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Painter affiancò Anna e sollevò il suo strumento improvvisato. «Forse posso accelerare la ricerca del telefono.»

Lei lo guardò con sospetto, ma avevano ben poca scelta. Annuì.

Gunther non lo perdeva d’occhio.

Painter accese il telefono satellitare e digitò le nove cifre del numero che aveva memorizzato. Non successe nulla. Tutti gli occhi erano puntati su di lui.

La sua espressione si fece ancora più corrucciata e concentrata, mentre schiacciava i tasti un’altra volta.

Ancora niente.

Aveva sbagliato numero?

«Was ist los?» chiese Anna.

Painter fissò la serie di numeri sul piccolo display del telefono. Li rilesse un’altra volta e si accorse dell’errore. «Ho invertito le ultime due cifre.»

Scosse la testa e le digitò di nuovo, lentamente, concentrandosi il più possibile. Finalmente riuscì a inserire la sequenza corretta. Anna lo guardò negli occhi quando lui alzò lo sguardo. Quell’errore non era dovuto soltanto alla tensione. Lo sapeva anche lei. Digitare numeri su una tastiera era un comune metodo per verificare l’acuità mentale.

E quello era un semplice numero di telefono. Ma era importante.

Painter premette il tasto d’invio.

Dopo un secondo, un telefono squillò forte lì vicino.

Tutti gli sguardi si orientarono verso l’origine di quel trillo.

Klaus.

Il Sonnenkönig fece un passo indietro.

«Ecco il vostro sabotatore…» disse Painter.

Klaus aprì la bocca, pronto a negare, ma poi estrasse la pistola, assumendo un’espressione dura.

Gunther reagì più velocemente, la pistola MK23 alla mano.

L’arma sputò fuoco. Il proiettile rimbalzò con una scintilla sulla pistola di Klaus, che la lasciò cadere.

Gunther fece un balzo in avanti, premendo la canna fumante della sua arma sulla guancia del fratello. Ci fu uno sfrigolio di carne marchiata a fuoco. Klaus non fece una piega. Il sabotatore doveva restare in vita, per rispondere alle domande.

Gunther fece la prima. «Warum?» Perché?

Klaus lo guardò torvo, dall’occhio buono. La palpebra dell’altro era cascante, come il resto della faccia semiparalizzata, il che gli conferiva un’espressione ancora più terrificante e beffarda. Sputò per terra. «Per porre fine all’umiliante regno dei Leprakönige.»

Dal volto contorto emanava un odio a lungo compresso. Painter poteva soltanto immaginare la rabbia covata nel profondo, le derisioni subite per anni mentre il corpo dell’uomo si deteriorava. Da principe a lebbroso. Ma Painter intuiva pure che non era soltanto una vendetta. Qualcuno aveva fatto di quell’uomo una talpa.

Ma chi?

«Fratello», riprese Klaus, «non deve per forza andare avanti così: una vita da morti viventi. C’è una cura.» C’era una punta di speranza nella sua voce, che assunse un tono implorante. «Possiamo tornare a essere re tra gli uomini.»

Ecco i trenta denari: la promessa di una cura.

«Non sono tuo fratello», gli rispose Gunther, dal profondo del cuore. «E non sono mai stato un re.»

Painter capiva la differenza tra i due Sonnenkönige. Klaus aveva dieci anni di più, quindi era cresciuto da principe, per poi vedersi sottrarre tutto quanto. Gunther, invece, era nato alla fine di quella serie di esperimenti, quando la debilitazione e la follia che comportavano erano ormai una realtà accettata. Era sempre stato un lebbroso, non aveva mai conosciuto una vita diversa.

In più, c’era anche un’altra differenza fondamentale tra i due.

«Col tuo tradimento hai condannato a morte Anna», proseguì Gunther. «Soffrirai per questo, tu e chiunque ti abbia aiutato.»

«Può essere curata anche lei. Si può sistemare tutto.»

Gunther lo squadrò, con gli occhi semichiusi.

Klaus percepiva l’esitazione, la speranza dell’avversario. Non per sé, ma per la sorella. «Non deve per forza morire.»

Painter ricordò le parole di Gunther: Non permetterò che tutto questo accada ad Anna. Farò qualsiasi cosa per impedirlo. Anche se avesse dovuto tradire tutti gli altri e contro la volontà di sua sorella?

