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Era Gunther. «Abbiamo una traccia del sabotatore. Siamo pronti a intervenire.»

Büren, Germania,

ore 07.37

Gray sorpassò un vecchio autocarro col pianale carico di fieno. Inserì la quinta e imboccò a tutta velocità l’ultimo tornante. Giunto in cima alla collina, dominava la vallata di fronte a lui.

«La valle di Alme», disse Monk, aggrappandosi alla maniglia sopra la portiera.

Gray rallentò, scalando le marce.

Monk lo guardava in cagnesco. «Vedo che Sara ti ha dato lezioni di guida all’italiana.»

«Quando sei a Roma…»

«Ma noi non siamo a Roma.»

Evidentemente no. Di fronte a loro si estendeva un’ampia valle fluviale, una grande conca verde coperta di prati, foreste e campi coltivati. Un tipico villaggio tedesco da cartolina era accoccolato in mezzo alla pianura, con le case di pietra incastonate in mezzo a strade anguste e tortuose.

Ma tutti gli sguardi erano fissi sul castello abbarbicato sulla cresta della collina, all’altra estremità della valle. Circondato dalla foresta, dominava la cittadina dall’alto, con le sue torri protese verso il cielo e le bandiere che sventolavano in cima. Per quanto massiccio e imponente, come molte delle strutture fortificate lungo il fiume Reno, il castello aveva inoltre un che di fiabesco, evocava immagini di principesse incantate e cavalieri su stalloni bianchi.

«Se Dracula fosse stato gay, quel castello avrebbe fatto proprio al caso suo», commentò Monk.

Gray capì cosa intendeva. Quel posto aveva qualcosa di vagamente sinistro, ma forse era soltanto il cielo minaccioso a nord. Ci voleva una buona dose di fortuna per arrivare al villaggio prima del temporale. «Dove andiamo, adesso?»

Dal sedile posteriore si sentì un suono di carta spiegazzata. Fiona stava guardando la cartina che aveva sequestrato a Monk, assumendo il ruolo di navigatore, dato che ancora non aveva rivelato la destinazione finale. Si sporse in avanti e indicò il fiume. «Devi attraversare quel ponte.»

«Sei sicura?»

«Sì, sono sicura, so leggere una cartina.»

Gray si addentrò nella valle, evitando una lunga fila di ciclisti abbigliati con una variopinta gamma di maglie da corridori. Spinse la BMW lungo la strada tortuosa che conduceva al fondovalle ed entrò nel villaggio.

Sembrava uscito da un altro secolo. C’erano vasi colmi di tulipani sui davanzali e tutte le case avevano tetti spioventi con timpani altissimi. Dalla strada principale si dipartivano vie acciottolate. Passarono per una piazza con caffè e birrerie all’aperto tutt’attorno e un palco d’orchestra al centro, dove, Gray ne era certo, un’orchestrina polk suonava ogni sera.

Poi attraversarono il ponte e ben presto si ritrovarono fra campi e piccole fattorie.

«A sinistra!» esclamò Fiona.

Gray dovette frenare di colpo e infilare la BMW in una curva stretta. «La prossima volta avvertimi con un po’ di anticipo.»

La strada si stringeva, fiancheggiata da alte siepi. L’asfalto lasciò il posto all’acciottolato. La BMW sussultava su quella superficie irregolare. Ben presto tra i ciottoli videro spuntare erbacce e davanti a loro comparve un cancello di ferro, aperto.

Gray rallentò. «Dove siamo?»

«Dove volevi arrivare», rispose Fiona. «La tenuta Hirszfeld.»

Gray superò il cancello. Il cielo divenne ancora più scuro e cominciò a gocciolare. Una pioggia leggera, che in un attimo divenne torrenziale.

«Giusto in tempo», osservò Monk.

Oltre il cancello si apriva un ampio cortile, incorniciato su due lati dalle ali di una piccola villa di campagna. La costruzione principale, di fronte a loro, era di due piani, ma il tetto di tegole di ardesia aveva diversi rialzi spioventi, che le conferivano una certa maestosità.

Un fulmine squarciò fragorosamente la coltre nuvolosa, richiamando i loro sguardi al cielo. Il castello che avevano notato in precedenza si ergeva proprio in cima alla collina boscosa dietro la tenuta. Sembrava che incombesse minaccioso sulla villa.

