Poi si rivolse al capitano Galeni. «Come dobbiamo… come deve trattare questa faccenda la Sicurezza Imperiale, signore?» chiese in tono deferente. «Dobbiamo davvero chiamare le autorità locali?»
«Oh, adesso sono di nuovo "signore", eh?» mormorò Galeni. «Certo che chiameremo la polizia; non possiamo estradarli, ma adesso che hanno commesso un crimine qui sulla Terra, le autorità dell’Europol li metteranno in carcere per noi. E così sarà la fine di tutta questa scheggia radicale di sovversivi.»
Miles soffocò il suo istinto di urgenza e cercò di rendere fredda e impersonale la propria voce. «Ma un processo porterebbe alla luce tutta la storia del clone, fin nei più piccoli particolari. E da un punto divista della Sicurezza, questo attirerebbe su di me un sacco di sgradevole attenzione… compresa quella cetagandana, ne stia sicuro.»
«È troppo tardi per cercare di riparare ai danni.»
«Non ne sono così sicuro. Certo le voci si spargeranno, ma un certo numero di voci sufficientemente confuse potrebbero essere utili. Questi due» indicò le due guardie catturate, «sono pesci piccoli. Il mio clone sa molte più cose di loro ed è già tornato all’ambasciata, che da un punto di vista legale è suolo barrayarano. Che bisogno abbiamo di loro due? Ora che lei è di nuovo libero e che abbiamo il clone, tutto il complotto è saltato. Mettete sotto sorveglianza questo gruppo, come avete fatto con gli altri espatriati komarrani sulla Terra e non rappresenteranno più un pericolo.»
Galeni incontrò lo sguardo di Miles e poi lo distolse e sul suo profilo pallido si lesse chiaramente il corollario inespresso di quel discorso: e la sua carriera non verrà compromessa da uno scandalo pubblico. E non sarà costretto ad affrontare suo padre…
«Non… non saprei.»
«Io sì» affermò Miles sicuro e fece un cenno ad uno dei dendarii. «Sergente, porti di sopra un paio di tecnici e veda di spremere tutto quello che c’è nella consolle di comunicazione, compresi i file segreti e protetti. E mentre c’è, perlustri la casa alla ricerca di un paio di cinture con i congegni di schermatura anti-persona, dovrebbero essere qui. Li porti al commodoro Jesek e gli dica di rintracciare il costruttore. Non appena avrete finito, ce ne andremo.»
«Questo sì che è illegale» gli fece notare Elli.
«E cosa possono fare: andare a lamentarsi alla polizia? Non credo proprio. Ah… vuole lasciare qualche messaggio nella consolle di comunicazione, capitano?»
«No» rispose a bassa voce Galeni dopo qualche istante, «niente messaggi.»
«Bene.»
Un infermiere dendarii prestò le prime cure al dito fratturato di Miles e gli anestetizzò la mano. Il sergente tornò dopo meno di mezz’ora, con le cinture appese alla spalla e porse a Miles un dischetto. «È tutto suo, signore.»
«Grazie, sergente.»
Si inginocchiò accanto al komarrano cosciente e gli puntò uno storditore alla tempia.
«Cosa vuole fare?» gracchiò l’uomo.
Miles distese le labbra in un sorriso acido, e rispose: «Ma come? stordirti, naturalmente, portarti in volo sulla costa meridionale e lasciarti cadere in mare… che altro? Buona nanna.» Lo storditore ronzò e il prigioniero, con uno spasimo, si afflosciò. Il soldato dendarii gli tolse le manette e Miles lasciò i due komarrani sdraiati fianco a fianco sul pavimento del garage. Poi uscirono e chiusero a chiave le porte.
«E adesso all’ambasciata, a inchiodare quel piccolo bastardo» disse Elli Quinn in tono truce, selezionando l’itinerario di ritorno sulla mappa inserita nella consolle del veicolo a nolo. Il resto della pattuglia si dispose in formazione di copertura.
Miles e Galeni, che aveva l’aspetto esausto quasi quanto lui, si appoggiarono allo schienale.
«Bastardo?» sospirò Miles. «No, quella è proprio l’unica cosa che non è, temo.»
«Prima inchiodiamolo» intervenne Galeni, «e poi decideremo come chiamarlo.»
«Sono d’accordo» disse Miles.
«Come faremo ad entrare?» chiese Galeni mentre si avvicinavano all’ambasciata nella chiara luce del mattino.
