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Si rimise in piedi e si stiracchiò, facendo scricchiolare le giunture e poi si appoggiò alla parete a braccia conserte. Era meglio che l’attesa non fosse troppo lunga, perché non appena la squadra d’assalto della polizia avesse dato il via libera, sarebbero comparse le squadre della manutenzione e dell’Autorità Portuale, per effettuare un controllo minuzioso centimetro per centimetro dell’installazione e allora la scoperta di Miles e dei suoi compagni sarebbe stata inevitabile. Ma non letale, finché nessuno (Miles lanciò un’occhiata a Mark) si faceva prendere dal panico.

Riportò lo sguardo sul visore, sul quale si vedevano i poliziotti che grattandosi la testa perplessi, cercavano di identificare i caduti. Il barrayarano catturato si mostrava acido e molto poco cooperativo. Come agente segreto era condizionato a non rivelare informazioni né sotto tortura, né sotto l’effetto del penta-rapido; i poliziotti londinesi avrebbero potuto cavargli molto poco con i mezzi a loro disposizione ed era chiaro che l’agente lo sapeva.

Guardando il caos nel corridoio, Mark scosse la testa: «Ma tu da che parte stai?»

«Perché non sei stato attento?» ribatté Miles. «Tutto questo è per te.»

Mark gli lanciò un’occhiata penetrante, aggrottando la fronte. «Perché?»

Già, perché? Miles osservò l’oggetto del suo interesse. Capiva come un clone potesse diventare un’ossessione e viceversa. Sollevò il mento, nel tic che gli era consueto e inconsciamente Mark lo imitò. Miles aveva sentito storie pazzesche a proposito del rapporto tra le persone e i loro cloni. Ma c’era da dire che chi si faceva costruire di proposito un clone non doveva essere tutto giusto in partenza. Era molto più interessante avere un figlio, preferibilmente con una donna che fosse più in gamba, più attraente e più bella di te, almeno così c’era la possibilità di un’evoluzione positiva nel clan. Miles si grattò il polso. Dopo un attimo, Mark si grattò un braccio. Miles allora si trattenne dallo sbadigliare: era meglio non dare inizio deliberatamente a qualcosa che non si sarebbe più potuto fermare.

Dunque: sapeva cos’era Mark. Forse era meglio capire cosa non era. Mark non era un duplicato di Miles, nonostante tutti gli sforzi di Galen. Non era neppure il fratello dei suoi sogni di figlio unico; Ivan, con il quale Miles aveva in comune la parentela, gli amici, Barrayar, ricordi privati di un passato che si allontanava, era cento volte più suo fratello di quanto Mark avrebbe mai potuto essere. Era possibile che Miles avesse sottovalutato i meriti di Ivan. Non si potevano rivivere da capo gli inizi poco felici, anche se, rifletté Miles guardando le proprie gambe corte come se riuscisse a vedere le ossa artificiali che contenevano, anche vi si poteva porre rimedio. Qualche volta.

«Già, perché?» ripeté Ivan vedendo che Miles continuava a tacere.

«Ma come» cinguettò Miles, «non ti piace il tuo nuovo cugino? Dov’è finito il tuo senso della famiglia?»

«Uno solo di voi due è più che sufficiente, grazie. Il tuo Malvagio Gemello, qui» disse Ivan facendo le corna, «è decisamente più di quanto posso sopportare. E poi, tutti e due non fate che rinchiudermi negli sgabuzzini.»

«Ah, ma almeno io ho chiesto dei volontari.»

«Già, questa l’ho già sentita: "Voglio tre volontari: tu, tu e tu". Comandavi nello stesso modo me e la figlia della tua guardia del corpo ancor prima di entrare nell’esercito, quando eravamo ragazzi. Non me lo sono dimenticato.»

«Nato per comandare» declamò Miles con un sorriso.

Mark corrugò la fronte, tentando evidentemente di immaginare il piccolo e deforme Miles che faceva il bulletto giocando con il grosso e sanissimo Ivan. «È tutto un trucco psicologico» lo informò Miles.

Studiò Mark, che a disagio, incassò la testa tra le spalle come una tartaruga sotto il suo sguardo. Era cattivo? Confuso, senza dubbio, uno spirito distorto come il corpo… anche se come mentore del bambino, Galen non poteva essere stato molto più tremendo del nonno di Miles. Ma per essere veramente sociopatico, un individuo doveva essere egocentrico in sommo grado e questa non era certo una definizione applicabile a Mark, a cui non era mai stato permesso di avere una personalità propria. Forse non era abbastanza egocentrico. «Tu sei il Male?» chiese Miles quasi per scherzo.

