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«Parlami degli umyazu, maz.»

«Erano luoghi costruiti per accumulare la forza. Luoghi pieni di essere. Pieni di gente che narrava e ascoltava. Pieni di libri.»

«Dov’erano?»

«Oh, dovunque. Qui a Okzat-Ozkat, ce n’era uno dove adesso c’è il Liceo, e un altro dove adesso lavorano la pietra pomice. Su fino al Silong, nelle valli, lungo le strade commerciali, c’erano umyazu per i pellegrini. E giù dove la terra è ricca, c’erano enormi umyazu, con centinaia di maz che vi abitavano, e si spostavano in visita da un umyazu all’altro per tutta la vita. Conservavano libri, e ne scrivevano, e continuavano a narrare. Capisci, potevano dedicare tutta la vita a questo. Potevano rimanere sempre là. La gente andava a visitarli, per sentire la narrazione e leggere i libri conservati nelle biblioteche. La gente andava in processione, con bandiere rosse e blu. Andava, e rimaneva tutto l’inverno, a volte. Risparmiava per anni per poter pagare i maz e l’alloggio. Mia nonna mi parlò del viaggio che fece all’Umyazu Rosso di Tenban. Aveva undici o dodici anni. Impiegarono quasi un anno intero per andare, fermarsi, e tornare. Era abbastanza ricca, la famiglia di mia nonna, così fecero tutto il viaggio su un carro trainato da eberdin. Sai, allora non avevano auto e aerei. Nessuno li aveva. La maggior parte della gente andava a piedi. Ma tutti avevano bandiere e portavano nastri. Color rosso e blu.» Ottiar Uming rise contenta al pensiero di quelle processioni. «La madre di mia madre scrisse la storia di quel viaggio. Un giorno, la tirerò fuori e la racconterò.»

Il suo compagno, Uming Ottiar, stava spiegando un grande foglio rigido sul tavolo, nel retro della loro drogheria. Ottiar Uming andò ad aiutarlo e mise una pietra nera lucida su ogni angolo che tendeva ad arricciarsi. Poi invitarono i loro cinque ascoltatori ad avvicinarsi, a salutare il foglio col gesto della montagna e del cuore, e a studiare la carta e le sue iscrizioni. La mostravano ogni tre settimane, e Sutty era sempre venuta, per tutto l’inverno. Era stato il suo primo contatto ufficiale con il sistema concettuale dell’Albero. Il bene più prezioso della coppia di maz, ricevuto in dono cinquant’anni prima dal loro maz-insegnante, era una splendida mappa o mandala dell’Uno che è Due da cui hanno origine il Tre, il Cinque, la Miriade, e dalla Miriade il Cinque, il Tre, il Due, l’Uno… Un Albero, un Corpo, una Montagna, tracciati nel cerchio che era tutto e nulla. Delicate figurine, animali, persone, piante, rocce, fiumi, vivide come fiamme guizzanti, costituivano le forme più grandi, che si dividevano, si ricongiungevano, si trasformavano nelle altre forme e nel tutto, l’unità fatta di varietà infinita, il mistero chiaro come il giorno.

A Sutty piaceva studiare la carta e cercare di decifrare le scritte e le poesie attorno alle immagini. Il dipinto era bellissimo, le poesie splendide e difficili da afferrare, la carta era un’opera d’arte, avvincente, illuminante. Maz Uming si sedette e dopo alcuni colpi sul piccolo tamburo cominciò a intonare uno dei canti interminabili che accompagnavano i rituali e molte narrazioni. Maz Ottiar lesse e discusse alcune delle iscrizioni, che risalivano a quattrocento o cinquecento anni prima. La sua voce era sommessa, piena di silenzi. Sottovoce, esitanti, gli studenti fecero delle domande. Lei rispose con lo stesso tono.

Poi indietreggiò, si sedette e proseguì il canto con voce da moscerino, e il vecchio Uming, mezzo cieco, biascicando le parole per via di un colpo apoplettico, si alzò e parlò di una delle poesie.

