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Elli rientrò in possesso della propria mano. «Ci siamo già incontrati.»

«No di certo, non avrei dimenticato il suo viso.»

«Non avevo questo viso. "Una lesta che sembra una cipolla" fu la sua definizione, se ben ricordo» puntualizzò con un lampo negli occhi. «Poiché in quella circostanza ero bendata, non avevo idea di quanto fosse brutta la protesi di plastopelle… finché non me lo ha detto lei. Miles non vi aveva mai fatto cenno.»

Il sorriso di Ivan si era un po’ afflosciato. «Ah, la signora ustionata dal plasma.»

Con un sorrisetto affettato, Miles si avvicinò a Elli, che lo prese a braccetto con atteggiamento possessivo, rivolgendo ad Ivan un freddo sorriso da samurai.

Cercando di accusare dignitosamente il colpo, Ivan si voltò verso il capitano Galeni.

«Poiché vi conoscete, tenente Vorkosigan, ho assegnato al qui presente tenente Vorpatril il compito di farle da guida in questa ambasciata, e di spiegarle quali saranno i suoi doveri» disse Galeni. «Vor o non Vor, fintanto che è sul libro paga dell’Imperatore, può anche darsi da fare. Mi auguro che arrivino al più presto delle chiarificazioni sulla sua posizione.»

«Mi auguro che anche le paghe dei dendarii arrivino con altrettanta celerità» disse Miles.

«La sua … guardia del corpo mercenaria può tornare al suo posto. Se per qualche ragione avrà bisogno di lasciare l’ambasciata, le assegnerò uno dei miei uomini.»

«Sissignore» sospirò Miles. «Ma devo comunque essere in grado di mettermi in contatto con i dendarii, per i casi di emergenza.»

«Farò in modo che il comandante Quinn abbia un comunicatore schermato, prima di andarsene. Anzi» toccò la consolle di comunicazione e disse: «Sergente Barth?»

«Sì, signore?» rispose una voce.

«Ha pronto quel comunicatore?»

«Ho appena finito di codificarlo, signore.»

«Molto bene. Lo porti nel mio ufficio.»

Dopo pochi istanti apparve Barth, ancora in abiti civili. Galeni scortò Elli alla porta. «Il sergente Barth la accompagnerà fuori dai confini dell’ambasciata, comandante Quinn.» Elli gettò un’occhiata a Miles, che le fece un rassicurante cenno di saluto.

«Cosa devo dire ai dendarii?» chiese Elli.

«Digli… digli che i fondi sono in arrivo» rispose Miles, mentre le porte si chiudevano con un sibilo, nascondendola.

Galeni ritornò alla consolle, su cui lampeggiava una spia per richiamare la sua attenzione. «Vorpatril, il suo primo compito sarà di far togliere a suo cugino quel… costume e di trovargli un’uniforme regolamentare.»

Per caso l’ammiraglio Naismith la innervosisce… anche solo un pochino, signore? pensò irritato Miles. «L’uniforme dendarii è reale quanto la sua, signore.»

Dall’altra parte della scrivania lampeggiante, Galeni gli rivolse un’occhiataccia. «Non saprei, sinceramente, tenente. Mio padre poteva permettersi di comperarmi solo dei soldatini giocattolo, quando ero un ragazzo. Potete andare, tutti e due.»

Inferocito, Miles attese che le porte si fossero richiuse alle loro spalle prima di strapparsi di dosso la giacca grigio-bianca e di gettarla sul pavimento del corridoio. «Costume! Soldatini giocattolo! Credo che ucciderò quel figlio di puttana komarrano!»

«Ohhh» esclamò Ivan, «quanto siamo suscettibili oggi.»

«Ma hai sentito cosa ha detto?»

«Già… ma Galeni è un tipo a posto, anche se forse un tantino attaccato al regolamento. Ci sono almeno una dozzina di eserciti mercenari con le divise più stravaganti che si aggirano in tutti gli angoli della distorsione e molti di loro sono al limite della legalità. Come fa ad essere sicuro che i tuoi dendarii non sono dei semplici dirottatori?»

Miles raccolse la sua giacca, la scosse e la ripiegò su un braccio con molta cura. «Huh.»

«Forza» disse Ivan, «ti porto giù in magazzino e ti trovo qualcosa di un colore che corrisponda di più ai suoi gusti.»