«Ehi!» gridò qualcuno.

Gray si voltò a guardare. Un ciclista che stava cercando di ripararsi dalla pioggia con la sua bicicletta si era quasi fatto investire. Il giovane, che indossava una maglia da calcio gialla e pantaloncini da ciclista, colpì il cofano della BMW a mano aperta e apostrofò Gray: «Guarda dove vai, amico!»

Fiona aveva già abbassato il finestrino posteriore e cacciato fuori la testa. «Vaffanculo, stronzo! Perché non stai attento tu a dove corri con quei pantaloncini da checca!»

Monk scosse la testa. «A quanto pare Fiona si è procurata un appuntamento per questa sera.»

Gray fermò l’auto in un parcheggio vicino alla costruzione principale. C’era soltanto un’altra auto, ma notò una schiera di biciclette da corsa e mountain bike incatenate a rastrelliere. Sotto una tettoia c’era un gruppo di giovani scapigliati, con gli zaini appoggiati a terra. Li sentì parlare mentre spegneva il motore. Spagnoli. Quel posto doveva essere un ostello della gioventù. O almeno lo era diventato. Sentiva praticamente l’odore di patchouli e hashish.

Erano nel posto giusto? Anche se così fosse stato, Gray dubitava che avrebbero trovato qualcosa di utile, lì. Ma avevano fatto tanta strada. «Aspetta qui. Monk, resta con…»

La portiera posteriore si aprì e Fiona scese dall’auto.

«La prossima volta, scegli il modello con la chiusura di sicurezza per i bambini», ironizzò Monk, mentre apriva la portiera.

«E piantala!» Gray la seguì. Con lo zaino in spalla, Fiona avanzava a grandi passi verso la porta principale dell’edificio. Lui la raggiunse sui gradini della veranda e la prese per un braccio. «Rimaniamo uniti. Nessuno si deve allontanare da solo all’improvviso.»

Lei lo guardò in faccia, altrettanto arrabbiata. «Esatto, rimaniamo uniti. Nessuno si deve allontanare all’improvviso. Il che significa che non mi molli su un aeroplano o su un’auto.» Si liberò dalla sua presa e aprì la porta.

Uno scampanio annunciò il loro ingresso.

Un impiegato della reception alzò lo sguardo dal bancone di mogano appena dietro la porta. Nel camino ardeva ancora la brace di un fuoco acceso all’alba, per scacciare il freddo del mattino. L’atrio era di travi cave e mattonelle d’ardesia. Le pareti erano decorate con affreschi sbiaditi, che sembravano antichi di secoli. Nel complesso, però, l’edificio non sembrava ben tenuto: l’intonaco era sgretolato, le travi erano impolverate, i tappeti sfilacciati e scoloriti. Di certo la villa aveva vissuto giorni migliori.

L’impiegato fece loro un cenno di saluto. Era un giovanotto sulla ventina, biondo, con una maglia da rugby e ampi pantaloni verdi. Sembrava una matricola universitaria. «Guten morgen.»

Monk diede un’occhiata in giro, mentre un tuono rimbombava nella valle. «Non è mica tanto gut questa mattina.»

«Ah, americani», disse l’impiegato, che aveva sentito le lamentele di Monk. Aveva un tono leggermente freddo.

Gray si schiarì la voce. «Ci chiedevamo se questa fosse la vecchia tenuta Hirszfeld.»

L’impiegato sgranò gli occhi. «Ja, aber… È il Burgschloß Hostel da quasi vent’anni, quando mio padre, Johann Hirszfeld, l’ha ereditata.»

Quindi erano nel posto giusto. Gray lanciò un’occhiata a Fiona, che inarcò le sopracciglia, come a chiedergli: Che c’è? Era impegnata a frugare nel suo zaino. Lui pregò che, come aveva detto Monk, non contenesse granate. Poi si rivolse nuovamente all’impiegato: «È possibile parlare con suo padre?»

«A proposito di che cosa?» Era ritornato quel tono gelido, accompagnato da una certa diffidenza.

Fiona spinse da parte Gray. «A proposito di questo.» Sbatté sul bancone un libro dall’aspetto familiare: la Bibbia di Darwin.

Gray l’aveva lasciato nel jet, ben custodito. Anzi non tanto bene, a quanto sembrava.

«Fiona…» l’ammonì.

«È mio», replicò lei.

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