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E del Controllore che ne avrebbero fatto? L’avrebbero lasciato libero, perché corresse a raccontare ai dipartimenti e ai ministeri di avere scoperto l’ultimo grande nascondiglio di libri proibiti? Anche se era caduto in disgrazia senza la minima possibilità di appello, prima di spedirlo in qualche salina i suoi capi avrebbero di sicuro ascoltato quello che aveva da riferire.

E lei cos’avrebbe detto a Tong Ov, se e quando fosse riuscita a parlargli ancora? L’aveva mandata in cerca della storia di Aka, del passato perduto e bandito di quel mondo, della sua vera essenza, e lei l’aveva trovato. Ma poi?

Quello che i maz volevano da lei era chiaro e urgente: doveva salvare il loro tesoro. Era l’unica cosa chiara nel tumulto oscuro dei suoi pensieri e dei suoi sentimenti dopo l’incontro con il Controllore.

Quello che lei voleva, che avrebbe desiderato, se fosse stato possibile, era rimanere lì. Vivere nelle caverne dell’essere, leggere, sentire la Narrazione, lì, dov’era ancora completa o quasi completa, dov’era ancora un’unica storia ininterrotta. Vivere nella foresta di parole. Ascoltare. Ecco a cos’era adatta, cosa desiderava ardentemente, e non poteva fare.

Come lo desideravano i maz, senza poterlo fare.

«Siamo stati stupidi, yoz Sutty» disse Goiri Engnake, una maz della grande città di Kangnegne al centro del continente, una studiosa di filosofia che aveva scontato quattordici anni di campo di lavoro agricolo per aver diffuso ideologia reazionaria. Era una donna sfinita, dura, brusca. «Stupidi, a portare tutto quassù. Avremmo dovuto lasciare tutto dov’era. Lasciare i libri a chi li aveva, e fare delle copie. Impiegare il nostro tempo facendo delle copie, invece di raccogliere tutto in un posto, dove possono distruggerlo in una sola volta. Ma come vedi siamo all’antica. Abbiamo pensato a quanto tempo è necessario per fare delle copie, a quanto è pericoloso cercare di stampare. Non abbiamo considerato le macchine che l’Azienda ha cominciato a produrre, i sistemi per copiare le cose in un attimo, per mettere intere biblioteche in un computer. Adesso che il nostro tesoro è qui, non possiamo più usare quelle tecnologie. Non possiamo portare quassù un computer, e anche se potessimo, come lo alimenteremmo? E quanto tempo occorrerebbe per inserire tutto questo materiale in un computer?»

«Con la tecnologia akana, anni» rispose Sutty. «Con i mezzi di cui dispone l’Ekumene, un’estate, forse.»

Guardando la faccia di Goiri, aggiunse lentamente: «Se fossimo autorizzati a farlo. Dall’Azienda di Aka. E dagli Stabili dell’Ekumene.»

«Capisco.»

Erano nella "cucina", la caverna dove preparavano i pasti e mangiavano. Si trattava di un ambiente chiuso, nel senso che era in grado di conservare un discreto tepore, ed era il luogo di ritrovo, a qualsiasi ora, per discutere e chiacchierare. Avevano fatto colazione, e adesso stavano sorseggiando una tazza di tè bezit lungo. "Avvia il flusso e riunisce" le sussurrò nella mente Iziezi.

«Proporresti all’inviato dell’Ekumene di richiedere questa autorizzazione, yoz?»

«Sì, certo» rispose Sutty. E dopo una pausa: «O meglio, glielo proporrei se secondo lui fosse una cosa fattibile, o saggia. Se la richiesta indicasse al vostro governo l’esistenza di questo posto, avremmo smascherato le vostre attività, maz».

Goiri sorrise sentendo l’espressione usata da Sutty. Naturalmente, stavano parlando in dovzano. «Forse, però, visto che tu sai della sua esistenza, visto che all’Ekumene interessa, la Biblioteca sarebbe protetta» disse. «La polizia non potrebbe venire a distruggerla.»

«Forse.»

«I Dirigenti dell’Azienda hanno un grande rispetto per l’Ekumene.»

«Sì. Ma isolano anche completamente i suoi rappresentanti su Aka, gli consentono solo contatti con ministri e burocrati. L’Azienda ha ricevuto un sacco di informazioni utili. In cambio, l’Ekumene ha ricevuto un sacco di propaganda inutile.»