«Pensi che abbiano qualcosa della mia taglia?»

«Laggiù disegnano una mappa laser del tuo corpo e poi, sotto controllo del computer, voilà, la tua uniforme perfetta, proprio come esce dal laboratorio di quel pirata di sarto da cui ti servi. Qui siamo sulla Terra, ragazzo.»

«Sono dieci anni che quel sarto di Barrayar mi confeziona i vestiti. Conosce qualche trucchetto in più del computer… Be’, immagino che dovrò accontentarmi. Il computer dell’ambasciata è in grado di confezionare anche abiti civili?»

«Se hai dei gusti conservatori» rispose Ivan con una smorfia. «Se invece vuoi qualcosa per far restare a bocca aperta le ragazze del posto, devi rivolgerti da un’altra parte.»

«Con Galeni come istitutrice, ho la sensazione che non avrò molte possibilità di rivolgermi da un’altra parte» sospirò Miles. «Mi adatterò.»

Miles osservò la manica color verde bosco della sua uniforme d’ordinanza barrayarana, aggiustò il polsino e sollevò il mento, per sistemare al meglio il colletto alto e rigido. Aveva quasi dimenticato quanto fosse scomodo quel maledetto colletto, per lui che aveva il collo corto: sul davanti, il rettangolo rosso dei gradi di tenente pareva quasi perforargli la guancia, mentre sul dietro gli si impigliava nei capelli troppo lunghi. L’osso del piede sinistro che si era rotto su Dagoola continuava a fargli male, anche dopo essere stato rotto una seconda volta, raddrizzato e trattato con elettro-stimolante.

Tuttavia in quell’uniforme verde si sentiva a casa, era di nuovo il vero se stesso. Forse era arrivato il momento di prendersi una vacanza dal ruolo di ammiraglio Naismith e da tutte le sue interminabili responsabilità, di ricordare i problemi molto più banali del giovane tenente Vorkosigan, il cui solo compito adesso era di imparare le procedure di un piccolo ufficio e di sopportare Ivan Vorpatril. I dendarii non avevano bisogno che lui stesse lì a tenergli la manina per cose tanto normali come riparazioni e rifornimenti e lui non avrebbe potuto orchestrare in modo più sicuro e discreto la scomparsa dell’ammiraglio Naismith.

Il regno di Ivan Vorpatril era una minuscola stanza priva di finestre all’interno dell’ambasciata e il suo compito era quello di inserire centinaia di dischi-dati in un computer protetto che li avrebbe trasformati in rapporti settimanali sulla situazione terrestre che sarebbero poi stati inviati al Capo Illyan e al comando su Barrayar. Dove, immaginava Miles, sarebbero stati confrontati tramite computer con altre centinaia di rapporti simili che avrebbero consentito a Barrayar di avere una visione dell’universo. Miles sperava con tutto se stesso che Ivan non sommasse chilowatt e megawatt nella stessa colonna.

«Fino ad ora la gran parte dei dati non sono che statistiche pubbliche» gli stava spiegando il cugino, seduto alla consolle e con l’aria di sentirsi perfettamente a proprio agio nell’uniforme verde. «Spostamenti della popolazione, cifre sulla produzione agricola e industriale, bilanci militari delle varie divisioni politiche, quelli pubblicati. Il computer li mette insieme in un dozzina di modi diversi e quando qualcosa non quadra, si mette a lampeggiare. Ma dal momento che tutte le fonti primarie hanno i computer, questo non avviene molto spesso… tutte le bugie vengono sotterrate molto prima di arrivare a noi, dice Galeni. Per Barrayar, la cosa più importante sono le registrazioni dei movimenti di astronavi dentro e fuori lo spazio locale terrestre.»

«E a questo punto arriviamo alla parte più interessante, il vero lavoro spionistico. Ci sono parecchie centinaia di persone qui sulla Terra di cui questa ambasciata cerca di seguire i movimenti, per una ragione o per l’altra, per una questione di sicurezza. Uno dei gruppi più numerosi è quello dei ribelli komarrani che sono espatriati.» Mosse una mano e una dozzina di volti comparvero uno dopo l’altro sulla videopiastra.

«Davvero?» chiese Miles, che cominciava ad interessarsi, suo malgrado. «Forse Galeni ha contatti segreti con loro, o cose simili? È per questo che mi hanno assegnato qui? Doppio agente, triplo agente…»

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