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— Allora cosa succederà quando avrete consumato tutto il carburante fissile che sarete riusciti a trovare? — chiese Douglas.

— Possono passare secoli prima che questo succeda!

— Secoli… millenni… che differenza fa? Il punto è — insisté Douglas — che un giorno accadrà e a meno che voi non abbiate le cognizioni e l'intelligenza per ideare nuove apparecchiature… dei generatori a fusione, per esempio… e quel giorno sarà la fine. Per tutti.

— Ma avverrà in un futuro così lontano… — obbiettò Alec.

— E le medicine?

— Fabbrichiamo sinteticamente tutte quelle necessarie.

— Oh, certo! — commentò con pesante ironia Douglas. — Ma quanti di voi hanno già le ossa troppo fragili per sopportare la gravità terrestre? Quanti sono destinati a un colpo di sole perché non hanno sufficiente melanina nella pelle? Vedo per esempio che ti sei preso una bella scottatura sulla nuca.

Alec era confuso. — Ma questi sono caratteri ereditari. La medicina non può…

— Giusto! — esclamò Douglas. — Cosa mi dici di quei quattro o cinque di voi che ogni anno muoiono di cancro? Eh?

Sempre più confuso, Alec rispose: — Ma il cancro è inevitabile, inguaribile. Lo sanno tutti.

— Ah, davvero? — Douglas scoccò un'occhiata a Will, poi tornò a rivolgersi ad Alec. — Si dà il caso che sulla Terra, prima dell'esplosione solare, fossero state scoperte diverse medicine che guarivano il cancro.

— Sul serio?

Douglas annuì. — E l'incidenza del cancro fra voi aumenta del cinque per cento all'anno. Fra un paio di generazioni… pfft! — schioccò le dita.

— No!

— L'ho calcolato io stesso. Cancro, difetti congeniti, malattie ereditarie… sono tutti in aumento sulla base, a causa degli accoppiamenti fra le stesse persone e i loro discendenti. Prima dell'esplosione solare questo era un problema che non si poneva per il continuo scambio di personale fra la Terra e la Luna. Ma nella popolazione della colonia che ha sempre vissuto lassù e non ha più avuto contatti con gli altri, gli effetti ereditari degli accoppiamenti fra consanguinei cominciano già a mostrarsi.

— Non può essere vero.

— Come, non può? Credi che i computers mentano? No, dicono la verità. Sono spietati. A loro non importa se quello che ti dicono può essere sgradevole, si limitano a valutare il problema e a dirti qual è la risposta.

— Non ci posso credere. La risposta di un computer dipende dai dati fornitigli.

Douglas alzò le spalle. — I dati che ho immesso erano le anamnesi di persone da tempo sulla Luna. La colonia è moribonda. È troppo piccola e isolata per poter sopravvivere. Oh, certo, magari riuscirà a resistere ancora per un paio di generazioni… diciamo una cinquantina d'anni. Ma ne dubito. Quando sono partito c'erano già parecchi indizi di logorio, e scommetto che adesso c'è molta tensione nell'aria. Nessuno sa come costruire nuovi macchinari. È vero ci sono molti buoni tecnici, ma non dei veri scienziati, per così dire. E qualche astronomo. E le malattie genetiche le nascondete, come si suol dire, sotto il tappeto, perché nessuno sa come trattarle o cosa deve fare per eliminarle.

— Ha ragione — disse con gentilezza Will ad Alec. — Io ero medico, lassù, sai? Quello che Douglas dice è la verità.

Alec li guardò torvo tutt'e due: — Così avete deciso che la colonia deve morire e siete partiti senza avere intenzione di fare ritorno.

— Non è esatto — ribatté Douglas. — La colonia morirà se resterà isolata. Io cerco di salvarvi costringendovi a ricollegarvi col resto dell'umanità, con la Madre Terra. E perché questo sia possibile devo creare una civiltà vitale qui, sulla Terra. Capisci?

Un'ondata d'ira ribollente stava sopraffacendo Alec. — Questo è un modo elegante per dire che ti stai creando un piccolo impero per tuo uso e consumo quaggiù, e vuoi costringere la colonia lunare a farne parte.