«Chi ti ha promesso questa cura?» chiese Anna, in tono aspro.

Klaus proruppe in una risata gutturale. «Uomini molto più grandi dei mocciosi che siete diventati voialtri. È giusto che siate messi da parte. Avete svolto il vostro compito, ma ora non servite più.»

Ci fu uno scoppio fragoroso tra le mani di Painter. Il telefono satellitare che aveva utilizzato per localizzare il sabotatore andò in pezzi. La batteria era esplosa, per un corto circuito causato dall’improvvisato amplificatore. Si sentì avvampare le dita e lasciò cadere i resti fumanti del telefono, guardando in alto, verso i portelloni dell’eliporto. Pregò che l’amplificatore fosse durato abbastanza.

Non fu l’unico a distrarsi. Tutti gli sguardi si erano spostati su di lui, compreso quello di Gunther.

Sfruttando quella momentanea distrazione, Klaus estrasse un coltello da caccia e attaccò l’altro Sonnenkönig. Gunther sparò, piantando un grosso proiettile nella pancia dell’aggressore. Ma, mentre cadeva, Klaus conficcò comunque la lama nella spalla di Gunther.

Ansimante, Gunther si girò e gettò a terra Klaus. Questi sbatté violentemente e finì lungo disteso. Riuscì però a rotolare su un fianco, comprimendosi il ventre col braccio buono. Il sangue sgorgava copioso dalla ferita. Klaus tossì. Altro sangue, rosso vivo: arterioso. Il proiettile esploso a casaccio da Gunther aveva colpito un punto vitale.

Anna si precipitò dal fratello per controllare la sua ferita. Lui la spinse via, tenendo la pistola puntata su Klaus. Dalla manica di Gunther colava sangue sul pavimento.

Klaus si limitò a fare una risata. Suonò come uno sfregare di sassi. «Morirete tutti! Strangolati, quando il nodo sarà stretto!»

Tossì di nuovo, in preda alle convulsioni. Era in una pozza di sangue. Con un ultimo sogghigno tremante, si accasciò al suolo, a faccia in giù. Gunther abbassò la pistola.

Esalato un ultimo respiro, il bestione rimase immobile.

Morto.

Gunther lasciò che Anna usasse uno straccio, preso da una pigna lì accanto, per fermare l’emorragia, finché non avessero potuto medicare meglio la ferita.

Painter girò attorno al cadavere di Klaus, tormentato da un pensiero. Tutti i presenti si erano radunati attorno a loro, confabulando con toni tra lo spaventato e lo speranzoso. Avevano sentito parlare di una cura.

Anna raggiunse Painter. «Dirò a uno dei nostri tecnici di esaminare il suo telefono satellitare. Forse ci potrà condurre a chi ha orchestrato il sabotaggio.»

«Non c’è abbastanza tempo», borbottò Painter, immerso nei suoi pensieri. Era come se cercasse di afferrare un filo appena fuori dalla sua portata.

Mentre camminava, ripercorse nella mente gli indizi forniti da Klaus: Possiamo tornare a essere re tra gli uomini… avete svolto il vostro compito, ma ora non servite più…

Ebbe una fitta di emicrania, mentre cercava di mettere assieme quei frammenti.

Probabilmente Klaus era stato reclutato per fare il doppio gioco per qualcuno che conduceva una ricerca parallela. Il lavoro svolto al castello era diventato superfluo e così erano stati fatti i primi passi per eliminare la concorrenza.

«Può essere che abbia detto la verità?» chiese Gunther.

Forse assieme a Klaus era morta anche la possibilità di una cura. Tuttavia loro non avrebbero ceduto.

Anna s’inginocchiò e prese un piccolo telefono dalla tasca di Klaus. «Dovremo lavorare alla svelta.»

«Può darci una mano?» chiese Gunther a Painter, indicando il telefono.

La loro unica speranza era scoprire chi aveva risposto alla chiamata.

«Se lei potesse rintracciare il destinatario della chiamata…» disse Anna, rialzandosi.

Painter scosse la testa, ma non in segno di diniego. Si premette i palmi delle mani sugli occhi. Aveva un dolore martellante alla testa, un’emicrania ormai conclamata. Ma non era nemmeno quello che gli faceva scuotere il capo.

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