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Mentre la porta si apriva con un sibilo, Miles fece ruotare la sua sedia e di colpo, la stanza gli parve più luminosa, anche se un misuratore di luce non avrebbe rilevato alcun aumento della luminosità. Elli gli rivolse un cenno di saluto e si appoggiò con un fianco alla scrivania. Sorrise, ma aveva gli occhi stanchi.

«Te l’avevo detto. In effetti si è parlato di trasformarmi in un ospite fisso, ma io sono stata dolce, ho collaborato, sono stata persino sussiegosa mentre cercavo di convincerli che non sono una minaccia omicida per la società e che potevano lasciarmi di nuovo circolare per strada, ma non avevo ottenuto molto fino a quando i loro computer, improvvisamente, hanno fatto centro: la scientifica ha identificato i due uomini che ho… eliminato allo spazioporto.»

Miles comprese la leggera esitazione alla ricerca del termine esatto. Un’altra persona avrebbe cercato un più blando eufemismo, (qualcosa come fatto scomparire oppure spazzato via), per giustificare le conseguenze delle proprie azioni. Ma non era lo stile di Elli Quinn.

«Interessante» commentò in tono di incoraggiamento, mantenendo la voce calma, priva di qualunque inflessione critica o giudizio. Se i fantasmi dei tuoi nemici si accontentassero di accompagnarti all’inferno… invece no, rimangono appollaiati alle tue spalle, per un tempo indefinito, in attesa di poter espletare quel servizio. Forse le tacche che Danio intagliava nel calcio della sua pistola non erano poi un’idea di così cattivo gusto: di certo era un peccato più grave dimenticare nel conto anche un solo nemico. «Dimmi di loro.»

«È saltato fuori che erano ben noti e ricercati dalla Europolizia. Erano… come posso esprimermi… manovalanza del sottobosco. Assassini professionisti. Locali.»

Miles trasalì. «Ma perché, cosa gli ho fatto?»

«Dubito che ti stessero dando la caccia di loro iniziativa. Quasi certamente sono stati assoldati da sconosciuti, anche se immagino che noi saremmo in grado di dare loro un nome.»

«Oh, no. L’ambasciata cetagandana adesso subappalta il mio assassinio? Però direi che ha un senso: Galeni mi ha detto che erano a corto di personale. Ma ti rendi conto…» si alzò e cominciò a passeggiare avanti e indietro, agitato, «questo significa che potrei essere attaccato di nuovo, da qualunque parte. Dovunque, in qualunque momento. Da sconosciuti che non avrei alcun motivo di sospettare.»

«Un incubo, per la sicurezza» convenne lei.

«Immagino che la polizia non sia stata in grado di rintracciare i mandanti?»

«Sarebbe stato troppo bello. O comunque non ancora. In effetti ho indirizzato la loro attenzione sui cetagandani come candidati per la parte del cateto "movente" nel triangolo metodo-movente-occasione.»

«Ottimo. E per l’altra parte del triangolo, quella che riguarda il metodo e l’occasione, non possiamo fare qualcosa anche noi?» rifletté Miles ad alta voce. «Il risultato del loro tentativo stanno a dimostrare che erano impreparati per quel compito.»

«Per come la vedo io, direi che la loro azione è andata fin troppo vicino a funzionare» gli fece notare lei. «Però secondo me, il fattore che li limita potrebbe essere l’occasione. Voglio dire, quando tu sei a terra, l’ammiraglio Naismith non si limita a darsi alla macchia, anche se sarebbe decisamente complicato scovare un singolo uomo tra nove miliardi di persone; no, cessa letteralmente di esistere dovunque, zac! Pare che quei tizi ronzassero già da qualche giorno intorno all’aeroporto, aspettandoti.»

«Certo.» La sua visita alla Terra era completamente rovinata. A quanto pareva, l’ammiraglio Naismith era diventato un pericolo per se stesso e per gli altri. La Terra era sovraffollata: cosa sarebbe successo se la prossima volta i suoi attentatori avessero fatto saltare in aria un intero vagone della metropolitana o un ristorante per raggiungere il loro bersaglio? Essere scortato all’inferno dalle anime dei nemici era una cosa, ma non ritrovarsi a fianco di una scolaresca delle medie.

«Oh, a proposito, mentre ero a terra ho visto il soldato Danio» aggiunse Elli, osservandosi un’unghia sbeccata. «Il processo si terrà tra un paio di giorni e mi ha chiesto di chiederti di essere presente.»

