a impedire che l’Ekumene, cioè lei, indagasse e rivelasse il perdurare di pratiche reazionarie, di ideologie marce come cadaveri putridi.

Un cane in un cimitero, ecco come il Controllore vedeva Sutty. "Tieni lontano il Cane che è amico della gente, o con le unghie tutto riporterà alla luce…"

«Il tuo retaggio è angloindiano.» Zio Hurree, con quelle sopracciglia bianche cespugliose, e gli occhi tristi così ardenti. «Devi conoscere Shakespeare e le Upanishad, Sutty. Devi conoscere la Gita e i poeti laghisti.»

Lei li conosceva. Conosceva fin troppi poeti. Conosceva più poeti, più poesie, più sofferenze, più cose di quanto non fosse necessario per chiunque. Così aveva cercato di essere ignorante. Di andare in un posto dove non sapeva nulla. C’era riuscita benissimo, oltre ogni previsione.

Dopo avere meditato a lungo nella sua stanza tranquilla, dopo lunghi momenti di indecisione e di ansietà, e qualche attimo di disperazione, inviò il primo rapporto a Tong Ov… e indirettamente al Dicastero della Pace e della Sorveglianza, al Ministero Socioculturale e a tutti gli altri dipartimenti dell’Azienda che intercettavano qualsiasi comunicazione indirizzata all’ufficio di Tong. Impiegò due giorni per scrivere due pagine. Descrisse il viaggio in battello, il panorama, la città. Parlò del cibo squisito e della balsamica aria di montagna. Chiese un prolungamento della vacanza, che si era rivelata piacevole e istruttiva, per quanto intralciata dallo zelo bene intenzionato ma iperprotettivo di un funzionario che riteneva opportuno impedirle di conversare e interagire con la gente del luogo.

Il governo aziendale di Aka, pur se incline a controllare tutti e tutto, desiderava anche accontentare e impressionare positivamente i visitatori dell’Ekumene. Dimostrarsi all’altezza, avrebbe detto zio Hurree. Tong Ov era esperto nell’usare quella seconda motivazione per limitare la prima, ma il messaggio di Sutty avrebbe potuto creargli dei problemi. Gli avevano consentito di inviare un Osservatore in una regione "primitiva", però avevano inviato un loro Osservatore a osservare l’Osservatore.

Attese la risposta di Tong, diventando via via sempre più sicura che sarebbe stato costretto a richiamarla nella capitale. Al pensiero di Dovza City, Sutty si rese conto che non desiderava affatto lasciare la cittadina, la regione montana. Per tre giorni fece delle escursioni a piedi nelle aree agricole e lungo la riva del giovane fiume turbolento dalle acque azzurro ghiaccio, schizzò il Silong che sovrastava i tetti decorati di Okzat-Ozkat, inserì nel noter le ricette dei piatti squisiti di Iziezi ma non tornò con lei al "corso di esercizio fisico", parlò con Akidan di scuola e di sport ma non parlò con gli sconosciuti né con le persone che incontrava di solito per strada, tenne volutamente un inoffensivo comportamento da turista.

Da quando era giunta a Okzat-Ozkat, aveva dormito bene, senza le lunghe peregrinazioni nel mondo dei ricordi che avevano interrotto le sue notti a Dovza City, ma in quel periodo di attesa si svegliò ogni notte, immersa nell’oscurità, e si ritrovò nella Riserva.

La prima notte, era nel minuscolo soggiorno dell’appartamento dei genitori e guardava un quasivero di Dalzul. Papà, un neurologo, aborriva i collegamenti corporei della realtà virtuale. «Mentire al corpo è peggio che torturarlo» ringhiava, sembrando zio Hurree. Aveva staccato da tempo i moduli errevi dal loro apparecchio, che quindi funzionava solo come olotivù. Essendo cresciuta al villaggio, dove le uniche tecnologie di comunicazione erano rappresentate dalle radio e da un vecchio televisore 2D nella sala di ritrovo comune, Sutty non sentiva la mancanza dei collegamenti errevi. Stava studiando, ma aveva girato la sedia per vedere l’Inviato dell’Ekumene sul balcone del Sancta Sanctorum, fiancheggiato dai Padri in veste bianca.

