«Qualcuno cercava la Bibbia», disse Gray.
«L’abbiamo pensato anche noi.»
Gray cominciava a capire. Il guadagno non era l’unico fattore decisivo che le induceva a disfarsi della Bibbia, era anche per liberarsi di un fardello. Qualcuno voleva quella Bibbia e, nel tentativo di impossessarsene, avrebbe potuto ricorrere a mezzi sempre più violenti. Minaccia che poteva trasmettersi anche al nuovo acquirente.
Con la coda dell’occhio, Gray studiò Fiona. Tutte le sue azioni erano volte a proteggere la nonna e la loro sicurezza finanziaria. Notò la fiamma ancora accesa negli occhi della ragazza. Evidentemente avrebbe voluto che la nonna fosse stata più discreta.
«Forse la Bibbia sarebbe più al sicuro in una collezione privata in America», disse Grette. «Forse i guai non la seguiranno sull’altra sponda dell’oceano.»
«Avete scoperto per quale motivo quello sconosciuto fosse così ossessionato dalla Bibbia?» chiese Gray.
A quella domanda fu Grette a voltarsi dall’altra parte, come a cercare qualcosa, lontano.
«Informazioni come questa non possono che rendere la Bibbia più preziosa per il mio cliente», insistette Gray.
Gli occhi di Grette guizzarono verso di lui. In qualche modo lei sapeva che dietro le sue parole si nascondeva una menzogna. Lo studiò nuovamente, ponderando qualcosa di più della veridicità delle sue parole.
In quel momento, Bertal entrò a passo strascicato nell’ufficio, annusò con bramosia un assortimento di pasticcini da tè, accanto al bollitore sulla scrivania, poi andò verso Gray e si accasciò sull’assito con un sospiro, poggiando il muso sul suo scarpone. Evidentemente il cane era a proprio agio con quell’estraneo entrato in bottega.
Come se ciò fosse sufficiente, Grette sospirò, chiuse gli occhi e si addolcì. «Non lo so per certo. Posso solo fare qualche supposizione.»
«Mi accontenterò.»
«Lo straniero è venuto qui in cerca di informazioni su una biblioteca che era stata venduta pezzo per pezzo dopo la guerra. In effetti, quattro di quei pezzi saranno messi all’asta questo pomeriggio: il diario di De Vries, una copia del trattato di Mendel e due testi del fisico Max Planck.»
Gray conosceva bene quella lista, la stessa appuntata sul suo taccuino. Erano i testi che avevano suscitato uno speciale interesse tra i soggetti loschi. Chi li voleva comprare e perché? «Mi sa dire qualcos’altro su questa collezione? C’è qualche provenienza significativa?»
Grette si alzò e si diresse verso gli schedari. «Ho la ricevuta originale dell’acquisto di mio padre nel 1949. Cita un villaggio e una piccola proprietà. Vediamo se riesco a trovarla.» Si spostò in un’area illuminata da un raggio di sole, sotto la finestra della parete posteriore, e aprì un cassetto di mezzo. «Non le posso dare l’originale, ma Fiona sarà lieta di fargliene una fotocopia.»
Mentre l’anziana signora frugava nei suoi documenti, Bertal sollevò il naso dal piede destro di Gray, lasciando cadere una scia di bava ed emettendo un sordo brontolio. Che però non era diretto a lui.
«Ecco qua.» Grette si voltò e gli porse un foglio di carta ingiallita, in un fodero di plastica.
Gray ignorò il suo braccio proteso, concentrandosi sui suoi piedi. Un’ombra sottile attraversò la macchia di luce sul pavimento, ai piedi di Grette.
«A terra!» Gray balzò verso il divano, protendendosi verso la donna anziana. Dietro di lui, Bertal abbaiava forte, quasi mascherando il fragore dei vetri infranti. Gray arrivò troppo tardi. Non poté fare altro che afferrare il corpo di Grette Neal, mentre il volto di lei veniva devastato dal colpo esploso da un cecchino, attraverso la finestra.
Gray la prese e l’adagiò sul divano.
Fiona urlò.
Attraverso la finestra distrutta, si sentirono due schiocchi distinti, assieme al rumore del vetro che andava in frantumi. Due candelotti neri piombarono nell’ufficio, rimbalzarono contro la parete opposta e caddero a terra fragorosamente.
