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Il mago delle Tenebre era un bambino.

Un ragazzino magro con i capelli scuri. Apparentemente uguale a tanti altri ragazzini della sua età… ma Maksim vedeva chiaramente l'aura di Tenebre che gli splendeva intorno.

Ma perché? Non gli era mai successo niente di simile. Aveva ucciso uomini e donne, giovani e vecchi, ma non gli erano ancora mai capitati bambini che avessero dato la loro anima alle Tenebre. Maksim non aveva mai pensato a quella possibilità, l'orse non volendo neppure prenderla in considerazione, forse rifiutandosi di decidere in anticipo che cosa avrebbe fatto. Forse sarebbe addirittura rimasto a casa, sapendo che la sua vittima aveva soltanto dodici anni.

I! ragazzino si era fermato sulla soglia del portone e fissava Maksim disorientato. Per un attimo l'uomo ebbe la sensazione che il ragazzino stesse per girarsi e correre via, veloce, sbattendo la pesante porta blindata. Corri, allora, corri!

Il ragazzino invece fece un passo avanti, accompagnando la porta perché non sbattesse. Guardò Maksim negli occhi, aggrottando un po' la fronte, ma senza paura. Incredibile. Non l'aveva scambialo per un passante qualsiasi, aveva capito che era lì per lui. Eppure gli era andato incontro. Non aveva paura? Era così sicuro della sua forza?

— Lei è una Forza della Luce, lo vedo — disse il ragazzino. A voce bassa, ma sicura.

— Sì. — Maksim riuscì a pronunciare quella parola a fatica, come se non gli volesse uscire dalla gola, senza guardarlo in faccia. Poi, maledicendo la propria debolezza, tese il braccio e prese il ragazzino per una spalla: — Sono Colui che giudica.

Il ragazzino non si spaventò nemmeno adesso.

— Ho visto Anton, oggi.

Quale Anton? Maksim rimase in silenzio, anche se dai suoi occhi trapelava lo sconcerto.

— E per lui che è venuto da me?

— No. È per te.

— Perché?

Il ragazzino aveva una leggera aria di sfida, come se avesse avuto un tempo una lunga discussione con Maksim, come se Maksim fosse in qualche modo in colpa nei suoi confronti e dovesse adesso ammetterla.

— Sono Colui che giudica — ripeté Maksim. Aveva voglia di voltarsi e scappare. Le cose non erano andate come dovevano, forse c'era stato un errore! Il mago delle Tenebre non poteva essere un bambino, un coetaneo di sua figlia! Il mago delle Tenebre doveva difendersi, cadere, scappare, non rimanere lì con l'espressione offesa, come se ne avesse tutti i diritti.

Come se questo potesse in qualche modo salvarlo.

— Come ti chiami? — gli chiese Maksim.

— Egor.

— Mi dispiace moltissimo che le cose siano andate in questo modo. — Maksim parlava in modo assolutamente sincero. E non provava nessun sadico piacere nel rimandare il momento dell'omicidio. — Al diavolo! Ho una figlia della tua età!

Per un qualche motivo, questa notizia sembrò offenderlo ancora di più.

— Ma se non lo faccio io, chi lo farà?

— Di che cosa parla? — Il ragazzino cercò di liberarsi dalla sua stretta sulla spalla, il che lo aiutò un po' a decidersi.

Bambino… bambina… grande… piccolo… Che differenza c'era? Luce e Tenebre, quella era l'unica differenza!

— Devo salvarti — disse Maksim. Con la mano libera prese il pugnale. — Devo salvarti e lo farò.

Capitolo 7

Per prima cosa riconobbi la macchina.

Poi il Selvaggio che ne stava uscendo.

E mi prese un'ondata di angoscia, pesante, disperata. Era l'uomo che mi aveva salvato quando, dentro il corpo di Ol'ga, ero fuggito dal Maharaja.

Avrei dovuto intuirlo? Forse, se avessi avuto più esperienza, più tempo, più sangue freddo. Perché c'era la donna, in macchina con lui: mi sarebbe bastato osservare la sua aura: Svetlana l'aveva descritta con molta precisione. Avrei potuto riconoscere la donna e di conseguenza anche il Selvaggio. Avrei potuto concludere tutto già in macchina.

Ma… in che modo?