Le maschere speculari dei Padri riflettevano l’immensa folla, centinaia di migliaia di persone radunate nella Grande Piazza, come una minuscola screziatura. Il sole brillava sulla chioma splendente e stupefacente di Dalzul. L’Angelo, lo chiamavano ormai, l’Araldo di Dio, il Messaggero Divino. La mamma borbottava e derideva quei termini, però lo osservava e ascoltava le sue parole con estrema attenzione e devozione, come gli Unisti, come chiunque, come tutti al mondo. Come faceva Dalzul a infondere la speranza nei fedeli e nei miscredenti nel medesimo tempo, con le stesse parole?

«Vorrei diffidare di lui» disse la mamma. «Ma non ci riesco. Dalzul lo farà… insedierà al potere i Padri Miglioristi. Incredibile! Ci libererà.»

Sutty non stentava a crederci. Sapeva, grazie agli insegnamenti di zio Hurree e della scuola, e per convinzione innata, che il Dominio dei Padri sotto cui aveva vissuto tutta la vita era stato un accesso di follia. L’Unismo era una reazione di panico alle grandi epidemie e alle grandi carestie, uno spasmo di colpa globale e di espiazione isterica, che si stava eccitando sempre più, stava per sfociare nell’orgia finale di violenza, quando l’"Angelo" Dalzul era giunto dal "Cielo", e con la sua magica eloquenza aveva trasformato la foga distruttiva in bontà e benevolenza, lo sterminio in mite abbraccio. Una questione di tempismo, uno spostamento dell’equilibrio. Dalzul possedeva la saggezza trasmessagli dagli insegnanti hainiani che avevano vissuto eventi simili mille volte nella loro storia infinita, ed era astuto come i suoi antenati bianchi terrestri che avevano convinto tutti gli altri sulla Terra che la loro via era l’unica via. Gli era bastato posare il dito sulla bilancia per mutare un odio fanatico e cieco in amore cieco universale. E adesso sarebbero tornate la pace e la ragione, e la Terra avrebbe ripreso il proprio posto tra i mondi pacifici e ragionevoli dell’Ekumene. Sutty aveva ventitré anni e non aveva difficoltà a credere a tutto ciò.

Il Giorno della Libertà, il giorno in cui aprirono la Riserva: le restrizioni alla libertà dei non credenti abolite, tutte le restrizioni riguardanti le comunicazioni, i libri, l’abbigliamento femminile, i viaggi, il culto, tutto quanto. La gente della Riserva usci in massa dai negozi, dalle case, dalle scuole e si riversò nelle strade piovose di Vancouver.

Non sapeva che fare, in realtà, dopo aver vissuto così a lungo in silenzio, schiva, cauta, umile, mentre i Padri predicavano e governavano e inveivano e i Tutori della Fede confiscavano, censuravano, minacciavano, punivano. Erano sempre stati i fedeli a radunarsi in folle immense, a glorificare a gran voce, a cantare, a festeggiare, a marciare qui e là, mentre i miscredenti si tenevano nascosti e parlavano sottovoce. Ma la pioggia cessò a poco a poco, e la gente portò nelle strade e nelle piazze chitarre e sitar e sassofoni, e cominciò a suonare e a ballare. Uscì il sole, basso e dorato sotto grossi nuvoloni, e la gente continuò a ballare i balli allegri dell’incredulità. In McKenzie Square c’era una ragazza che conduceva una danza in tondo, pelle d’avorio, folti capelli neri lucenti, cino-canadese, rideva, una ragazza chiassosa, allegra, troppo rumorosa, sfacciata, sicura di sé, ma Sutty si unì al suo girotondo perché le persone che ballavano si stavano divertendo moltissimo e il ragazzo che suonava la fisarmonica era bravissimo. Sutty e la ragazza dai capelli neri si ritrovarono faccia a faccia in una figura di danza che avevano appena inventato. Si presero per mano. Una rise, anche l’altra rise. Si tennero per mano tutta la notte.

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