— D’accordo — replicò lei. — Vedrò cosa possiamo fare.
Miles chiuse il collegamento vocale in uscita, poi si voltò sulla sedia e segnalò a Roic con un gesto di fare lo stesso. Si chinò in avanti. — Mi senti?
— Sì, Milord. — La voce di Roic era attutita, attraverso la visiera più spessa della tuta da lavoro, ma abbastanza udibile; nessuno dei due aveva bisogno di gridare, in quel piccolo spazio silenzioso.
— Greenlaw non ordinerà né consentirà mai l’invio di una forza d’attacco per cercare di catturare il ba. Né la sua, né la nostra. Non può. Ci sono troppe vite quad in gioco. Il problema è che non credo che questo approccio conciliante metterà al sicuro la Stazione. Se quel ba ha veramente assassinato una consorte planetaria, non batterà ciglio per poche migliaia di quad. Prometterà di collaborare fino all’ultimo istante, poi attiverà la bio-bomba, prima di effettuare il salto nell’iperspazio, perché così pensa di rallentare o disturbare l’inseguimento per un giorno o due. Mi segui?
— Sì, Milord. — Gli occhi di Roic erano attenti.
— Se riusciamo ad arrivare fino alla porta del ponte di comando senza farci vedere, credo che avremo una possibilità di piombare sul ba. Per la precisione, tu piomberai sul ba, mentre io creerò un diversivo. Non avrai problemi. I colpi di storditore e i raggi nervini rimbalzeranno su quella tuta da lavoro. Anche i proiettili di una pistola ad aghi non penetrerebbero, se è per quello. E i pochi secondi che ti basteranno per attraversare quella stanzetta non saranno abbastanza perché il fuoco al plasma possa bruciarla.
Roic storse le labbra. — E se invece spara a lei? La sua tuta non è altrettanto resistente.
— No, se tutto va bene non farà in tempo a sparare contro di me. Se riusciamo a entrare, tu buttati subito sulle sue mani e tienile ferme. Il resto verrà da sé.
— E Corbeau? Quel poveraccio è nudo come un verme.
— Corbeau — disse Miles — sarebbe l’ultimo bersaglio per il ba… Ah! — Al limite estremo dell’immagine video, vide una mezza dozzina di piccole immagini che si stavano spegnendo senza il minimo rumore. — Esci in corridoio e stai pronto a correre. Più silenziosamente che puoi.
Dal suo comunicatore, Vorpatril stava chiedendo accoratamente all’Ispettore Imperiale di riattivare il suo contatto vocale. Esortò persino Lady Vorkosigan ad aiutarlo.
— Lo lasci stare — rispose Ekaterin con fermezza. — Non capisce cosa sta facendo?
— Ma cosa sta facendo? — gemette Vorpatril.
— Qualcosa che… — La sua voce si smorzò fino a un sussurro. O forse una preghiera. — Buona fortuna, amore.
In quel momento un’altra voce si intromise: era il capitano medico Clogston. — Ammiraglio? Può contattare il Lord Ispettore Vorkosigan? Abbiamo finito di preparare il suo filtro ematico e siamo pronti a provarlo, ma è uscito dall’infermeria e non riusciamo a chiamarlo.
— Ha sentito, Lord Vorkosigan? — provò Vorpatril, senza molte speranze. — Deve recarsi in infermeria. Subito.
Tra dieci minuti… forse cinque, i medici avrebbero potuto fare di lui ciò che volevano. Miles si alzò dalla sedia e per farlo dovette spingersi con entrambe le mani, quindi seguì Roic nel corridoio fuori dall’ufficio di Solian.
Davanti a loro, nella semioscurità, la prima porta stagna che interrompeva il corridoio scivolò di lato con un sibilo sommesso, rivelando il percorso trasversale che portava alle altre stive.
Roic cominciò a correre. I suoi passi erano inevitabilmente pesanti. Miles gli trotterellava dietro evitando di pensare che da un momento all’altro poteva cadere a terra in preda alle mortali convulsioni. In ogni caso, decise che era un rischio che doveva correre. Non aveva armi, tranne il suo ingegno, e non era sicuro che potesse bastare.
