— Ah, non le hanno fatto vedere Gupta, allora. — Miles respirò profondamente e riassunse brevemente la storia, o almeno, i pertinenti aspetti biologici. Mentre parlava, le sue mani non smettevano di spingere il corpo di Bel sotto l’acqua gelata, o di distribuire cubetti di ghiaccio sulla testa e sul collo. Finì con: — Non so se sono stati i geni anfibi di Gupta, o qualcosa che ha fatto, a permettergli di sopravvivere a quel morbo d’inferno mentre i suoi amici sono morti. Gupta afferma che la loro carne anche da morti fumava. Non so da dove venga tutto questo calore, ma non può essere semplicemente febbre. Non potevo certo duplicare l’ingegneria genetica dei jacksoniani, ma ho pensato che almeno la vasca di acqua fredda potevo procurarmela. Puramente empirico, ma non mi sembrava che ci fosse molto tempo.
Una mano guantata gli passò davanti, sollevò le palpebre di Bel, poi lo palpò qui e là, premendo e sondando. — Vedo.
— È molto importante… — Miles inspirò per stabilizzare la sua voce — è molto importante che quest’uomo sopravviva. Thorne non è un qualunque abitante della Stazione. È… — si interruppe rendendosi conto di non conoscere la qualifica di sicurezza del medico. Poi riprese: — Se il portomastro ci morisse fra le mani sarebbe un disastro diplomatico. Un altro disastro, intendo. Inoltre questo erm mi ha salvato la vita ieri. Io e Barrayar gli dobbiamo…
— Milord, faremo del nostro meglio. Ho qui i miei migliori uomini: adesso ce ne occupiamo noi. La prego, Milord Ispettore, esca e permetta ai miei colleghi di decontaminarla.
Un’altra figura in tuta entrò nel bagno e porse un vassoio di strumenti al medico. Miles dovette per forza farsi da parte, mentre il primo ago penetrava nella carne di Bel senza suscitare reazioni. Lì dentro non c’era posto nemmeno per uno piccolo come lui.
Un lettino dell’infermeria era stato trasformato in un bancone da laboratorio. Una terza figura in tuta anticontaminazione stava trasferendo su quel piano di emergenza una quantità di strumenti che prelevava dai contenitori dell’attrezzatura che la squadra si era portata dietro. Il secondo tecnico uscì dal bagno e cominciò a mettere i campioni prelevati di Bel nei vari analizzatori chimici e molecolari, mentre l’altro continuava a ordinare sul lettino le attrezzature.
Roic, nella tuta a pressione stava appena al di là delle barriere molecolari, sulla soglia dell’infermeria. Teneva in mano un decontaminatore laser-sonico ad alta potenza, un familiare strumento militare barrayarano. Sollevò una mano in segno di saluto non appena vide apparire Miles.
Non c’era altro da fare lì; se fosse rimasto non avrebbe fatto altro che distrarre dal proprio lavoro i medici. Soppresse il bisogno di spiegare ancora una volta ai medici quanto fosse necessario salvare il suo amico, rendendosi conto che sarebbe stato inutile insistere. Tanto valeva inveire contro i cetagandani che non avevano ancora inventato un’arma che valutasse il valore della vittima prima di ucciderla.
Ho promesso a Nicol di chiamarla, gli venne in mente. Oh Dio, perché l’ho fatto? Sapere quale fosse la condizione di Bel sarebbe stato per lei più doloroso che non sapere nulla. Forse era meglio attendere ancora un poco, almeno finché non avesse avuto il parere del chirurgo. Se c’era speranza, avrebbe potuto confortarla. Se non c’era niente da fare…
Attraversò la barriera molecolare, alzando le braccia e girando su se stesso sotto il fascio ancora più potente del decontaminatore laser di Roic. E non lo fece smettere finché l’armiere non finì di passare il laser su ogni centimetro del suo corpo.
Roic indicò a Miles il bracciale di controllo e gridò attraverso il casco: — Ho attivato il sistema di comunicazione della nave, Milord. Dovrebbe essere in grado di sentirmi sul canale dodici. I medici usano il tredici.
Miles gli confermò di aver capito e accese il comunicatore. — Mi senti?
— Sì, Milord. — Rispose Roic.