Mi tuffai nel Crepuscolo, quando il Selvaggio guardò dalla mia parte. La cosa funzionò, lui continuò a camminare verso il portone in cui una volta ero stato seduto vicino alla condotta dei rifiuti e avevo avuto una tetra conversazione con una civetta bianca.

Il Selvaggio andava a uccidere Egor. Tutto come avevo pensato. Tutto come aveva calcolato Zavulon. La trappola era lì davanti a me. la molla a lungo inattiva stava per scattare. Ancora un passo e i Guardiani del Giorno avrebbero potuto rallegrarsi di un'altra operazione felicemente condotta a termine.

Ma dov'era Zavulon?

Il Crepuscolo mi dava tempo. Il Selvaggio continuava ad avanzare verso la casa, camminando senza fretta, e io mi guardavo intorno, cercando qualche segnale delle Tenebre. Almeno una traccia, un sospiro, un'ombra…

La tensione della magia, tutto intorno, era terribile. Qui si incontravano i fili della realtà che avrebbero tessuto il nostro futuro. Un incrocio di cento strade, il punto in cui il mondo doveva decidere dove andare. Non a causa mia, o del Selvaggio, o del ragazzino. Noi eravamo solo comparse. Uno doveva pronunciare la battuta: "Il pranzo è servito", un altro fare finta di cadere, il terzo salire sul patibolo pieno d'orgoglio, a testa alta. Per la seconda volta quel punto di Mosca era l'arena di una battaglia invisibile. Ma io non vedevo Altri, né delle Forze della Luce, né delle Forze delle Tenebre. Solo il Selvaggio, che però nemmeno in quel momento era percepibile come Altro. Soltanto sul suo petto si scorgeva lo scintillio: un coagulo di forza. In un primo momento avevo creduto che si trattasse del suo cuore. Poi avevo capito che era l'arma, l'arma con cui uccideva le Forze delle Tenebre.

"Allora, Zavulon?" Mi invase un senso di offesa, un assurdo senso di offesa. "Sono arrivato! Sto per cadere nella tua trappola, guarda, un piede è già dentro, adesso avverrà tutto… ma tu dove sei? O ti sei nascosto così abilmente che non sono in grado di scoprirti, o tu qui non ci sei affatto!"

Avevo perso.

Avevo perso già prima della fine de! gioco, perché non ero riuscito a capire le intenzioni del mio nemico. Qui avrebbe dovuto esserci l'imboscata, e le Forze delle Tenebre avrebbero dovuto eliminare il Selvaggio non appena lui avesse ucciso Egor.

Ma come l'avrebbe ucciso?

Io ero già lì. Gli avrei spiegato tutto, gli avrei raccontato delle Guardie che si sorvegliano a vicenda, del Patto che ci obbliga a mantenere la situazione di neutralità, degli umani e degli Altri, del mondo e del Crepuscolo. Gli avrei raccontato tutto, come l'avevo raccontato a Svetlana, e lui avrebbe capito.

Davvero avrebbe capito?

Se davvero non poteva vedere la Luce…

Il mondo per lui era un grigio gregge di pecore senza intelligenza. Le Forze delle Tenebre erano lupi che correvano attorno al gregge per sbranare gli agnelli più grassi. E lui era il cane da guardia. Incapace di vedere i pastori, accecato dal terrore e dalla rabbia, impegnato a correre da un punto all'altro, solo contro tutti.

Non mi avrebbe creduto, non si sarebbe permesso di credermi.

Corsi avanti, per raggiungerlo. La porta dell'ingresso era già aperta, e il Selvaggio stava parlando con Egor. Perché era uscito così tardi, di notte, quello stupido ragazzino, pur sapendo già benissimo quali erano le forze che governano il mondo? Possibile che il Selvaggio fosse in grado di attirare le sue vittime?

Parlare era inutile. Un attacco delle Tenebre. Immobilizzarlo. E solo dopo spiegare!

Il Crepuscolo si frantumò in migliaia di teste ferite, quando superai di corsa la barriera invisibile. A tre passi dal Selvaggio, che già si preparava ad affondare il colpo, andai a sbattere contro una parete trasparente, mi ci appiattii sopra e poi scivolai lentamente a terra, scuotendo la testa terribilmente confusa.

Male. Molto male. Lui non capiva l'essenza della forza. Era un mago autodidatta, uno psicopatico del Bene. Però quando doveva lavorare, si proteggeva con una barriera magica. Non l'aveva fatto apposta, però non per questo mi procurava meno dolore.

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