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— Io sono il vostro capo, non il vostro amico — scatta il signor Aldrin. Si è fatto ancora più rosso. Prima aveva detto che era nostro amico. Stava mentendo allora o sta mentendo adesso? — Voglio dire… questa faccenda non ha niente a che vedere col lavoro.

— È la ragione per cui lei voleva essere il nostro supervisore — dice Cameron.

— Assolutamente no. In un primo tempo io non volevo diventare il vostro supervisore.

— In un primo tempo. — Linda lo sta ancora guardando in viso. — Dopo, qualcosa è cambiato. Forse suo fratello?

— No. Voi non somigliate molto a mio fratello. Lui è… molto handicappato.

— Lei vuole il trattamento per suo fratello? — chiede Cameron.

— Io… non lo so.

Nemmeno quest'affermazione ha il suono della verità. Cerco d'immaginare il fratello del signor Aldrin, questa sconosciuta persona autistica. Se il signor Aldrin pensa che suo fratello sia molto handicappato, cosa pensa di noi? Come sarà stata la sua fanciullezza?

— Scommetto che lo vuole — dice Cameron. — Se lei crede che sia una buona idea per noi, deve credere che possa aiutare anche lui. Forse pensa che se riesce a convincerci a sottoporci a esso, la compagnia la ricompenserà facendo curare suo fratello? Lei si sarà dimostrato un bravo ragazzo e le daranno una caramella?

— Quello che dici non è giusto — dice il signor Aldrin alzando la voce. La gente si sta voltando a guardarci. Vorrei che non fossimo qui. — Lui è mio fratello, naturalmente io desidero aiutarlo come posso, ma…

— Il signor Crenshaw le ha forse detto che se ci convinceva suo fratello poteva avere il trattamento?

— Io… non è questo… — I suoi occhi vagano qua e là, la sua faccia cambia colore. La sua espressione esprime sforzo, lo sforzo d'ingannarci in modo convincente. Il mio testo diceva che le persone autistiche sono credulone e facili da raggirare perché non afferrano le sfumature della comunicazione. Ma io non credo che la menzogna sia una sfumatura, credo che mentire sia davvero una brutta cosa. Mi dispiace che il signor Aldrin ci stia mentendo, ma sono contento che non riesca a farlo bene.

— Se veramente non c'è un mercato abbastanza vasto per questo trattamento dell'autismo, a cos'altro può servire? — domanda Linda. Vorrei che non avesse riportato la discussione all'argomento di prima, ma non c'è rimedio. Il signor Aldrin si rilassa un poco.

Io ho un'idea, ma ancora non è chiara. — Il signor Crenshaw dice che sarebbe disposto a continuare a farci lavorare senza trattamento se noi rinunciassimo ai nostri extra, vero?

— Sì, perché lo chiedi?

— Dunque… lui vorrebbe avere ciò che noi autistici siamo bravi a fare senza le cose in cui non siamo bravi.

Il signor Aldrin aggrotta la fronte, gesto che dimostra la sua confusione. — Suppongo di sì — dice. — Però non capisco cosa questo abbia a che fare con il trattamento.

— Il profitto deve scaturire da qualche particolare del procedimento originale — dico. — Non per il fatto che cura l'autismo… non esistono più bambini nati come siamo nati noi, almeno in questo paese. Non ci sono abbastanza di noi. Però qualcosa che noi facciamo è tanto insostituibile che se le persone normali potessero farlo, ciò renderebbe il trattamento profittevole. — Penso a quel momento, nel mio ufficio, in cui per qualche tempo il significato dei simboli, le splendide complessità dello schema dei dati si cancellarono e mi lasciarono confuso e desolato. — Lei ci osserva lavorare ormai da anni: deve sapere cos'è.

— È la vostra abilità nella matematica e nell'analisi degli schemi, lo sai.

— No… lei ha detto che secondo il signor Crenshaw il nuovo software potrebbe sostituirci in quello. Quindi dev'essere qualche altra cosa.

— Io ancora vorrei sapere qualcosa di più su suo fratello — dice Linda.

Aldrin chiude gli occhi, tagliando il contatto. Una volta mi rimproverarono per aver fatto la stessa cosa. Poi li riapre. — Voi siete… implacabili — dice. — Non volete desistere.

