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Scoppiai in una risata amara. — Le Forze delle Tenebre non sono riuscite a saperlo, e tu mi proponi di frugare nella cassaforte del Capo?

— Non sono riusciti a impossessarsene, qualunque cosa fosse. Naturalmente non hai il diritto di impadronirti del carico, né tanto meno di toccarlo. Quanto a scoprire di cosa si tratta, invece…

— Grazie. Grazie davvero.

Semën annuì, accettando i miei ringraziamenti senza falsa modestia.

— Regoleremo i conti nel Crepuscolo. Sai, anch'io mi sono stancato di fare vacanza. Dopo pranzo prendo la moto di Tigrotto e me ne torno in città. Vuoi uno strappo?

— Sì.

Mi vergognavo. Forse solo gli Altri possono provare questo sentimento in tutta la sua pienezza. Lo concepiamo ogni volta che ci vengono incontro, quando ci fanno un regalo immeritato, a cui, tuttavia, non abbiamo la forza di rinunciare.

Non potevo fermarmi più a lungo. Non potevo in nessun modo. Vedere Svetlana, Ol'ga, Ignat. Ascoltare la loro verità.

La mia verità resterà sempre con me.

— Sai guidare la moto? — domandai, cambiando goffamente discorso.

— Ho partecipato alla prima Parigi-Dakar. Su, aiutiamo i ragazzi.

Guardai tetro Ignat. Era intento a spaccare la legna e maneggiava l'accetta con virtuosismo. A ogni colpo si fermava un istante e gettava un rapido sguardo sui presenti facendo ballare i bicipiti.

Si amava da impazzire. Amava anche il resto del mondo, per la verità. Ma se stesso prima d'ogni altra cosa.

— Ma sì, aiutiamoli — concordai. Alzai una mano e lanciai attraverso il Crepuscolo il segno della triplice lama. Alcuni ceppi si frantumarono in ciocchi ben tagliati. Ignat, che proprio in quel momento aveva alzato l'accetta per sferrare il colpo successivo, perse l'equilibrio e per poco non cadde. Si voltò.

Beninteso, la traccia del mio colpo era rimasta impressa nello spazio. Il Crepuscolo risuonava, assorbendo avidamente l'energia.

— Anton, perché l'hai fatto? — mi chiese Ignat in tono leggermente offeso. — Perché? Non è per niente sportivo, così!

— Però è efficace — risposi io scendendo dal terrazzo. — C'è altra legna da spaccare?

— Ma va' a quel paese. — Ignat si chinò a raccogliere i ciocchi. — In questo modo andrà a finire che arrostiremo gli spiedini a colpi di fireball.

Non mi sentivo per niente in colpa, ma mi misi lo stesso ad aiutarlo. La legna era stata spaccata con cura, sui tagli luccicava dorata la resina d'ambra. Tanta bellezza nella legna da ardere faceva pers no pietà.

Poi gettai uno sguardo alla villa e vidi Ol'ga affacciata a una finestra del pianterreno.

Aveva osservato con grande serietà la mia sortita. Troppa serietà.

Agitai la mano verso di lei.

Capitolo 5

Tigrotto aveva una bella moto, ammesso che in generale sia possibile applicare un aggettivo tanto impreciso a una Harley. Anche dovesse trattarsi del modello più semplice: in ogni caso, esistono le Harley-Davidson, e poi tutte le altre moto.

Perché Tigrotto la possedesse non mi era chiaro: a giudicare da tutto, veniva usata una p due volte l'anno. Probabilmente per lo stesso motivo per cui possedeva quell'enorme villa, dove trascorreva i giorni di festa. Comunque sìa. arrivammo in città che non erano ancora le due del pomeriggio.

Semën guidava magistralmente il pesante motociclo. Io non ci sarei mai riuscito, nemmeno attivando le "abilità estreme" stoccate in memoria e dando una scorsa alle linee direttrici della realtà. Sarei potuto andare quasi alla stessa velocità solo consumando una cospicua parte della forza disponibile. Semën invece si limitava a guidare, e tutta la sua superiorità nei confronti di un motociclista umano stava forse soltanto nella maggior esperienza.

Persino a cento chilometri all'ora l'aria restava rovente. Il vento sferzava le guance come un asciugamano ruvido e bollente. Proprio come se stessimo correndo attraverso una caldaia infinita, ricoperta d'asfalto, piena di macchine in lento e stentato movimento, ormai arrostite dal sole. Tre volte temetti che avremmo finito per investire un'auto o qualche pilastro capitatoci di fronte.