Gray balzò giù dal divano, proiettandosi su Fiona. Con una spallata, la spinse fuori dall’ufficio e dietro l’angolo.
Il cane li seguì affannosamente.
Gray quasi trasportò di peso Fiona, per ripararla dietro uno scaffale, mentre due detonazioni sventravano l’ufficio, abbattendo la parete con un’esplosione incendiaria e una doccia di intonaco e schegge di legno.
Lo scaffale si ribaltò, schiantandosi su quello vicino e rimanendo in equilibrio precario. Gray protesse Fiona col suo stesso corpo.
Sopra di loro, i testi andavano a fuoco, con una pioggia di cenere ardente.
Gray vide il vecchio cane. Si era mosso troppo lentamente, incespicando per via della zampa malata. L’onda d’urto lo aveva scaraventato sulla parete opposta. Non si muoveva e aveva il pelo fumante.
Gray risparmiò quella vista a Fiona. «Dobbiamo svignarcela.»
Trascinò via la ragazza scioccata dallo scaffale in bilico. Fiamme e fumo già riempivano il retrobottega. Dagli sprinkler sul soffitto sgorgò una doccia tiepida. Troppo poco, troppo tardi. Soprattutto data la grande quantità di materiale infiammabile.
«Usciamo in strada!» incalzò, e avanzò incespicando con lei.
Troppo lentamente.
Davanti a loro, la saracinesca di sicurezza era piombata giù, sbarrando la porta e la vetrina. Gray notò alcune ombre che svanivano a entrambi i lati delle inferriate. Altri sicari.
Diede un’occhiata alle proprie spalle. Il retrobottega era un muro turbinoso di fiamme e fumo.
Erano in trappola.
Washington, D.C.,
ore 23.57
Monk sonnecchiava in quel luogo felice tra beatitudine e sonno. Lui e Kat si erano spostati dal pavimento del bagno al letto, mentre la passione si scioglieva in dolci sussurri e carezze ancora più dolci. Le lenzuola e il piumone erano ancora avviluppati attorno alle loro forme nude. Nessuno dei due era pronto a districarsi, né fisicamente né in nessun altro modo.
Con un dito, Monk accarezzava la curva del seno di Kat, pigramente, più per rassicurare che per eccitare. L’arco armonioso del piede di lei gli accarezzava gentilmente il polpaccio.
Un momento perfetto. Niente poteva rovinarlo…
La stanza fu pervasa da un trillo lacerante che fece irrigidire entrambi. Proveniva da un punto accanto al letto, dove Monk aveva gettato i pantaloni della tuta… o, meglio, dove gli erano stati strappati via. Il suo cercapersone era ancora agganciato all’elastico dei pantaloni. Sapeva di aver messo il dispositivo in modalità vibrazione al ritorno dalla sua corsa serale. Soltanto un tipo di chiamata poteva interrompere quella modalità.
Emergenza.
All’altro lato del letto, sul comodino, da un secondo cercapersone proruppe uno squillo identico.
Era quello di Kat.
Entrambi si sollevarono, scambiandosi uno sguardo preoccupato.
«Il comando centrale», disse Kat.
Monk allungò la mano per prendere il suo cercapersone, trascinando su anche i pantaloni, poi si mise a sedere e prese il telefono. Kat si posizionò accanto a lui, tirando a sé le lenzuola per coprirsi il seno nudo, come se fosse necessaria una certa decenza per chiamare il comando centrale. Lui fece il numero della linea diretta della Sigma. La risposta fu immediata.
«Capitano Bryant?» disse Logan Gregory.
«Nossignore, sono Monk Kokkalis. Ma Kat… il capitano Bryant è qui con me.»
«Ho bisogno di entrambi al comando, immediatamente.»
Logan lo aggiornò brevemente.
Monk ascoltò, annuendo. «Partiamo subito», concluse.
Kat incrociò il suo sguardo, aggrottando le sopracciglia. «Che succede?»
«Guai.»
«Gray?»
«No, sono sicuro che sta bene.» Monk s’infilò i pantaloni della tuta. «Probabilmente se la sta spassando con Sara.»
«E allora?»
«È il direttore Crowe. È successo qualcosa in Nepal. I dettagli sono sommari. Una specie di epidemia.»
«Crowe ha fatto rapporto?»