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«Di’ ai nostri agenti che trovare Galeni è un contratto» disse Miles a Elli. «Fa parte del progetto di reperimento fondi della flotta. Però ci pagano solo se gli portiamo l’uomo. E potrebbe proprio essere così, adesso che ci penso.»

Sprofondò nel sonno con la speranza che il suo subconscio riuscisse ad elaborare la cosa durante quello che restava della notte, ma si svegliò sfinito e svuotato come quando era andato a dormire. Allora affidò a Barth e a un paio di altri sottufficiali l’incarico di ricontrollare i movimenti del corriere, che era l’altro possibile anello debole della catena e in quanto a lui, rimase in attesa di una chiamata della polizia, seduto immobile come un sasso in una stanza buia, tamburellando con un piede sul pavimento, con la sensazione che la testa stesse per saltargli via da un momento all’altro, mentre la sua immaginazione tesseva scenari sempre più bizzarri e improbabili di una possibile spiegazione.

Il terzo giorno Elli Quinn lo chiamò.

Miles collegò il canale riservato all’olovideo, ansioso di rivedere il volto della donna, sul quale aleggiava un’espressione alquanto strana.

«Ho pensato che avrebbe potuto interessarti» disse col tono del gatto che faceva le fusa. «Il capitano Thorne è stato appena contattato con l’offerta di un contratto affascinante per i dendarii.»

«Ha anche un prezzo affascinante?» si informò Miles, mentre le rotelle del suo cervello stridevano nel tentativo di riportare alla mente i problemi dell’ammiraglio Naismith, che erano stati dimenticati e sepolti dalle tensioni di quegli ultimi due giorni di incertezza.

«Centomila dollari betani. In contanti, non rintracciabili.»

«Cent…» erano quasi mezzo milione di marchi imperiali. «Pensavo di essere stato chiaro: niente di illegale, questa volta, abbiamo già abbastanza guai così.»

«In che categoria rientra un rapimento?» ribatté lei ridacchiando.

«Assolutamente no!»

«Oh, sono sicura che farai un’eccezione in questo caso» dichiarò sicura, con molto brio.

«Elli…» ruggì lui.

Elli riuscì a controllare la sua allegria con un lungo respiro, ma la luce maliziosa rimase nel suo sguardo. «Ma Miles… i nostri misteriosi e facoltosissimi datori di lavoro vogliono assoldare l’ammiraglio Naismith per rapire Lord Miles Vorkosigan dall’ambasciata barrayarana.»

«Deve essere una trappola» sbottò Ivan nervoso mentre guidava il veicolo terrestre affittato da Elli attraverso i livelli della città. A mezzanotte l’illuminazione era di poco peggiore che di giorno, anche se a tratti le ombre dei loro volti si spostavano al passaggio delle luci all’esterno del tettuccio a bolla.

Il grigio dell’uniforme da sergente dendarii che indossava si addiceva ad Ivan non meno del verde di quella barrayarana, notò cupo Miles; Sta di fatto che quell’uomo stava bene in uniforme, in qualunque uniforme. Elli, seduta a fianco di Miles, sembrava la sua gemella al femminile; il corpo snello disteso con falsa nonchalance, il braccio appoggiato in un gesto protettivo sullo schienale del sedile sopra la testa di Miles. Ma aveva ripreso a mangiarsi le unghie, osservò Miles. Seduto tra i due, con indosso l’uniforme verde di Lord Vorkosigan, Miles si sentiva come una foglia di crescione appassito tra due fette di pane ammuffito. Era troppo stanco per quel genere di feste a tarda sera.

«Certo che è una trappola» disse Miles. «Chi l’ha tesa e perché è proprio quello che vogliamo scoprire. E anche quanto sanno. Hanno progettato tutto perché credono che l’ammiraglio Naismith e Lord Vorkosigan siano due persone diverse… o perché non lo sanno? E in questo caso, verranno compromessi i collegamenti segreti di Barrayar con i Mercenari Dendarii in vista di operazioni future?»

Lo sguardo di Elli incontrò il suo. Appunto. E se il trucchetto di Naismith era finito, che futuro avevano loro due?

