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«Uhm… sì, bene» disse Galeni massaggiandosi la fronte, «nel frattempo, quando il dovere dovesse chiamare ancora l’ammiraglio Naismith, lei verrà subito da me, tenente Vorkosigan.» Sospirò e proseguì: «Le ordinerei di restare nel suo alloggio, ma l’ambasciatore ha espressamente richiesto la sua presenza come accompagnatore oggi pomeriggio. Ma non dimentichi che avrei potuto deferirla con gravi accuse… come ad esempio disobbedienza agli ordini.»

«Ne sono… perfettamente consapevole… ehm, signore. E… Ivan?»

«In quanto ad Ivan, vedremo» Galeni scosse il capo, come se stesse appunto considerando il caso di Ivan. Miles non poteva biasimarlo.

«Sissignore.» disse Miles, decidendo che per il momento non poteva spingersi oltre.

«Può andare.»

Di bene in meglio, fu il sardonico pensiero di Miles mentre usciva dall’ufficio di Galeni: prima pensava che fossi solo un insubordinato, adesso pensa che io sia pazzo.

Qualunque sia la mia identità.

L’evento politico-mondano del pomeriggio era un ricevimento con pranzo in onore del Baba di Lairouba, in visita alla Terra. Il Baba, capo di stato ereditario del suo pianeta, aveva unito i doveri politici a quelli religiosi. Dopo aver concluso il pellegrinaggio alla Mecca, era venuto a Londra per prendere parte, come rappresentante del gruppo di pianeti del Braccio Occidentale di Orione, ai colloqui sui diritti di passaggio. Tau Ceti era il mozzo di quella distorsione, al quale Komarr si collegava attraverso due rotte: da qui l’interesse di Barrayar.

I doveri di Miles erano i soliti. In questo caso si trovò a far coppia con una delle quattro mogli del Baba e non era sicuro di poterla classificare come una orribile matrona… i brillanti occhi marroni e le mani lisce color cioccolata erano molto graziose, ma il resto del suo corpo era avvolto in metri e metri di seta color crema dal bordo ricamato in oro, che suggeriva una bellezza formosa, come quella di un seducente materasso.

In quanto al suo spirito, non ebbe modo di giudicarlo, perché la donna non parlava né inglese, né francese, né russo o greco, né nella versione barrayarana né in nessun altra e Miles non parlava né lairoubano né arabo. Tutto questo perché, sfortunatamente, la scatola dei microtraduttori era stata consegnata ad un indirizzo sbagliato dalla parte opposta di Londra, e così più della metà dei diplomatici presenti non era in grado di fare altro che fissare il suo vicino e sorridere. Per tutta la durata del pranzo, Miles e la signora si intesero sulle necessità più immediate a gesti: Vuole il sale, signora? e in un paio di occasioni lui la fece ridere. Ma senza sapere per cosa.

Circostanza ancor più sfortunata, prima che potessero venir cancellati i discorsi di rito ai brindisi, arrivarono degli altri microtraduttori, consegnati da un fattorino ansante. E così, a beneficio della stampa, si tennero tutti i discorsi di augurio nelle lingue più svariate. Poi il pranzo ebbe termine e la compagna di Miles venne raggiunta e portata via da altre due co-mogli, lasciandolo libero di andare raggiungere il gruppo dell’ambasciatore barrayarano. Mentre girava attorno ad un altissima colonna di alabastro che sorreggeva il soffitto a volta, si ritrovò faccia a faccia con la giornalista della rete Euronews.

«Mon Dieu, il piccolo ammiraglio» esclamò tutta allegra. «Cosa ci fa qui?»

Ignorando il grido angosciato del suo cervello, Miles assunse un’espressione educatamente perplessa. «Come dice, signora?»

«Ammiraglio Naismith o…» nei suoi occhi si accese una luce di interesse quando vide l’uniforme che indossava. «Si tratta forse di una missione segreta dei mercenari, ammiraglio?»

Passò un istante. Poi Miles spalancò gli occhi e lasciò che la sua mano si appoggiasse sull’esterno dei pantaloni della sua uniforme, alla ricerca di un’arma che non c’era. «Mio Dio» esclamò con voce soffocata dall’orrore (quello non era difficile imitarlo), «intende forse dire che l’ammiraglio Naismith è stato visto sulla Terra?»

La giornalista sollevò il mento e dischiuse le labbra in un sorrisetto incredulo. «Nel suo specchio, di certo.»