Goiri rifletté, infine chiese: «Se lo sapete, perché permettete che accada?».

«Be’, maz Goiri, l’Ekumene è molto lungimirante. Guarda così lontano che spesso un comune mortale stenta a raccapezzarsi. Il principio in base al quale operiamo è che nascondere la conoscenza è sempre un errore… a lungo andare. Quindi, se ci chiedono di dire quello che sappiamo, noi lo diciamo. In questo, siamo come voi, maz.»

«Non più» fece Goiri, amara. «Tutto quello che sappiamo, lo nascondiamo.»

«Non avete scelta. I vostri burocrati sono gente pericolosa. Sono credenti.» Sutty sorseggiò il tè. Aveva la gola secca. «Nel mio mondo, quando stavo crescendo, c’era un gruppo potente di credenti. Erano convinti che le loro idee dovessero avere il predominio assoluto, che non dovesse esistere nessun altro modo di pensare. Hanno sabotato le reti di memorizzazione delle informazioni, e distrutto biblioteche e scuole in tutto il mondo. Non hanno distrutto ogni cosa, naturalmente. Si può ricostruire, mettendo insieme i pezzi. Ma… il danno l’hanno causato. Un danno che è un po’ come un colpo apoplettico. Ci si riprende, quasi. Ma sono cose che sai.»

S’interruppe. Stava parlando troppo. Le tremava la voce. Si stava avvicinando troppo. Troppo. Sbagliato.

Anche Goiri sembrava scossa. «Tutto quello che so del tuo mondo, yoz…»

«È che viaggiamo nello spazio con le nostre astronavi portando l’illuminazione a mondi inferiori, arretrati» fece Sutty. Poi batté una mano sul tavolo e con l’altra si coprì la bocca.

Goiri la fissò, perplessa.

«I rangma fanno così per ricordare a se stessi di tacere» spiegò Sutty. Sorrise, ma adesso le tremavano le mani.

Rimasero entrambe in silenzio per un po’.

«Pensavo che voi… che tutti quelli dell’Ekumene, fossero molto saggi, infallibili. Che idea puerile» disse Goiri. «Che idea ingiusta.»

Altro silenzio.

«Farò il possibile, maz» disse Sutty. «Se e quando tornerò a Dovza City. Potrebbe essere rischioso provare a contattare il Mobile telefonicamente da Amareza. Potrei raccontare, per gli intercettatori, che ci siamo smarriti cercando di raggiungere il Silong e abbiamo trovato un sentiero a est che scendeva dalle montagne. Ma se capiterò in un posto senza essere autorizzata a trovarmi là, mi faranno delle domande. Posso tenere la bocca chiusa, ma non credo di poter mentire. Almeno, non in modo convincente… E c’è il problema del Controllore.»

«Sì. Vorrei che tu gli parlassi, yoz Sutty.»

Et tu Brute? disse zio Hurree, le sopracciglia aggrottate in un’espressione di sarcasmo.

«Perché, maz Goiri?»

«Be’, lui è… come lo chiami tu?… un credente. E, come dici tu, è pericoloso. Digli quel che hai detto a me della Terra. Digli anche altre cose. Digli che la fede è la ferita sanata dalla conoscenza.»

Sutty finì di bere il tè. Il sapore era amaro, delicato. «Non ricordo dove ho sentito questo. Non era in un libro. L’ho sentito dire da qualcuno.»

«Lo disse Teran a Penan. Quando fu ferito combattendo contro i selvaggi.»

Adesso Sutty ricordava: il cerchio di persone in lutto nella valle verde sotto i grandi pendii di pietra e di neve, il corpo del giovane coperto da un panno sottile bianco ghiaccio, la voce del maz che narrava la storia.

Goiri spiegò: «Teran stava morendo. Disse: "Fratello mio, marito mio, amor mio, me stesso, tu e io credevamo di sconfiggere il nemico e portare la pace nella nostra terra. Ma la fede è la ferita sanata dalla conoscenza, e la morte inizia la Narrazione della nostra vita". Poi morì tra le braccia di Penan».

La tomba, yoz. Dove è l’inizio.

«Posso riferire il messaggio» disse infine Sutty. «Ma i fanatici sono duri d’orecchio.»

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