— Ci siamo allontanati dai ganci di attracco?
Roic assunse un’espressione colpevole. — No, Milord. Uhm… vede, ci sono solo io a bordo, e non ho mai pilotato una nave iperspaziale.
— I comandi sono identici a quelli di una navetta — lo rassicurò Miles. — È solo più grande.
— Io non ho mai pilotato neanche una navetta. — Ah. Be’, vieni, allora. Così impari come si fa.
Andarono sul ponte di comando, passando attraverso vari portelli che Roic aprì con gli appositi codici. D’accordo, ammise Miles, avvicinandosi alla consolle di guida, è una grossa nave, e lui da tempo non eseguiva manovre, ma non può essere difficile.
Roic lo guardò con ammirazione mentre cercava il pannello per il distacco dei ganci di attracco. E finalmente li trovò. Prima di azionarli si mise in contatto con il controllo traffico della Stazione, e rimase in attesa del loro assenso. Se avesse sbagliato manovra… sarebbe stata una tragica conclusione di tutti i problemi e le difficoltà di questa missione. Infatti, se si fosse allontanato strappando i ganci di attracco, la stiva di carico si sarebbe decompressa e un numero imprecisato di poliziotti quad di guardia sarebbe perito. Passò dalla consolle di comunicazione a quella di pilotaggio, fermandosi per un attimo prima di attivare la spinta di distacco. Impresse una piccola pressione, e immediatamente la grande massa della Idris fluttuò nello spazio a pochi metri dal fianco della Stazione Graf. Subito spense la spinta, altrimenti la nave avrebbe continuato ad allontanarsi.
Bene, adesso nessuna contaminazione biologica può attraversare il varco, pensò soddisfatto, ma subito gli venne un dubbio: salvo che i cetagandani non abbiano inventato qualche diavoleria per diffondere nello spazio le loro spore.
Controllò l’ora sul crono della consolle: da quando avevano trovato Bel era passata meno di un’ora, ma gli sembrò un secolo. Gli venne in mente solo allora che se i medici della Prince Xav dichiaravano il cessato allarme biocontaminazione, tornare ad attraccare sarebbe stato un compito di gran lunga più delicato. Be’, a quel punto, chiederò un pilota.
— Così lei è anche pilota? — chiese una voce femminile.
Miles si voltò di scatto sul suo seggiolino e vide tre quad nei rispettivi flottanti che galleggiavano sulla soglia della sala controllo. Erano Venn, la Sigillatrice Greenlaw e il giudice Leutwyn che veniva dietro gli altri.
— Solo in caso di emergenza — ammise. — Dove avete trovato le tute?
— Le hanno mandate dalla Stazione con una capsula telecomandata — rispose Venn. Anche lui portava lo storditore in una fondina all’esterno della tuta.
Miles avrebbe preferito che rimanessero fuori dai piedi, ma ormai era troppo tardi.
— Che è ancora attaccata al portello, sì — lo rassicurò Venn intuendo dall’espressione di Miles cosa stava per chiedere.
— Grazie — gli rispose Miles. Avrebbe voluto strofinarsi il viso e pulirsi gli occhi che gli prudevano, ma non poteva. Cosa rimaneva da fare adesso? Aveva preso tutte le precauzioni necessarie per contenere la contaminazione?
— Milord? — lo chiamò Roic.
— Sì, armiere?
— Hanno visto entrare il portomastro e il ba sulla nave, però nessuno ha riferito di averli visti uscire. Abbiamo trovato Thorne, ma come ha fatto il ba a scendere dalla nave?
— Certo, Roic. È un’ottima domanda cui dedicarsi subito.
— Ogni volta che i portelli della Idris si aprono, le telecamere cominciano automaticamente a registrare. Dovremmo essere in grado di vedere le registrazioni video da qui. — Roic fece girare lo sguardo sull’imponente schieramento di monitor della consolle. — Da qualche parte ci dev’essere.
— In effetti, sì. — Miles abbandonò la sedia del pilota per quella dell’ingegnere di volo. Dopo un po’ di tentativi, e con l’aiuto dell’archivio codici di Roic, Miles fu in grado di recuperare le registrazioni dei portelli che aveva già trovato nell’ufficio di Solian e passato tante ore a studiare.