«C’è un unico modo» rispose Miles: «per la porta principale, a passo di marcia. Fermati davanti all’ingresso, Elli.»
Poi lui e Galeni si scambiarono un’occhiata e fecero una smorfia. La crescita della barba di Miles era in arretrato rispetto a quella di Galeni (dopo tutto Galeni aveva quattro giorni di vantaggio), ma le sue labbra screpolate, le escoriazioni e il sangue rappreso sulla camicia pareggiavano i conti, a suo giudizio, e contribuivano a creare un’aspetto di generale degradazione. E poi Galeni aveva ritrovato gli stivali e la giacca dell’uniforme, e Miles no; probabilmente se li era portati via il clone. Non sapeva chi dei due puzzasse di più: Galeni era rimasto rinchiuso quattro giorni più di lui, ma Miles aveva sudato di più… non aveva comunque nessuna intenzione di chiedere ad Elli Quinn di annusarli e di fare una graduatoria. Dal tremito della bocca del capitano e dal modo in cui strizzava gli occhi, dedusse che anche Galeni cominciava ad avvertire la sua stessa reazione ritardata di sollievo: erano vivi, ed era un miracolo e una fonte di meraviglia.
Salirono le scale al passo, mentre Elli si accodava osservando interessata quell’esibizione.
La guardia all’ingresso eseguì il saluto automaticamente, mentre un’espressione di assoluto stupore gli si dipingeva in viso. «Capitano Galeni! È ritornato! E… ehm» gettò un’occhiata a Miles, aprì la bocca, la richiuse. «Anche lei, signore.»
Galeni restituì tranquillo il saluto «Faccia venire qui il tenente Vorpatril, per favore. Ma solo Vorpatril.»
«Sissignore.» La guardia parlò nel comunicatore da polso, senza mai distogliere lo sguardo; continuava a osservare Miles di sottecchi, chiaramente perplesso. «Ehm… lieto che sia tornato, signore.»
«Lieto di essere tornato, caporale.»
Un attimo dopo, Ivan schizzò fuori dal tunnel di risalita e attraversò di corsa il pavimento di marmo dell’ingresso.
«Mio Dio, signore! Dove è stato?» esclamò, afferrando Galeni per le spalle. Poi, con un attimo di ritardo, si ricompose ed eseguì il saluto.
«La mia assenza non è stata volontaria, glielo assicuro.» Il capitano si sfregò il lobo di un orecchio e si passò una mano sulla barba incolta, chiaramente commosso dall’entusiasmo di Ivan. «Come le spiegherò nei minimi particolari in seguito. Adesso… tenente Vorkosigan? Credo che sia arrivato di il momento di fare una sorpresina al suo… ehm, parente.»
Ivan gettò un’occhiata a Miles. «Ti hanno lasciato uscire, allora?» Poi lo guardò più da vicino e spalancò gli occhi. «Miles…»
Miles digrignò i denti e lo trascinò fuori portata d’orecchio dell’affascinato caporale. «Ti spiegheremo tutto quando arresteremo l’altro me. Dove sono, a proposito?»
Ivan storse le labbra, sgomento. «Miles… stai cercando di farmi uscire di senno o di prendermi in giro? Non è divertente…»
«Niente presa in giro e niente divertimento. L’individuo con cui hai diviso la camera in questi ultimi quattro giorni… non ero io. Io ho diviso la stanza con il capitano Galeni. Un gruppo rivoluzionario komarrano ha cercato di farti fesso, Ivan: l’impostore è il mio clone, che esiste davvero. Non dirmi che non ti sei mai accorto di niente!»
«Be’…» disse Ivan, mentre un’espressione imbarazzata gli compariva sul viso. «Mi eri sembrato un po’, be’… un po’ fuori fase, negli ultimi due giorni.»
Elli annuì con aria assorta, molto sensibile all’imbarazzo di Ivan.
«In che senso?» chiese Miles.
«Be’… ti ho visto fuori di testa, e ti ho visto depresso. Ma non ti ho mai visto… neutro.»
«Ecco perché te lo chiedo; e non hai mai sospettato niente? Era così bravo?»
«Oh, mi sono posto delle domande fin dalla prima sera!»
«E allora?» strillò Miles che aveva voglia di strapparsi i capelli.
«E allora ho deciso che non poteva essere. Dopo tutto, quella storia del clone l’avevi inventata tu stesso solo pochi giorni prima.»