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— Non lo dimenticherò.

Douglas sedeva a bordo della jeep parcheggiata nel cortile. L'unica luce era quella delle stelle. La luna non era ancora sorta.

— Grazie, Angela — disse piano Douglas. — Se non ti spiace, vorrei parlare con Alec da solo.

— No, non mi dispiace… papà. — Ad Alec parve che pronunciasse l'ultima parola con particolare enfasi.

— Be'? — chiese Alec avvicinandosi alla jeep. Riusciva a malapena a scorgere l'espressione di suo padre nel buio.

— Che progetti hai? — gli chiese Douglas.

Alec esitò, poi rispose mentendo: — Non lo so ancora di preciso. Devo parlare con mia madre e col Consiglio.

— Lei ne fa ancora parte?

— Lo presiede.

— Avrei dovuto immaginarlo — borbottò Douglas. — Le società matriarcali hanno bisogno di un'ape regina.

Alec strinse i pugni ma non disse niente.

— Ascoltami bene — riprese Douglas. — Nei prossimi giorni tu e i tuoi uomini avrete la dissenteria. Non è mortale, ma…

— Abbiamo molti medicinali.

— Stronzate! Le pillole non vi serviranno a niente; credimi sulla parola. Una volta che avete cominciato a nutrirvi della flora e della fauna locale i bacilli intestinali cambiano e vi pigliate la dissenteria. È inevitabile. E anche se non morirete, desidererete di essere morti. Non sarete in grado di difendervi. A meno che non vi chiudiate a bordo delle navette, qui sarete perduti. E io non posso permettermi di lasciare che i miei uomini restino qui a farvi la guardia e a proteggervi per chissà quanti giorni.

— Andatevene pure — replicò duramente Alec. — Non abbiamo bisogno della vostra protezione.

— Potreste venire con noi.

— Per aiutarti a costruire il tuo impero?

— Per aiutarmi a salvare tua madre e gli altri.

— A questo penserò io procurandomi i materiali fissili.

Douglas scosse la testa con fermezza. — No. Non ci riuscirai. Sono troppo lontani da qui, e troppo ben protetti. Morirete tutti prima di aver percorso cento chilometri.

— Sono venuto qui per prendere quei materiali.

— Morirai.

— Hai intenzione di uccidermi tu?

— Non occorre che io alzi un dito! — esclamò Douglas esasperato. — Puoi morire in mille modi, qui: per mano dei banditi, per ferite o malattie… diavolo, potresti perfino morire di fame, se, come penso, ignori tutto dell'arte della sopravvivenza.

— Mi procurerò quei materiali, in un modo o nell'altro.

— Oh, davvero? — replicò con sarcasmo Douglas. — Be', scoprirai che non sarà molto facile riuscirci. Intanto, quando parlerai con tua madre ti ordinerà di tornare. La conosco, non permetterà che il suo prezioso figlio resti qui allo sbaraglio. Potrebbe farsi male.

— Può darsi che tu la conosca — replicò furibondo Alec, — ma non conosci me.

— È vero. Ed è un peccato perché non potrò mai conoscerti: o tornerai alla base o morirai nel giro di una settimana.

— Vedremo.

— Certo. Ed è anche un peccato che l'educazione che ti hanno impartito sia destinata a esserti fatale. Forse avresti finito col diventare qualcuno che sarebbe valsa la pena di conoscere. Sei abbastanza testardo da somigliarmi, questo te lo concedo.

Detto questo, girò la chiavetta dell'accensione e accese il motore. Un motore elettrico, scoprì con stupore Alec. Senza aggiungere altro, Douglas fece marcia indietro fino all'imbocco del cortile e sparì nella notte.

Alec rimase ancora qualche istante, gingillandosi con l'impugnatura del mitra, prima di rendersi conto che avrebbe potuto uccidere suo padre.

14

La mattina dopo, Alec era preparato a discutere con sua madre, invece non ci furono discussioni.

Chiuso nell'abitacolo blindato, solo e isolato dagli altri, riferì tutto quello che era successo fino a quel momento, e concluse dicendo che aveva deciso di andare verso nord alla ricerca dei materiali fissili. La voce di sua madre suonava stranamente lontana, molto più fredda e distante dei quattrocentomila chilometri che li dividevano.

