Maksim scorse uno sguardo attento della moglie e smise di osservarle.
— Lesbiche — disse Elena con un certo disprezzo.
— Come?
— Ma guardale! Quella bruna, con i jeans, sembra decisamente un uomo!
Era vero. Maksim annuì.
Non erano loro. Gli era parso, ma si era sbagliato. Ma chi era, allora?
In un angolo della sala un cellulare cominciò a suonare e subito almeno una decina dei presenti controllò automaticamente il telefonino. Maksim seguì quel suono e di colpo gli si mozzò il fiato.
L'uomo che adesso parlava piano, brevemente, al telefono non era semplicemente un malvagio. Era addirittura tutto avvolto da un velo nero, invisibile per gli altri, ma ben percepibile da Maksim.
Emanava segnali di pericolo, e per di più di un pericolo prossimo e terribile.
Il petto gli doleva. — Sai, Lena, mi piacerebbe vivere su un'isola deserta — disse Maksim, sorprendendo innanzitutto se stesso.
— Da solo?
— Con te e i bambini. Ma che non ci fosse nessun altro. Nessuno.
Vuotò il calice in un sorso solo, e subito il cameriere gli versò altro vino.
— A me non piacerebbe.
— Lo so.
Il pugnale, nella tasca… lo sentiva bruciare e pesare sempre più. E si sentiva anche invadere da un'eccitazione sempre più forte, quasi sessuale. Che esigeva soddisfazione.
— Ti ricordi Edgar Allan Poe? — chiese Svetlana.
Ci avevano fatto entrare senza nessuna difficoltà, mi ero addirittura stupito. O le regole erano diventate più democratiche di un tempo, o i clienti erano diminuiti.
— No. È morto da troppo tempo. Anche se Semën mi ha raccontato…
— Ma non intendevo Poe come persona. Volevo dire i suoi racconti.
— L'uomo della folla? - Cominciavo a capire.
Svetlana fece una risatina: — Sì. Tu adesso sei nella sua situazione. Sei condannato a muoverti sempre nei luoghi più affollati.
— Finché non mi avranno definitivamente disgustato.
Avevamo preso tutt'e due un bicchierino di Baileys e avevamo ordinato qualcosa da mangiare. Probabilmente così facendo avevamo indotto il cameriere a un'interpretazione ben precisa della nostra visita: due prostitute inesperte in cerca di lavoro. Però la cosa mi lasciava del tutto indifferente.
— Ma lui era un Altro?
— Poe? Probabilmente, ma non iniziato.
Svetlana mormorò:
Ci sono qualità… incorporee essenze,
cui è data come una duplice vita, che è poi
emblema della doppia identità che sempre scocca
da materia e luce, in solida forma e in ombra…
La guardai stupito.
— La conosci?
— Come dirtelo? — Sollevai lo sguardo e recitai in tono solenne:
È quello il silenzio corporeo: non devi paventarlo!
Non ha potere in se stesso di nuocere.
Ma se mai un incalzante fato (intempestiva
sorte!) ti portasse a incontrare la sua ombra,
(un elfo è, senza nome e frequenta solinghe plaghe,
mai calpestate dal piede di un uomo),
oh, allora, raccomandati a Dio!
Ci guardammo in faccia per un secondo e poi scoppiammo a ridere contemporaneamente.
— Un piccolo duello letterario — disse maliziosamente Svetlana. — Risultato: uno a uno. Peccato che non ci fossero spettatori. E perché Poe è rimasto non iniziato?
— In genere, tra i poeti, i potenziali Altri sono numerosi. Ma alcuni di questi candidati è meglio che continuino a vivere da uomini. Poe, per esempio, aveva una psiche troppo instabile. Dare capacità particolari a una persona così sarebbe come dare a un piromane un fusto di napalm. Non mi arrischio neppure a cercare di immaginare da quale parte si sarebbe schierato. Probabilmente sarebbe sparito per sempre nel Crepuscolo, e molto presto anche.
— E come vivono là? Quelli che scelgono il Crepuscolo?
— Non lo so, Svetlana. Non lo sa nessuno. Qualche volta può capitare di incontrarli, nel loro mondo, ma una vera e propria comunicazione non si stabilisce.
