«E perché sei?»
«È una questione aritmetica. Lei aveva circa sei anni quando finì la rivolta komarrana e a quel punto i ribelli devono aver preso in considerazione qualche altro piano meno diretto per attaccare Barrayar. Prima di allora, l’idea non li avrebbe interessati, ma dopo quella data il clone sarebbe stato ancora troppo giovane per sostituirsi a lei, anche con una crescita accelerata. Troppo giovane per recitare in modo verosimile la parte. Deve agire come lei, e non solo assomigliarle.»
«Ma perché proprio un clone?»
«Credo che intendano usarlo per qualche azione di sabotaggio in concomitanza con una sollevazione su Komarr.»
«Barrayar non lascerà mai andare Komarr, mai. Voi siete la nostra porta principale.»
«Lo so» rispose Galeni in tono stanco. «Ma c’è gente che preferirebbe annegare il nostro pianeta nel sangue piuttosto che trarre insegnamento dalla storia. O imparare qualcosa in generale.» Terminò gettando un’occhiata involontaria alla lampada.
Miles deglutì, si fece forza e ruppe il silenzio. «Da quanto tempo sa che suo padre non è saltato in aria con quella bomba?.»
Galeni lo fissò, stordito, con il corpo teso come una corda di violino. Poi si rilassò, anche se quel gesto gli costò parecchio, ma rispose con semplicità: «Da cinque giorni.» E dopo un istante aggiunse: «Come lo sapeva?»
«Abbiamo aperto il suo file personale e lui era il suo unico parente stretto di cui non esistesse una certificazione certa di morte.»
«Noi lo credevamo morto.» La voce di Galeni era distante, piatta. «Mio fratello lo era senza ombra di dubbio. La Sicurezza Barrayarana era venuta a prendere me e mia madre perché identificassimo i resti del suo corpo. Non era rimasto molto. E non facemmo fatica a credere che si trattasse di lui, dato che si sapeva che era al centro dell’esplosione.»
Quell’uomo era a pezzi, e stava perdendo il controllo sotto i suoi occhi. Miles scoprì che non lo rallegrava affatto il pensiero di vedere Galeni crollare. Dal punto di vista politico sarebbe stato uno spreco perdere un ufficiale della sua levatura.
«Mio padre non faceva che parlare della libertà di Komarr» proseguì Galeni con voce pacata… come se parlasse a se stesso. «Dei sacrifici che tutti dovevamo fare per la libertà di Komarr. Era molto prodigo di sacrifici, umani e non, ma non gli è mai importato un accidente della libertà degli individui di Komarr. Fu il giorno in cui morì la rivolta su Komarr che divenni un uomo libero, il giorno in cui lui morì. Libero di guardare con i miei occhi, di formarmi dei giudizi miei, di scegliere la mia vita. O così pensavo. La vita è piena di sorprese» terminò con una sfumatura di infinito sarcasmo e un sorriso astuto.
Miles chiuse gli occhi, cercando di fare ordine nei propri pensieri. Ma non era facile, con Galeni seduto a due metri di distanza, che emanava una tensione omicida già pericolosamente vicina al sovraccarico. Miles aveva la spiacevole sensazione che il suo superiore, ormai solo di nome, avesse perso di vista il quadro complessivo strategico, imprigionato in una sua lotta privata con i fantasmi del passato. O forse non erano fantasmi. Toccava a Miles.
Toccava a Miles fare cosa? Si alzò e percorse la stanza con passo malfermo mentre Galeni lo osservava attraverso le palpebre socchiuse, senza fare commenti. Doveva trovare una via d’uscita. Tastò la consistenza delle pareti, incidendole con le unghie… niente da fare. Controllò le giunture del pavimento e del soffitto ma non offrivano alcuna possibilità. Entrò nel piccolo bagno, si lavò le mani, la faccia e si sciacquò la bocca; poi, in mancanza di un bicchiere, bevve dalle mani a coppa. L’acqua sciacquettò nel suo stomaco. Le mani gli tremavano per i postumi dello storditore. Si chiese cosa sarebbe successo se avesse chiuso lo scarico del lavello lasciando scorrere l’acqua. Quella era la massima forma di vandalismo possibile lì dentro. Ritornò alla panca, asciugandosi le mani nei pantaloni e si sedette, prima di cadere.