— Devi fare quello che bisogna fare — disse con voce fredda, metallica, fra i fischi e i crepitii della statica solare.

— Quando avrò trovato i materiali mi dovrai mandare dei rinforzi.

— Bene, Alec. Il Consiglio approverà il tuo progetto. Ci penserò io.

— E Kobol?

L'esitazione nel rispondere durò più dell'intervallo dovuto alla distanza. — So io come persuadere Kobol. Non ti metterà i bastoni fra le ruote.

— Bisognerà che tu faccia mettere a punto le altre navette e provveda a farci lanciare dei rifornimenti. Avremo bisogno di medicinali e munizioni, carburante…

— Ci vorrà parecchio tempo. Parecchi giorni se non di più.

— Va bene. Mi terrò in contatto via satellite. Sarebbe una buona idea attivare uno dei satelliti automatici di collegamento, se è possibile. Così potremo restare sempre in contatto.

La voce di lei si andava affievolendo. Il satellite si allontanava. — Proverò, Alec. Proverò.

— Abbiti cura, mamma. Bada a te.

— Anche tu, Alec. Fa' quello che devi fare. Trovalo e fa' quello che devi fare… — la voce si ridusse a un sibilo sommesso.

Alec rimase lì seduto davanti alla radio per alcuni minuti: aveva caldo e si sentiva debole. Coraggio!, si disse. Sono responsabile della vita di quindici uomini. Allungò la mano per aprire lo sportello e una fitta acuta gli trapassò il ventre. Non si mosse, gli girava la testa.

Si alzò, con uno sforzo, intontito e dolorante, e scese. Si stava meglio all'aperto. Aspirò qualche profonda boccata della fresca aria mattutina e si costrinse a ignorare il dolore.

— Tu — chiamò l'uomo più vicino, che era intento a esaminare il serbatoio del carburante, dietro la cabina e sotto l'affusto del laser. L'uomo si voltò. Alec lo riconobbe ma non riuscì a ricordarne il nome. — Cerca i microfilm medici e trovami tutte le informazioni possibili sulla dissenteria. Poi di' a Gianelli che si faccia dare tutti i dati disponibili quando si rimetterà in contatto radio via satellite.

L'uomo lo guardò perplesso. — Ci vorranno ancora dodici ore prima che il satellite sia alla nostra portata.

Alec annuì e il movimento gli procurò un nuovo attacco di vertigini. — Sì. Fa' come ti ho detto.

— D'accordo. Dissenteria? — Adesso sembrava più spaventato che perplesso.

Alec si avviò alla ricerca di Jameson, camminando lentamente e cercando di dominare la nausea che l'aveva assalito. Lo trovò tranquillamente seduto con la schiena appoggiata alla ruota di un'autoblindo, intento a lubrificare il mitra. Furetto guardava l'arma, a qualche metro di distanza, con gli occhi che brillavano avidi.

— Non mi fido di lui — disse Jameson ad Alec finendo di rimontare il mitra. Poi guardò Alec in faccia. — Te la sei presa anche tu, vero? — disse.

— E tu? — chiese Alec appoggiandosi pesantemente a una ruota.

Jameson annuì senza perdere d'occhio Furetto. — Ho avuto un attacco, stanotte. Non è stato piacevole.

— Ci ammaleremo tutti. E Douglas ha ordinato ai suoi di partire.

— Lo so. Will Russo era venuto a cercarti. Era molto dispiaciuto, ma devono partire prima di mezzogiorno.

Alec chiuse gli occhi, appoggiando la testa al freddo metallo del parafango per cercare un po' di refrigerio.

— Questo significa che siamo abbandonati a noi stessi.

— Con diarrea e vomito come compagni — commentò Jameson, senza ironia né malizia.

— Cosa possiamo fare?

— Non ci mandano una navetta?

— No… — un altro crampo gli mozzò il fiato e Alec faticò non poco a dominarsi. — Appena saremo in grado di muoverci partiremo per il nord alla ricerca dei materiali fissili.

Jameson tacque a lungo. Alec lo guardava con la vista offuscata dal dolore. Notò che scrutava le strade registrando coi suoi occhi di falco tutti i particolari delle case e degli incroci, mentre il suo cervello stava indubbiamente lavorando a tutto spiano.

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