Douglas ribatté con un triste sorriso: — Vedo che tua madre ti ha bene istruito. — Allargò le braccia. — Chiamalo impero, rinascimento, tentativo di evitare che la razza umana scompaia completamente… chiamalo come diavolo ti pare, ma io sono deciso a riannodare i fili della civiltà, in un modo o nell'altro. E voglio che tu lavori con me. Sei mio figlio, e…

— E un giorno erediterò tutto questo? — gridò Alec. — L'erede designato? Il principe ereditario?

— Qualcosa del genere — mormorò Douglas.

— Allora sei pazzo! Non sai che i principi ereditari passano il tempo a complottare per uccidere il re?

Douglas non disse niente. Rimase lì seduto sul pavimento. Guardò suo figlio, a lungo. Poi, lentamente si alzò e uscì. Alec lo seguì con lo sguardo, senza muoversi.

Will Russo scrollò la testa. — Non dovrei ficcare il naso in una faccenda che riguarda solo voi due, ma, perdio, non gli dovevi dire una cosa tanto cattiva! Sono vent'anni che aspettava di vederti.

— Be', mi ha visto — disse Alec, nauseato da tutta la faccenda. — Che cosa si aspettava? Che mi congratulassi perché ci aveva piantato? Che gli dessi una medaglia per aver voltato la schiena alla base lunare in modo da crearsi un impero qui?

— Ci sono molte cose che tu non capisci.

— Non è vero — disse brusco Alec alzandosi. — Capisco perfettamente. Può fare tutti i ragionamenti che vuole, ma sta di fatto che gioca a fare il re qui invece di comportarsi da cittadino responsabile sulla Luna. E cerca di sottometterci impedendoci di procurarci i materiali fissili. Sa che senza non possiamo sopravvivere.

— Non sopravviverete neanche se riuscirete ad averli — gli disse Will con gentilezza. — È questo quanto cercava di farti capire.

Pareva che il pomeriggio non finisse mai. Alec lo trascorse percorrendo le strade della città morta, prendendo a calci i cumuli di polvere, guardando le erbacce e i rari fiori stenti che si piegavano al vento. Intorno alla città crescevano ovunque alberi fitti e rigogliosi, ma per qualche inspiegabile motivo quelli piantati lungo le vie erano ridotti a nudi scheletri.

Gli ci vollero parecchie ore per riuscire a calmarsi, per riacquistare sufficiente controllo da presentarsi ai suoi uomini senza paura che gli tremassero le mani. Mio padre è convinto di aver ragione, pensò. E ha convinto Will e gli altri. Tutto quel che la mamma mi ha detto sul suo conto è vero. È capace di razionalizzare tutto, e una volta persuaso che i suoi ragionamenti sono giusti non gli importa se gli altri vivono o muoiono. Dice che si comporta così per il nostro bene. Che bastardo!

La fiammeggiante bellezza del tramonto passò inosservata ai suoi occhi. Solo quando cominciò a fare buio, il timore di restare solo in un ambiente sconosciuto lo indusse a tornare sui suoi passi. Con tutte quelle diramazioni e incroci, non gli fu facile ritrovare l'ufficio postale, ma finalmente ci arrivò. I suoi stavano mangiando insieme a quelli di Will intorno a un fuoco, di fronte all'ufficio postale.

— Oh, eccoti finalmente! — disse Jameson quando Alec uscì dall'ombra di un'autoblindo. — Cominciavo a pensare di mandare un paio di uomini a cercarti.

— Come vedi, ti preoccupavi per niente — rispose Alec.

I suoi uomini e quelli di Will avevano fatto amicizia. Le ragazze ridevano e civettavano. Angela non c'era. Alec si mise a sedere per terra accanto al fuoco e divise il pasto con gli altri. Non si preoccupò di chiedere cosa bollisse nella pentola. Era una cosa insipida, o per lo meno lui non sentiva nessun sapore.

Angela comparve mentre lui finiva di mangiare.

— Papà vuole vederti — disse asciutta.

Alec si alzò e la seguì. — Non è tuo padre — le disse con asprezza mentre si avviavano verso il retro dell'ufficio postale.

Le lampeggiarono gli occhi e disse bruscamente: — Molto più di… — poi si riprese, ci ripensò e concluse: — Hai ragione. Non è il mio vero padre.

— E tu non sei mia sorella.

— E allora?

— Allora cerca di ricordartelo.

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