Una seconda coppia di porte si aprì davanti a loro. Poi la terza. Miles pregò che non fosse un’altra trappola. Ma non credeva che il ba avesse avuto modo di intercettare quel subdolo canale di comunicazione che dall’ufficio di Solian permetteva di vedere all’interno del ponte di comando.
Roic si fermò un attimo, addossandosi dietro lo spigolo dell’ultima porta, e guardò avanti. Annuì brevemente e continuò ad avanzare, con Miles alle calcagna. Mentre si avvicinavano, Miles notò che il pannello di controllo della porta al di là della quale c’era il cetagandano era stato fuso da qualche attrezzo simile a quello che aveva usato Roic. Anche il ba era andato a fare provviste nel reparto meccanica. Miles con un segno del capo lo indicò a Roic il cui viso s’illuminò e un sorriso tranquillizzante apparve sulla sua bocca.
L’armiere indicò con l’indice guantato prima se stesso, poi la porta; Miles scosse il capo e gli fece segno di avvicinarsi.
— Appena tu avrai forzato la porta, per primo entro io — gli disse. — Devo prendere quella valigetta prima che il ba possa reagire.
Roic si guardò intorno, prese fiato, e annuì.
Adesso. Aspettare non giovava a nessuno.
Roic si chinò, appoggiò le mani guantate e aperte sulla porta, spinse e tirò. I motori della sua tuta da lavoro gemettero per lo sforzo, ma infine la porta si schiuse cigolando.
Miles scivolò subito dentro. Non si guardò attorno; il suo mondo si era ristretto a un solo obiettivo, un solo oggetto. Il congelatore… lì, ancora sul sedile dell’ufficiale delle comunicazioni. Balzò, l’afferrò, e la sollevò al petto come uno scudo.
Il ba, preso alla sprovvista dalla sorpresa, urlò e la sua mano andò subito in tasca per impugnare l’arma.
Ma ormai Miles aveva trovato i pulsanti che aprivano le serrature della valigetta. Se fosse rimasta chiusa, l’avrebbe scagliata contro il cetagandano, se invece si apriva… e così fece. Subito la spalancò, la scosse e la fece roteare.
Una cascata d’argento, formata da un migliaio di minuscole siringhe per la conservazione criogenica, si riversò fuori e rimbalzò a caso sul ponte. Alcune si frantumarono all’impatto, con piccole note cristalline come insetti morenti; altre rotolarono sul pavimento, andando in ogni angolo.
A quel punto, l’urlo del cetagandano divenne straziante; le sue mani scattarono verso Miles come in un gesto di supplica, di negazione, di disperazione. Il ba avanzava verso di lui con il viso grigio contorto dallo shock e dall’incredulità.
Ma le mani di Roic lo bloccarono afferrandogli i polsi e sollevandolo da terra. Le ossa dei polsi si frantumarono per la ferrea stretta dei guanti della tuta da lavoro e il sangue zampillò. Il ba si agitò convulsamente e i suoi occhi stravolti rotearono all’indietro. Le sue urla si tramutarono in uno strano gemito che si affievoliva poco a poco, mentre con i piedi tentava inutilmente di colpire l’armiere. Ma Roic rimase fermo, impassibile, tenendolo sollevato, impotente.
Miles lasciò cadere il congelatore che atterrò sul pavimento con un tonfo, e riattivò l’audio del suo comunicatore.
— Abbiamo catturato il ba — comunicò. — Mandate subito rinforzi con tute anticontaminazione. Non c’è bisogno di armi per… — Ma non riuscì a finire quello che stava dicendo.
Le ginocchia gli si piegarono e si accasciò a terra, ridendo in modo irrefrenabile. Poi vide che Corbeau si era alzato e stava per soccorrerlo, allora gli fece cenno di allontanarsi.
— Sta’ indietro! Sto per…
Riuscì ad aprire la visiera appena in tempo. I conati e gli spasmi che gli torcevano lo stomaco questa volta erano molto più violenti. È tutto finito pensò. Adesso posso morire.
Ma si illudeva: non era tutto finito, tutt’altro. Greenlaw si era preoccupata per cinquantamila vite. Ora toccava a lui salvarle.