Miles imprecò sottovoce. «Ma certo! Un numero potenzialmente illimitato di perfetti sconosciuti sta cercando di farmi fuori e lui vuole che annunci un’apparizione in pubblico. Senza dubbio per dar loro la possibilità di far pratica di tiro al bersaglio.»

Con un sorrisetto, Elli si morsicò l’unghia per pareggiarla. «Vuole qualcuno che testimoni il suo buon stato di servizio e la sua buona condotta.»

«Testimoniare sulla sua buona condotta? Vorrei tanto sapere dove tiene nascosta la sua collezione di scalpi; la porterei in aula per mostrarla al giudice. La terapia per le sociopatologie è stata inventata proprio per tipi come lui. No, no. L’ultima persona di cui ha bisogno come testimone è proprio qualcuno che lo conosce bene.» Con un sospiro, Miles proseguì: «Mandaci il capitano Thorne. È un betano, dotato di un savoir faire cosmopolita, dovrebbe essere in grado di mentire in modo convincente sul banco dei testimoni.»

«Ottima scelta» applaudì Elli. «Era proprio ora che tu cominciassi a delegare una parte del tuo fardello.»

«Non faccio che delegare» obiettò lui. «Sono molto contento, ad esempio, di aver delegato te per la mia sicurezza personale.»

Lei sollevò una mano nell’aria, con una smorfia, come per accantonare quel complimento prima ancora che lo raggiungesse. Che le sue parole le avessero fatto male? «Sono stata lenta.»

«Sei stata veloce quanto bastava.» Si voltò per guardarla in viso, o quantomeno… la gola. Elli si era tolta la giacca per stare più comoda e la scollatura della maglietta nera incrociava la scapola in una sorta di scultura astratta, estetica. Il suo profumo, il suo profumo di donna, non un’essenza, si levava dalla pelle calda.

«Penso che avessi ragione tu» disse. «"Un funzionario non dovrebbe fare compere nel negozio della società…"»

Maledizione pensò Miles, a quando l’ho detto. Ma allora, l’avevo detto perché ero innamorato della moglie di Baz Jesek e non volevo che si sapesse… era meglio che non venisse fuori mai…

«… in effetti ti distrae dal tuo dovere. Allo spazioporto, ti guardavo venire verso di noi e per un paio di minuti, che sono stati anche i più critici, la sicurezza è stata proprio l’ultima cosa che avevo in mente.»

«E la prima qual era?» chiese Miles speranzoso, prima che il buon senso lo fermasse. Svegliati, ragazzo, nei prossimi trenta secondi potresti mandare a catafascio tutto il tuo futuro.

Il sorriso di Elli fu molto sofferto. «A dire la verità, mi stavo chiedendo cosa ne avessi fatto di quella stupida coperta di gatto» affermò in tono frivolo.

«L’ho lasciata all’ambasciata. Stavo per portartela…» cosa non avrebbe dato per poterla tirare fuori ora, e invitarla a distendersi con lui sopra quella pelliccia… «ma avevo altre cose per la testa. Non ti ho ancora parlato dell’ultima piega presa dalle nostre già intricate finanze. Ho il sospetto…» maledizione, di nuovo gli affari che si intrufolano in questo momento, che avrebbe potuto diventare personale. «Te ne parlerò in seguito. Adesso voglio parlarti di noi. Devo parlare di noi.»

Elli si ritrasse leggermente e Miles si corresse in fretta: «… e dei nostri compiti.» Elli fermò la sua ritirata. Miles le toccò il colletto dell’uniforme, lo girò e passò le dita sulla superficie liscia e fresca delle mostrine. Era nervoso come un collegiale. Ritirò la mano e la strinse contro il fianco, per controllarsi.

«Io… vedi, io ho un mucchio di doveri, come se ne avessi una dose doppia: ci sono i doveri dell’ammiraglio Naismith e ci sono quelli del tenete Vorkosigan. E poi ci sono anche quelli di Lord Vorkosigan. Una dose tripla, anzi.»

Le sopracciglia inarcate, le labbra sporte in fuori, lo sguardo vagamente interrogativo: con pazienza celestiale, Elli aspettava, sì, aspettava che lui si rendesse ridicolo, senza interferire, lasciandogli scegliere il modo e il tempo. E il modo stava diventando farraginoso.

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