«Questa è di maz Niniu Raying, cinque, sei, settecento anni fa, eh? È nel Pergolato. Qualcuno l’ha scritta qui, un bravo calligrafo, perché parla di come le foglie dell’Albero muoiano ma ritornino sempre, purché noi le vediamo e le raccontiamo. Vedete, qua dice: "Parola, l’oro oltre la cascata, restituisce lo splendore al ramo". E qua sotto, vedete, qualcuno in seguito ha scritto: "La vita della mente è memoria".» Sorrise ai presenti, un sorriso lieve, gentile. «Ricordatelo, eh? "La vita della mente è memoria". Non dimenticatelo!» Rise, risero tutti. Intanto, nella stanza accanto, la drogheria, il nipote dei maz teneva alto il volume dell’impianto audio: musica allegra, esortazioni, notizie strombazzate, che servivano a coprire la poesia illecita, il riso proibito.

Era un peccato, ma affatto sorprendente, disse Sutty al noter, che un’antica disciplina popolare cosmologica-filosofica-spirituale contenesse una gran quantità di superstizione e sfociasse in quelle che lei aveva etichettato SA, sciocchezze astruse. La grande giungla di significati importanti aveva pantani e acquitrini, e lei alla fine ne aveva incontrati alcuni. Conobbe dei maz che sostenevano di possedere conoscenze arcane e poteri divini. Per quanto trovasse noiose tali affermazioni, si rendeva conto di non sapere con certezza che cosa fosse prezioso e che cosa ciancia, e registrò scrupolosa tutte le informazioni che poteva comprare da quei maz riguardanti l’alchimia, la numerologia, l’interpretazione letterale di testi simbolici. Per frammenti di testi e brandelli di metodologia, quei maz pretesero da lei un prezzo piuttosto salato, mostrandosi restii, facendo seguire alla compravendita avvertimenti solenni per metterla in guardia contro i pericoli di conoscenze così potenti.

Sutty detestava soprattutto le interpretazioni letterali. Con quella stretta aderenza alla lettera, con un simile fondamentalismo, le religioni tradivano le migliori intenzioni dei loro fondatori. Riducendo il pensiero a formula, sostituendo la possibilità di scelta con l’obbedienza, quei predicatori trasformavano la parola viva in legge morta. Ma Sutty inserì ogni cosa nel noter, che aveva già dovuto scaricare due volte su microcristallo perché non poteva trasmettere nulla della mole di tesori e sciocchezze che stava accumulando.

A quella distanza, con tutti i mezzi di comunicazione controllati, non aveva modo di consultarsi con Tong Ov e chiedergli cosa doveva fare di tutto quel materiale. Non poteva nemmeno dirgli che l’aveva trovato. Il problema rimase, e crebbe.

Tra le varie SA, trovò un tipo di sciocchezza astrusa che, a quanto le risultava, esisteva solo su Aka: un sistema di significati arcani attribuiti ai vari tratti che formavano i caratteri ideogrammatici e agli altri tratti e punti che servivano a qualificare il tempo verbale, il modo, il caso sostantivale, l’Azione e l’Elemento (perché tutto, proprio tutto, poteva essere categorizzato nelle Quattro Azioni e nei Cinque Elementi). Ogni carattere della vecchia scrittura diventava quindi un codice che doveva essere interpretato da specialisti, che ricordavano moltissimo gli esperti di oroscopi del paese di Sutty. Scoprì che a Okzat-Ozkat molte persone, compresi i funzionari dell’Azienda, non intraprendevano nulla di importante senza prima chiamare un "lettore di segni" che scrivesse il loro nome e altre cose pertinenti e, esaminati i dati e consultati diagrammi e carte di estrema complessità, li consigliasse e pronosticasse. «Questo è il genere di cosa che mi fa sentire solidale con il Controllore» disse al noter. Poi aggiunse: «No. È quello che il Controllore vuole dal suo genere di SA. SA politiche. Tutto a posto, in perfetto ordine, sotto controllo. Ma anche lui ha ceduto i comandi».

Molte pratiche osservate lì ricordavano pratiche analoghe sulla Terra. Gli esercizi fisici, come lo yoga e il tai chi, interessavano il corpo e la mente, erano discipline coltivate per tutta la vita, e conducevano a una concentrazione estrema, o a uno stato di trance, o al vigore marziale e alla prontezza, a seconda delle inclinazioni e del desiderio del praticante. Lo stato di trance sembrava ambito come esperienza di immobilità ed equilibrio perfetto, non come satori o rivelazione. La preghiera… Be’, e la preghiera?

Gli akani non pregavano.

Sembrava una cosa così strana, così anormale, che non appena si soffermò a pensarci Sutty precisò a se stessa: era possibilissimo che lei non capisse bene cos’era la preghiera.

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