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— Sì, ma noi non siamo neonati — interruppe Dearri, — noi siamo uomini razionali. La sua Simultaneità è una sorta di regressivismo mistico?

Ci fu una pausa, mentre Shevek si serviva una pasta di cui non aveva voglia, e se la portava alle labbra. Aveva già perso la pazienza una volta, oggi, e si era reso ridicolo. Una volta era sufficiente.

— Forse la potreste vedere — disse, — come un tentativo di raggiungere un punto d’equilibrio. Vede, la Sequenza spiega meravigliosamente il nostro senso del tempo lineare, e i documenti dell’evoluzione. Essa include la creazione, e la mortalità. Ma qui si ferma. Si occupa di tutto ciò che cambia, ma non può spiegare perché le cose, anche, durino. Parla solamente della freccia del tempo… mai del cerchio del tempo.

— Il cerchio? — chiese l’interlocutore più cortese, con una tale evidente sete di conoscenza che Shevek dimenticò Dearri e si tuffò nell’argomento con entusiasmo, gesticolando con le mani e le braccia come per mostrare all’ascoltatore, materialmente, le frecce, i cicli, le oscillazioni di cui parlava. — Il tempo procede a cicli, oltre che su una linea. La rivoluzione di un pianeta: capisce? Un ciclo, un’orbita attorno al sole, e fa un anno, no? E due orbite due anni, e così via. Si possono contare le orbite interminabilmente… un osservatore può farlo. E in realtà un simile sistema è quello che ci permette di computare il tempo. Costituisce il cronometro, l’orologio. Ma all’interno del sistema, del ciclo, dov’è il tempo? Dov’è l’inizio, dov’è la fine? L’infinita ripetizione è un processo atemporale. Deve essere paragonato, riferito a qualche processo ciclico o non ciclico, per poter essere visto come temporale. Bene, questo è molto strano e interessante, vede. Gli atomi, come lei sa, hanno un moto ciclico. I composti stabili sono fatti di costituenti che hanno un moto regolare, periodico, relativo l’uno all’altro. Di fatto, sono i piccoli cicli, reversibili nel tempo, degli atomi a dare alla materia una permanenza sufficiente a rendere possibile l’evoluzione. Le piccole intemporalità sommate insieme compongono il tempo. E anche sulla scala più ampia, il cosmo: ebbene, lei sa che noi pensiamo che l’intero universo sia un processo ciclico, un’oscillazione tra espansione e contrazione, senza un «prima» e un «dopo». Soltanto all’interno di ciascuno dei grandi cicli in cui viviamo, soltanto là c’è il tempo lineare, l’evoluzione, il cambiamento. Così dunque il tempo ha due aspetti. C’è la freccia, il fiume che scorre, senza di cui non c’è cambiamento, non c’è progresso, direzione, creazione. E c’è il cerchio o ciclo, senza di cui è il caos, la successione priva di significato di istanti, un mondo senza orologi, o stagioni, o promesse.

— Non potete asserire due affermazioni contraddittorie sulla stessa cosa — disse Dearri, con la calma conferita da una conoscenza superiore. — In altre parole, uno di questi «aspetti» è reale, e l’altro è semplicemente un’illusione.

— Molti fisici hanno detto la stessa cosa — annuì Shevek.

— Ma lei cosa dice? — chiese colui che voleva sapere.

— Be’, io credo che sia un modo troppo facile per sfuggire alla difficoltà… Si può rifiutare l’essere o il divenire, con la scusa che è un’illusione? Il divenire senza l’essere non ha significato. L’essere senza il divenire è una grande noia… Se la mente è capace di percepire il tempo in entrambi questi modi, allora una vera cronosofia dovrebbe fornire un campo nel quale la relazione tra i due aspetti o processi del tempo possa venire compresa.

— Ma a cosa serve questa specie di «comprensione» — disse Dearri, — se non dà come risultato delle applicazioni pratiche, tecnologiche? Soltanto un gioco di parole, ecco.