Difficilmente ci saremmo fracassati a morte: i ragazzi l'avrebbero percepito, sarebbero arrivati e ci avrebbero ricomposti. Ma non sarebbe stato lo stesso molto piacevole.

Arrivammo a destinazione senza problemi. Una volta superata la circonvallazione, Semën usò la magia cinque volte, ma solo per sviare l'attenzione dei vigili.

Non mi domandò l'indirizzo, benché non fosse mai venuto a casa mia. Si fermò davanti al portone e spense il motore. Un gruppetto di adolescenti si stava ingozzando di birra da due soldi nel campo giochi lì di fianco. I ragazzi fissarono la motocicletta e ammutolirono. È bello, nella vita, avere sogni tanto chiari e semplici: la birra, le pasticche in discoteca, una ragazza che ci stia e una Harley sotto il sedere.

— È da molto tempo che ti capita di avere visioni premonitrici? — mi domandò Semën.

Trasalii. Non mi ero mai dilungato in modo particolare sulle mie premonizioni.

— Abbastanza.

Semën annuì. Guardò in alto, verso le mie finestre. Cosa avesse provocato quella domanda, non lo chiarì.

— Vuoi che salga con te?

— Senti, non sono mica una ragazza che dev'essere accompagnata fino alla porta…

Lui ridacchiò: — Non confondermi con Ignat. Va bene. Fa' attenzione.

— A cosa?

— A tutto, ovviamente.

Il motore ruggì. Semën scosse la testa. — Qualcosa si sta muovendo, Anton. Si avvicina. Fa' attenzione.

Schizzò via, provocando urla d'approvazione da parte dei ragazzi, e si infilò con facilità nello stretto varco tra una Volga parcheggiata e una Zigulenok in lento transito. Lo seguii con lo sguardo scuotendo la testa. Senza bisogno di alcuna preveggenza, avrei detto che Semën avrebbe scorrazzato per Mosca tutto il giorno, poi si sarebbe unito a qualche banda di rocker, fraternizzando con loro nel giro di un quarto d'ora e dando vita a una quantità di leggende su un certo vecchio motociclista pazzo.

Fa' attenzione…

A cosa?

E, soprattutto, perché?

Digitai senza farci nemmeno caso il codice d'ingresso, aprii il portone e chiamai l'ascensore. Appena quel mattino c'erano stati il riposo, gli amici, la pace.

Tutto ciò proseguiva, solo io non c'ero più.

Dicono che, quando un mago della Luce crolla, la sua caduta sia preceduta da "bagliori" simili a quelli che gli epilettici vedono prima di una crisi. Un impiego sconsiderato della forza, come per esempio sterminare le mosche a colpi di fireball o tagliare la legna con sortilegi da combattimento. Litigi con i propri cari. Dissapori repentini con certi amici e un'altrettanto repentina cordialità con certi altri. Tutto ciò è notorio, e noi tutti sappiamo come si conclude il crollo di un agente della Luce.

Fa' attenzione…

Giunsi alla porta di casa e tirai fuori le chiavi.

La porta era aperta.

I miei genitori avevano una copia delle mie chiavi. Ma non sarebbero mai venuti a trovarmi da Saratov senza avvertirmi. E poi avrei percepito il loro arrivo.

Un semplice delinquente umano non sarebbe mai riuscito a irrompere nel mio appartamento: il più semplice segno sull'uscio sarebbe bastato a fermarlo. E c'erano barriere anche per gli Altri. Naturalmente il loro superamento era una questione di forza. Ma i sistemi di sorveglianza sarebbero in ogni caso dovuti scattare!

Restai fermo a osservare attraverso la stretta fessura tra la porta e lo stipite. Una fessura che non avrebbe dovuto esserci. Guardai attraverso il Crepuscolo, ma non vidi nulla.

Non avevo armi con me. La pistola era nell'appartamento. La decina di amuleti da combattimento pure.

Potevo agire secondo le istruzioni. Qualora venisse rilevata un'intrusione da parte di estranei all'interno di un'abitazione posta sotto tutela magica, al lavoratore della Guardia della Notte è fatto obbligo di informare l'operatore di servizio e il responsabile, poi…

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