«Le danno da mangiare?» chiese.
«Due o tre volte al giorno» rispose Galeni. «Quello che preparano per loro. Sembra che vivano in parecchi in questa casa.»
«Allora quello sarebbe l’unico momento in cui tentare la fuga.»
«Lo è stato.»
È stato, già. E dopo il tentativo di Galeni le guardie erano state certamente raddoppiate. E comunque Miles non poteva neanche pensare di imitarlo: una lezione come quella che si era presa Galeni lo avrebbe messo fuori combattimento per sempre.
Il capitano fissò la porta. «Tutto sommato è anche una specie di passatempo. Quando la porta si apre non sai mai se dietro c’è il pranzo o la morte.»
Miles ebbe l’impressione che Galeni sperasse nella morte. Maledetto kamikaze. Lui conosceva bene quello stato d’animo distruttivo: era facile innamorarsi della scelta della morte… e quello era il nemico del pensiero strategico creativo. Anzi, era il nemico e basta.
Ma la sua determinazione non riuscì a trovare uno sbocco nei fatti, anche se non faceva che rimuginare. Senza dubbio Ivan avrebbe riconosciuto immediatamente la sua copia. Oppure invece avrebbe attribuito gli eventuali errori del clone ad una sua giornata negativa? Non sarebbe stata la prima volta che succedeva. E poi, se i komarrani in quattro giorni avevano avuto da Galeni tutte le informazioni sulle procedure dell’ambasciata, era possibile che il clone fosse in grado di svolgere senza errori tutti i compiti di Miles. Dopo tutto, se quella creatura era davvero un clone, doveva essere in gamba come Miles.
O altrettanto stupido… Miles si aggrappò a quel pensiero confortante. Se Miles, nel disperato ballo della vita, commetteva degli errori, il clone poteva commetterne altrettanti. Il guaio era: qualcuno sarebbe stato in grado di distinguerli?
E i dendarii? I suoi dendarii, caduti nelle grinfie di un… un cosa? Che piani avevano i komarrani? E come diavolo avrebbe fatto il clone ad imitare sia Lord Vorkosigan che l’ammiraglio Naismith, quando lo stesso Miles doveva suonare ad orecchio di volta in volta?
E Elli… se Elli non era stata in grado di distinguere le differenze nella casa abbandonata, sarebbe riuscita a farlo a letto? Quel piccolo e sordido impostore avrebbe avuto il coraggio di fare l’amore con lei? Ma quale essere umano sarebbe riuscito a resistere all’invito di rotolarsi tra le lenzuola con la bellissima, brillante…? Nella mente di Miles sfilarono tutti i particolari del clone, che là fuori, Faceva-Delle-Cose-alla-Sua-Quinn, molte delle quali Miles non aveva neppure avuto il tempo di provare. Strinse con tanta forza il bordo della panca, che rischiò di fratturarsi tutte le dita.
Allentò la presa. Di certo il clone avrebbe evitato le situazioni di intimità con Elli, che conosceva bene Miles, perché era proprio lì che rischiava di smascherarsi. A meno che non fosse uno stronzettino con irrefrenabili tendenze sperimentatrici, come quello che Miles salutava ogni mattina nello specchio. Lui ed Elli avevano appena iniziato la loro relazione… lei sarebbe stata in grado di accorgersi della differenza… o no? Miles deglutì e cercò di riportare i propri pensieri al più ampio scenario politico.
Il clone non era stato creato con l’unico scopo di farlo impazzire, quello era solo un beneficio aggiunto; il clone era stato forgiato come arma contro Barrayar. Contro Barrayar attraverso il primo ministro Conte Aral Vorkosigan, come se fossero una cosa sola. Miles non si faceva illusioni; tutta quella messinscena non era stata architettata a suo esclusivo beneficio. Gli vennero in mente almeno una dozzina di modi dove il falso Miles poteva essere usato contro suo padre: da quelli relativamente cattivi ad altri orribilmente crudeli. Gettò un’occhiata a Galeni, sdraiato dall’altra parte della cella, che aspettava, senza emozione, di essere ucciso dal suo stesso padre. O forse, con la sua freddezza, voleva spingere il padre ad ucciderlo per provare… cosa? Miles depennò gli scenari idilliaci dalla sua lista mentale di possibilità.