Lo schema che si va formando nella mia mente, la configurazione di ombre e di luci che si spostano e si girano attorno comincia a coagularsi. Ma non abbastanza: mi servono altri dati.

— Ci spieghi il denaro — domando ad Aldrin.

— Cosa devo spiegare?

— Il denaro. In che modo la compagnia fa abbastanza denaro per pagarci?

— È… molto complicato, Lou. Non credo che potresti capire.

— Per favore, provi a farlo. Il signor Crenshaw sostiene che costiamo troppo, che i profitti ne soffrono. Ma da dove provengono davvero i profitti?

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Il signor Aldrin mi guarda a occhi spalancati. Infine parla: — Non so che dire, Lou, perché non so esattamente in che cosa consista il trattamento o quali potrebbero esserne gli effetti se venisse applicato a persone che non sono autistiche.

— Non può nemmeno…

— E poi… poi non credo che dovrei parlare di questo argomento. Aiutare voi è un conto… — Finora non ci ha aiutati: mentirci non significa esserci d'aiuto. — Ma fare supposizioni su qualcosa che non esiste, pensare che la compagnia abbia in mente qualche attività a largo raggio che potrebbe… che si potrebbe considerare come… — S'interrompe e scuote la testa senza concludere la frase. Noi lo fissiamo tutti. I suoi occhi luccicano come se lui stesse per piangere.

— Non sarei dovuto venire — dice dopo un poco. — È stato un grave errore. Pagherò la cena, ma adesso devo andarmene.

Spinge indietro la sedia e si alza. Lo vedo passare alla cassa. Nessuno di noi dice parola finché non lo vediamo uscire dalla porta della pizzeria.

— È pazzo — dice Chuy.

— Ha paura — corregge Bailey.

— Ma non ci ha aiutati davvero — dice Linda. — Non so perché si sia disturbato…

— Suo fratello — dice Cameron.

— Qualcosa che noi abbiamo detto lo ha turbato molto più del signor Crenshaw o di suo fratello — deduco io.

— Lui sa qualcosa che non vuole farci sapere. — Linda con un gesto brusco getta all'indietro i capelli.

— Non vuole saperlo neanche lui — dico io. Non so perché penso questo, ma lo credo davvero. Si tratta di qualcosa che noi abbiamo detto. Ho bisogno di capire cos'era.

— C'era qualcosa tempo addietro, all'inizio del secolo — dice Bailey. — In una rivista scientifica, qualcosa su come far diventare le persone quasi autistiche in modo che lavorassero di più.

— Era una rivista scientifica o una rivista di fantascienza? — chiedo.

— Era… ma aspetta, la ritroverò. Conosco qualcuno che sa di cosa si tratta.

— Non impostare la ricerca dall'ufficio — dice Chuy.

— Perché? Oh… sì — annuisce Bailey.

— Domani pizza di nuovo — dice Linda. — Venire qui è normale.

Apro la bocca per dire che il martedì è il mio giorno per fare la spesa, ma la richiudo. Questa faccenda è più importante della spesa; ne posso fare a meno per una settimana o farla un altro giorno.

— Ognuno di noi guardi cosa può trovare sull'argomento — dice Cameron.

A casa, invio un'e-mail a Lars. Dove si trova lui è molto tardi, ma lo trovo ancora sveglio. Vengo a sapere che la ricerca originale è stata fatta in Danimarca, ma che l'intero laboratorio, con l'attrezzatura e tutto, è stato acquistato e la base della ricerca adesso è stata spostata a Cambridge. La relazione che io lessi qualche settimana fa era basata su una ricerca condotta più di un anno prima. Il signor Aldrin aveva ragione. Lars pensa che la maggior parte del lavoro da fare per rendere i trattamenti compatibili con gli esseri umani sia stata già fatta, e insinua qualcosa su esperimenti condotti in segreto dai militari. Questa è una sua mania: Lars vede esperimenti segreti condotti dai militari dappertutto.

Martedì al lavoro non ci parliamo affatto tranne che per augurarci il buongiorno o il buon pomeriggio. Dopo il lavoro ritorniamo alla pizzeria. — Due sere di seguito! — dice Ciao-Sono-Sylvia. Non riesco a capire sé ne è contenta o no. Prendiamo il nostro solito tavolo al quale ne accostiamo un altro in modo che ci sia posto per tutti.

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