«O forse» disse Ivan, nel tentativo di dare il suo contributo, «non c’è nessuna relazione. Magari si tratta solo di criminali del posto in cerca di un bel riscatto. O qualcosa di ancor più tortuoso, come ad esempio i cetagandani che cercano di mettere nei guai Naismith con l’ambasciata barrayarana, sperando che noi si riesca ad aver più fortuna di loro nel far fuori la spia. O magari…»

«Magari sei tu il genio malefico dietro tutto questo, Ivan» suggerì Miles in tono affabile, «che cerchi di liberarti la strada verso il comando in modo da avere l’ambasciata tutta per te.»

Elli lo guardò di sottecchi per accertarsi che stesse scherzando, mentre Ivan si limitava a fare un sorrisetto agro. «Oh, come mi piace quest’idea.»

«L’unica cosa che sappiamo con certezza è che non si tratta di un tentativo di assassinio cetagandano» sospirò Miles.

«Vorrei poterne essere sicura come sembri esserlo tu» mormorò Elli. Era la sera del quarto giorno dalla scomparsa di Galeni. Le trentasei ore trascorse da quando era stata fatta ai dendarii quella strana offerta le avevano dato il tempo di pensare e l’attrattiva iniziale si era spenta mentre al contrario Miles la trovava sempre più eccitante per le possibilità che offriva.

«Segui la mia logica» le disse. «I casi sono due: o i cetagandani continuano a credere che si tratti di due diverse persone oppure no. Loro vogliono uccidere l’ammiraglio Naismith, non il figlio del primo ministro di Barrayar. L’uccisione di Lord Vorkosigan potrebbe dare inizio ad un’altra guerra sanguinosa. E infatti sapremo che la mia copertura è saltata il giorno in cui smetteranno di cercare di eliminare Naismith… e cominceranno invece a fare pubblicamente un gran can-can sulle operazioni dei dendarii contro di loro, cosa molto imbarazzante. Ma per nulla al mondo si perderebbero quell’opportunità diplomatica, soprattutto in questo momento, con la questione del trattato sui diritti di passaggio attraverso Tau-Ceti. Potrebbero mandare in fumo i nostri commerci galattici con una sola mossa.»

«E proprio come primo passo di quel piano, potrebbero tentare il collegamento tra i due» disse Ivan, riflettendo ad alta voce.

«Non ho detto che non sono stati i cetagandani» rispose Miles in tono tranquillo, «ho solo detto che se sono loro, questo non è un assassinio.»

Elli gemette.

Miles gettò un’occhiata all’orologio. «È l’ora dell’ultimo controllo.»

Elli attivò il comunicatore da polso. «Sei sempre lassù, Bel?»

La voce da contralto del capitano Thorne rispose dal velivolo che li seguiva carico di truppe dendarii. «Vi seguo a vista.»

«Molto bene, resta in quella posizione. Tu ci guardi le spalle dall’alto e noi guardiamo davanti. Questo sarà l’ultimo contatto a voce, prima del segnale di scendere.»

«Aspetteremo. Bel chiude.»

Miles si sfregò nervosamente la nuca e Quinn, notando quel gesto, commentò: «Non mi riempie di gioia l’idea di far scattare la trappola lasciando che ti prendano.»

«Non ho nessuna intenzione di lasciare che mi prendano. Il momento in cui scoprono le carte, Bel scende e saremo noi a prendere loro. Ma se non danno l’impressione di volermi far fuori subito, potremmo venire a sapere parecchio lasciandoli portare avanti un poco il loro piano. Alla luce della… ah… situazione all’ambasciata, potrebbe valere la pena di correre il rischio.»

Lei scosse la testa in muta disapprovazione.

I minuti seguenti trascorsero in silenzio. Miles stava ripassando mentalmente tutti gli eventuali sviluppi che avevano preso in considerazione per gli eventi di quella sera, quando si fermarono davanti a una fila di antiche case a tre piani che si affacciavano su una strada a mezza luna. Gli edifici erano bui e silenziosi, vuoti, come se stessero aspettando la demolizione o la ristrutturazione.

Ehi guardò i numeri civici sulle porte e aprì il tettuccio. Miles scivolò fuori e rimase in piedi accanto a lei, mentre Ivan, rimasto in macchina, leggeva i sensori. «Non c’è nessuno» riferì.

«Cosa? Non è possibile» disse Elli.

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