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— Metà? — lo interruppe Kobol. — Ne sei certo?

LaStrande lo sbirciò con gli occhi miopi. — Se dico che posso, posso. I riciclatori non hanno bisogno di tanta energia. Non c'è motivo perché non la si possa dirottare nell'idroponica.

Kobol si fregò il mento, pensoso.

Lisa sorrise fra sé. Anche lui non è facile da plasmare, pensò, ma almeno vuole il potere. Ha quell'ambizione che manca a Douglas. Ma è infido. Come un serpente. Non sfiderebbe mai apertamente Douglas. Però non ha esitato a infilarsi nel mio letto quando l'ho invitato a farlo. E adesso sta cercando di ottenere il comando della comunità.

Con un sospiro di rimpianto, Lisa si disse che ormai questo era tutto ciò che le restava. Martin può diventare un capo, e io lo manovrerò.

— Allora è tutto sistemato — stava concludendo Kobol. — L'energia in sovrappiù verrà immessa negli impianti idroponici. Marrett, i tuoi minatori dovranno provvedere subito ad ampliare il reparto idroponico. Jim…

Ma Blair e gli altri non gli badavano. Guardavano verso la porta. Lisa si voltò e vide sulla soglia una giovane in tuta. Era un addetta alle comunicazioni.

— Sì? Cosa c'è? — le chiese Blair.

La faccia della ragazza era rossa per l'eccitazione. Entrò nella stanza, si fece strada fra Kobol e la sedia di Lisa e porse a Blair un foglio di sottilissima plastica, il materiale riciclabile che, sulla Luna, sostituiva la carta.

Blair lesse il messaggio, e s'illuminò in viso.

— È di Douglas — disse, rileggendo il foglio come se non riuscisse ancora a credere a quello che c'era scritto. — Sta tornando. Arriverà fra quarantacinque ore.

Le sue parole furono accolte da mormoni di sorpresa. Lisa provò un assurdo senso di gioia che la irritò. Idiota!, si disse con rabbia. Douglas rovinerà tutto. Tutto.

Ma nonostante questo era contenta. Kobol era impallidito.

— E non è tutto — riprese Blair. — Douglas dice che porterà altre venticinque persone… la maggior parte in pessime condizioni, per cui dovranno essere subito ricoverate.

3

Il locale più ampio dell'installazione sotterranea era una specie di magazzino, deposito e garage situato subito dopo la pesante doppia porta metallica del compartimento stagno principale che portava in superficie. Vicino alle porte erano parcheggiati in file regolari, lungo le linee colorate dipinte sul pavimento, veicoli di vario genere: autogru elettriche, fuoristrada lunari con le ruote elastiche, bicicli per pedalare lungo i corridoi sotterranei.

In file e cataste altrettanto precise erano disposti casse e scatoloni su cui spiccavano le etichette che indicavano il contenuto: macchinari, generi alimentari, medicinali, indumenti, in una parola tutte cose che la base lunare non era in grado di produrre autonomamente.

Sono un memento, pensò Lisa entrando nello stanzone, un memento di quanto noi dipendessimo dalla Terra. Riusciremo a sopravvivere senza la Terra? Kobol dice di sì, ma sarà vero?

Insieme a lei c'erano Kobol e Catherine Demain. Aspettarono davanti al portello del compartimento stagno, in fondo all'ampia corsia che divideva le cataste di rifornimenti dalle file dei veicoli. Alle loro spalle c'era una squadra di volontari pronti a intervenire per accompagnare in ospedale i superstiti della Terra.

Kobol controllò l'ora: — Ancora qualche minuto al massimo.

Lisa si voltò a un rumore di passi. L'ascensore aveva sfornato una dozzina di persone che erano venute a unirsi a loro nell'attesa.

Anche Kobol si voltò, e una smorfia di disappunto si dipinse sulla sua faccia scarna: — Perché non sono al lavoro? Nessuno ha avuto il permesso di salire qui all'infuori di quelli…

Lisa gli pose una mano sul braccio per farlo tacere. Altra gente scendeva dall'ascensore chiacchierando, ridendo, ammassandosi per fare posto agli altri che via via arrivavano. Erano quasi tutti in abiti da lavoro, ma l'atmosfera era quella eccitata di un giorno di festa sulla Terra.

— Saranno un centinaio — osservò Catherine Demain sorridendo felice.