— Vorrei saperlo. — Svetlana esaminò la sala con espressione assorta. — E qui hai notato qualche Altro?
— Il vecchio dietro di me, che parla al cellulare.
— In che senso, vecchio?
— In senso profondo. Non sto guardandolo con gli occhi.
Svetlana si morse le labbra, corrugando la fronte. Cominciava a conoscere il gusto delle prime ambizioni.
— Non ci riesco ancora — ammise. — Non capisco neppure se appartiene alle Forze della Luce o a quelle delle Tenebre.
— Alle Tenebre. Non è un agente della Guardia del Giorno, ma appartiene alle Forze delle Tenebre. Un mago di media potenza. Anche lui, comunque, ci ha notate.
— Che cosa facciamo?
— Noi? Niente.
— Ma è un mago delle Tenebre!
— Sì, e noi siamo maghi della Luce. E allora? Come membri effettivi della Guardia abbiamo il diritto di chiedergli i documenti. Ma probabilmente sono in ordine.
— E quando avremmo il diritto di intervenire?
— Be', se adesso si alzasse, agitasse le braccia, si trasformasse in un demone e cominciasse a sbranare la testa ai presenti…
— Anton!
— Sono serissimo. Non abbiamo nessun diritto di disturbare un onesto mago delle Tenebre in un momento di riposo.
Il cameriere ci portò i nostri piatti, per cui ci zittimmo. Svetlana cominciò a mangiare senza appetito. Poi sbottò con aria offesa, come i bambini quando fanno i capricci: — E la Guardia dovrà strisciare così ancora per molto tempo?
— Davanti alle Forze delle Tenebre?
— Sì.
— Finché non avremo conquistato una superiorità decisiva. Finché gli uomini che diventano Altri non avranno nemmeno il più fuggevole dubbio al momento della scelta tra la Luce e le Tenebre. Finché gli agenti delle Tenebre non saranno tutti morti di vecchiaia. Finché non saranno più in grado di sospingere gli uomini verso il Male con la facilità di adesso.
— Ma questa è una capitolazione, Anton!
— È uno stato di neutralità. Entrambe le parti hanno bisogno di tempo, perché nasconderlo?
— Sai che il Selvaggio che da solo sparge il terrore tra le Forze delle Tenebre mi è molto più simpatico? Anche se infrange il Patto, anche se involontariamente ci mette in difficoltà! Ma almeno lui combatte contro le Tenebre. Capisci? Combatte! Uno contro tutti!
— E non ti sei mai chiesta perché uccide i maghi delle Tenebre, ma non entra in contatto con noi?
— No.
— Non ci vede, Svetlana. Non ci vuole vedere.
— Be', è un autodidatta.
— Sì. Un autodidatta di grande talento. Un Altro con capacità che si manifestano in modo caotico. Capace di vedere il Male. Incapace di distinguere il Bene. Non ti spaventa questa cosa?
— No — rispose Svetlana cupa. — Scusami, ma non capisco dove tu voglia arrivare, Ol'… cioè, Anton. Scusa, ma ti sei messo a parlare proprio come lei.
— Non fa niente.
— Il mago delle Tenebre se n'è andato — disse Svetlana, guardando oltre la mia spalla. — A succhiare le forze altrui, a compiere riti malvagi. E noi non interveniamo.
Mi voltai appena. Lo vidi. Esternamente in effetti non dimostrava più di una trentina d'anni. Vestito con gusto, affascinante. Al suo tavolo erano rimasti una giovane donna e due bambini, un maschietto sui sette anni e una bambina un pochino più piccola.
— È andato a fare pipì, Sveta. E la sua famiglia, tra l'altro, è assolutamente normale. Nessun potere. Vorresti liquidare anche loro?
— Sono frutti di quell'albero…
— Prova a dirlo a Garik. Suo padre è un mago delle Tenebre. Ed è ancora vivo.
— Ci sono sempre eccezioni.
— Tutta la vita è fatta di eccezioni.
Svetlana non rispose.
— Conosco la tua smania, Sveta. Fare il Bene, perseguitare il Male. Una volta per tutte. Anch'io sono così. Ma se non capisci che è un vicolo cieco, finisci nel Crepuscolo. E qualcuno di noi sarà costretto a interrompere la tua esistenza terrena.