— Lei fa domande come un vero speculatore — disse Shevek, e neppure un’anima, lì dentro, seppe che l’aveva insultato con la parola più offensiva del suo vocabolario; anzi, Dearri fece un piccolo cenno d’assenso, accettando il complimento con soddisfazione. Vea tuttavia avvertì la tensione e s’intromise: — Io, realmente, non capisco una parola di quanto lei dice, lo sa, ma mi pare che se ho davvero capito ciò che ha detto a proposito del libro… che ogni cosa, in realtà, esiste già ora… dunque noi potremmo predire il futuro? Se è già qui? …

— No, no — disse l’uomo timido, che per l’occasione aveva perso ogni timidezza. — Non è qui come può esserlo un divano o una casa. Il tempo non è lo spazio. Non ci si può camminare dentro! — Vea annuì, felice, come se il fatto di essere stata rimessa al suo posto le desse sollievo. E come se avesse ricevuto coraggio dal fatto di avere scacciato la donna dai reami del pensiero superiore, l’uomo timido si voltò verso Dearri e disse: — Mi pare che l’applicazione della fisica temporale sia nel campo dell’etica. Lei è d’accordo, dottor Shevek?

— L’etica? Be’, non saprei. Io mi occupo prevalentemente di matematica, sa. Non si può mettere sotto equazioni il comportamento morale.

— Perché no? — chiese Dearri.

Shevek lo ignorò. — Ma è vero, la cronosofia tocca davvero l’etica. Poiché il nostro senso del tempo tocca la nostra abilità nel separare causa ed effetto, fini e mezzi. Il bambino, anche questa volta, o l’animale: essi non vedono la differenza tra ciò che compiono ora e ciò che succederà a causa di questa loro azione. Non sono capaci di azionare una carrucola, o di fare una promessa. Ma noi sì. Vedendo la differenza tra l’adesso e il non adesso, noi possiamo fare la connessione. E qui fa il suo ingresso la moralità. La responsabilità. Dire che un fine buono nascerà da un mezzo cattivo è come dire che se tiro questa corda della carrucola solleverò il peso appeso a quell’altra corda. Infrangere una promessa equivale a negare la realtà del passato; pertanto è negare la speranza di un vero futuro. Se tempo e ragione sono l’uno funzione dell’altra, se noi siamo creature del tempo, allora è meglio che lo sappiamo, e che cerchiamo di trarne il bene. Di agire responsabilmente.

— Ma senta — disse Dearri, con ineffabile soddisfazione a causa della propria acutezza, — lei ha appena detto che nel suo sistema della Simultaneità non ci sono un passato e un futuro, ma solo una sorta di eterno presente. Così, come si può essere responsabili del libro che è già stato scritto? L’unica cosa che si può fare è quella di leggerlo. Non resta scelta, non resta libertà d’azione.

— Questo è il dilemma del determinismo. Lei ha ragione, è implicito nel pensiero simultanista. Ma anche il pensiero Sequenziale ha il suo dilemma. Si potrebbe esprimerlo con una piccola immagine sciocca… lei getta una pietra contro un albero, e se lei è un Simultanista, la pietra ha già colpito l’albero, mentre se lei è un Sequenzialista, non potrà mai colpirlo. Quale scegliere, allora? Forse lei preferirà scagliare pietre senza preoccuparsi della cosa, senza operare la scelta. Io invece preferisco complicare le cose, e le scelgo entrambe.

— E come… e come le riconcilia? — chiese l’uomo timido, con ansia.

Shevek quasi rise per la disperazione. — Non lo so. Sto lavorando da molto tempo per farlo! Dopotutto, la pietra colpisce davvero l’albero. Né la pura sequenza né la pura unità potranno spiegarlo. Noi non vogliamo la purezza, ma la complessità, il rapporto di causa ed effetto, fini e mezzi. Il nostro modello del cosmo dev’essere inesauribile come il cosmo stesso. Una complessità che comprenda non solo la durata, ma anche la creazione, non solo l’essere, ma anche il divenire, non solo la geometria, ma anche l’etica. Non è la risposta, ciò che cerchiamo, ma soltanto il modo corretto di formulare la domanda…

— Tutto molto bello, ma l’industria ha bisogno di risposte — disse Dearri.

Shevek si voltò lentamente, abbassò gli occhi su di lui e non disse parola.

Cadde un pesante silenzio, nel quale Vea si infilò subito, con grazia e incoerenza, per tornare al suo tema della predizione del futuro. Altri vennero richiamati dall’argomento, e tutti cominciarono a riferire le proprie esperienze con indovini e chiaroveggenti.

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