Si vedevano molto le strinature sulle sopracciglia? E la mano sinistra era ancora fasciata. Non è un’ustione, madame, pensò fuori di sé, me la sono tagliata facendomi la barba…

Di colpo si mise sull’attenti, facendo sbattere i tacchi dei lustri stivali e le rivolse un piccolo inchino formale. Poi, con un pesante e caricato accento barrayarano, disse: «C’è un errore, signora. Io sono Lord Miles Vorkosigan di Barrayar, tenente del Servizio Imperiale. Non che non aspiri al grado di cui mi ha gratificato, ma mi sembra un tantino prematuro.»

«Le sue ustioni sono guarite, signore?» proseguì lei imperterrita con il più dolce dei suoi sorrisi.

Miles inarcò le sopracciglia (No, non avrebbe dovuto metterle in mostra). «Naismith si è ustionato? Lo ha visto? Quando? Le spiace se ne parliamo? L’uomo a cui ha accennato riveste un interesse particolare per la Sicurezza Imperiale Barrayarana.»

Lei lo squadrò da capo a piedi. «Non mi meraviglio, visto che siete la stessa persona.»

«La prego, venga, venga da questa parte» E adesso come avrebbe fatto a cavarsela? La prese per un braccio e la condusse verso un angolino appartato. «Certo che siamo la stessa persona: l’ammiraglio Naismith dei Mercenari Dendarii è il mio…» gemello legittimo? No, questa non poteva proprio funzionare. Ma l’illuminazione non sorge piano come il sole, è piuttosto un lampo a ciel sereno: «… clone» terminò tranquillo.

«Che cosa?» La sua certezza si stava incrinando. Lo guardò con rinnovato interesse.

«Il mio clone» ripeté Miles con voce più ferma. «È una creazione straordinaria. Noi pensiamo, anche se non siamo mai stati in grado di averne conferma, che Naismith sia il risultato di un’azione cetagandana che doveva restare segreta e che invece gli è del tutto sfuggita dalle mani. E comunque la scienza medica cetagandana è assolutamente in grado di creare un clone. I particolari reali dei loro esperimenti genetici militari la farebbero inorridire.» Miles si interruppe: almeno quell’ultima affermazione era vera. «A proposito, lei chi è?»

«Lise Vallerie» rispose lei mostrandogli il tesserino-stampa. «Della rete Euronews.»

Il fatto stesso che avesse ritenuto di doversi presentare di nuovo, disse a Miles che aveva scelto la strada giusta. «Ah» esclamò ritraendosi di un passo, «la televisione. Non me ne ero reso conto. La prego di scusarmi, signora, ma non posso parlarle senza il permesso dei miei superiori.» E fece per voltarsi.

«No, aspetti… ah… Lord Vorkosigan, oh… non sarà mica parente di quel Vorkosigan, vero?»

Miles sollevò il mento, cercando di assumere un’aria severa. «È mio padre.»

«Oh» sussurrò lei nel tono di chi ha ricevuto l’illuminazione. «Questo spiega tutto.»

Infatti pensavo che sarebbe stato così, pensò Miles allegro. Poi fece ancora il gesto di andarsene e la giornalista gli si aggrappò come un edera. «No, la prego… se non sarà lei a darmi i particolari, stia pur certo che indagherò per conto mio.»

«Be’…» Miles si interruppe. «Dal nostro punto di vista è storia vecchia. Però immagino di poterle dare delle informazioni, dal momento che la cosa riguarda espressamente me. Ma quanto le dirò non dovrà essere divulgato al pubblico. Prima deve darmi la sua parola che non lo farà.»

«La parola di un Lord Vor barrayarano è sacra, vero?» rispose lei. «Io non rivelo mai le mie fonti.»

«Molto bene» disse Miles, fingendo di credere che avesse promesso, anche se in realtà le sue parole non avevano detto nulla di simile. Afferrò un paio di sedie e si sedettero lontani dai roboservi che stavano sparecchiando il tavolo del banchetto. Poi Miles si schiarì la gola e si lanciò.

«Il costrutto biologico che si fa chiamare ammiraglio Naismith è forse… l’uomo più pericoloso della galassia. Astuto, intrepido, sia il servizio segreto cetagandano che quello barrayarano hanno cercato di assassinarlo, in passato, ma senza successo. Lui si è costruito una base potente, con la Flotta dei Dendarii e ancora non sappiamo cosa intenda farne, anche se è certo che deve avere un piano.»

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