«Sono un assassino, no?» scattò Mark. «Che altro vuoi di più?»

«Ma è stato un assassinio? Mi era parso di avvertire qualche elemento di confusione.»

«Lui ha tentato di afferrare il distruttore neuronico, io non volevo lasciarglielo. È partito il colpo.» Mark impallidì al ricordo, aveva il volto cereo, solcato da ombre nella luce cruda della torcia di Miles infissa nella parete. «Io volevo che partisse.»

Ivan sollevò un sopracciglio, ma Miles non si peritò di metterlo al corrente. «Non premeditato, forse» gli suggerì.

Mark scrollò le spalle.

«Se tu fossi libero…» riprese Miles adagio.

«Libero?» lo schernì Mark con una smorfia. «Libero? Io? Che possibilità ho? A quest’ora la polizia avrà già ritrovato il corpo.»

«No. La marea è arrivata oltre la ringhiera, il mare lo ha portato via. Passeranno tre o quattro giorni prima che torni a galla. Se mai ci tornerà.» E per allora sarà irriconoscibile. Il capitano Galeni lo avrebbe reclamato, per dargli una sepoltura decente? Dov’era Galeni? «Supponi di essere libero, libero da Barrayar e da Komarr, anche da me. Libero da Galen e dalla polizia, libero dall’ossessione. Cosa sceglieresti? Chi sei, tu? Sei solo reazione, senza mai un’azione tua?»

Mark trasalì. «Fottiti.»

Miles piegò un angolo della bocca in un rapido sorriso e mosse lo stivale nella fanghiglia del pavimento. «Immagino che non lo scoprirai mai finché continuerò a starti appresso.»

«Quello libero sei tu!» sbottò Mark con tutto l’odio di cui era capace.

«Io?» esclamò Miles davvero sorpreso. «Io non sarò mai libero come lo sei tu adesso. Era la paura che ti teneva sotto il giogo di Galen; il suo controllo su di te durava solo finché gli eri vicino ed ora non c’è più. Io invece sono sotto il giogo di… altre cose. Da sveglio o durante il sonno, vicino o lontano, non fa differenza. Eppure… Barrayar può essere un posto interessante, visto attraverso occhi diversi da quelli di Galen. Suo figlio ne ha intraviste le possibilità.»

Fissando la parete, Mark sorrise acido. «Stai preparando un altro ruolo per il mio corpo?»

«E a che scopo? Tu non possiedi certo l’altezza che i miei… i nostri… geni avevano programmato o niente di simile. E poi, tanto le mie ossa diventeranno plastica comunque. Non c’è nessun vantaggio in quel ruolo.»

«Allora mi terrai di riserva; il magazzino di pezzi di ricambio in caso di incidenti.»

Miles alzò le braccia al cielo. «Non ci credi più nemmeno tu, a quella possibilità. Ma la mia offerta originale vale ancora. Torna con me dai dendarii e ti nasconderò, ti farò tornare di nascosto a casa dove avrai tutto il tempo per scoprire che il vero Mark, non è l’imitazione di qualcuno.»

«Non voglio conoscere quella gente» affermò Mark in tono secco.

Con quella intendeva suo padre e sua madre. Miles ci mise un po’ a capirlo, mentre Ivan ormai aveva chiaramente perso il filo. «Non credo che si comporterebbero male. Dopo tutto, sono già dentro di te, ad un livello fondamentale. Non puoi sfuggire a te stesso.» Si interruppe e riprovò: «Se tu potessi fare qualsiasi cosa, cosa faresti?»

Il volto di Mark assunse un’espressione dura. «Metterei fine al commercio di cloni del Gruppo Jackson.»

«Sono troppo protetti. Ma d’altra parte, cosa ci si può aspettare dai discendenti di una colonia che era partita come base per i dirottamenti e il contrabbando? Naturale che si siano trasformati in un’aristocrazia. Un giorno o l’altro ti racconterò un paio di aneddoti a proposito dei tuoi antenati che non fanno parte della storia ufficiale…» Così Mark aveva assorbito almeno questo di buono, dal suo legame con Galen, una sete di giustizia che andava al di là della sua stessa pelle, anche se la includeva. «Come scopo della vita, ti terrebbe senz’altro occupato. E come procederesti?»

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