— E ne arrivano ancora.

— ATTENZIONE — la voce degli altoparlanti inseriti nel soffitto echeggiò lungo le pareti di pietra. — LA NAVE DA TRASPORTO È SCESA SULLA PISTA DI ATTERRAGGIO…

Dalla folla si levarono grida di gioia che impedirono di sentire parte delle parole di Blair. — …FRA CIRCA CINQUE MINUTI DOVREBBERO ARRIVARE AL COMPARTIMENTO STAGNO. IL PERSONALE MEDICO SI TROVI AI POSTI ASSEGNATI FRA CIRCA CINQUE MINUTI.

La folla continuava a ridere e parlare facendosi avanti. Lisa si sentì spingere verso le porte di metallo.

— Chi ha dato loro il permesso di lasciare il lavoro? — disse con ira Kobol. — Non si può permettere una simile ressa!

Catherine Demain lo guardò ridendo: — Cosa ci puoi fare? Sono tutti eccitati perché Douglas arriva coi superstiti.

La folla continuava a spingere. I bambini si erano arrampicati sui veicoli per poter vedere meglio. C'era una grande eccitazione nell'aria. Lisa si ritrovò tutt'a un tratto a rabbrividire di freddo. Si voltò e vide che la lucetta dell'indicatore del compartimento da rossa era diventata gialla.

Trattennero tutti il respiro, e un silenzio assoluto calò nell'enorme caverna. La luce finalmente diventò verde e la massiccia porta di metallo cominciò ad aprirsi lentamente. Kobol era teso come un cavo d'acciaio. Catherine Demain fece istintivamente un passo avanti.

— Aiutateli — ordinò Lisa. Due volontari lasciarono cadere la barella che portavano e corsero a spingere la porta per affrettarne l'apertura.

Il primo a uscire fu uno dei piloti, allegro e sorridente, che cercò con lo sguardo tra la folla finché una biondina che stava in prima fila non gli si gettò fra le braccia.

Poi uscì un giovane, nel quale Lisa riconobbe un tecnico delle comunicazioni. Aveva la tuta imbrattata di fango e la faccia sporca, ma anche lui sfoggiava un grande sorriso, un sorriso di soddisfazione, di sollievo, di appagamento.

La folla guardò ammutolita quando i sopravvissuti dalla catastrofe terrestre uscirono uno alla volta, quasi tutti sorretti dagli uomini di Douglas. I volontari accorsero e li accompagnarono all'ascensore per portarli nell'infermeria improvvisata allestita per loro. La folla si fece da parte per lasciarli passare. Erano in maggioranza uomini, magri, deboli, pallidi. Non si vedevano ustioni o ferite sotto gli abiti ridotti a brandelli.

Quando anche l'ultimo fu uscito, Catherine Demain seguì le barelle. Lisa invece non si mosse. La folla riprese a mormorare eccitata. Poi uscirono gli ultimi del gruppo che aveva seguito Douglas sulla Terra, e la folla li accolse con grida e applausi. Il frastuono echeggiava dalle pareti e dal soffitto di pietra. Appena uscivano, gli uomini che avevano partecipato alla missione venivano circondati dai familiari e dagli amici.

Per ultimo comparve Douglas Morgan. Non sorrideva così apertamente come gli altri. Sul suo viso non si leggevano tanto la gioia e il sollievo, quanto il dubbio e l'ironia. Ma soltanto Lisa se ne accorse. Gli altri lo accolsero con grida e applausi, circondandolo, e lo sollevarono caricandoselo in spalla.

Lisa girò la testa per osservare Kobol rimasto solo accanto al portello aperto. Martin Kobol aveva il viso contratto dall'ira e dall'invidia, e una luce omicida gli brillava negli occhi appannati.

Quando rimasero soli nel loro monolocale, Lisa si rivolse al marito dicendogli: — Così adesso sei un eroe.

Douglas si trattenne a stento dal ridere. L'accoglienza trionfale l'aveva colto di sorpresa. Per più di due settimane aveva sopportato il peso della responsabilità di una spedizione all'inferno. Aveva visto più morti di quanto avesse mai pensato, e si era costretto ad abituarsi a vivere a faccia a faccia con la morte. Era stato perfino sul punto di uccidere qualcuno degli sciacalli che avevano aggredito i suoi uomini non appena la navetta aveva toccato la pista della Florida.

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