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CAPITOLO 10

Nel Sudovest, le linee ferroviarie correvano per la maggior parte su una massicciata alta un metro o più al di sopra dei piani. Su un binario elevato si depositava meno polvere, ed esso inoltre permetteva ai viaggiatori una bella vista del deserto.

Il Sudovest era l’unica delle otto Divisioni di Anarres che fosse priva di un grosso corso d’acqua. Paludi si formavano per lo scioglimento dei ghiacci polari all’estremo sud, in estate; verso l’Equatore c’erano soltanto laghi alcalini poco profondi in ampie depressioni salate. Non c’erano montagne; ogni cento chilometri circa, correva da nord a sud una catena di basse colline spoglie, screpolate, in cui le intemperie avevano scavato guglie e burroni. Avevano strisce viola e rosse, e, sulle facce dei burroni, il muschio, una pianta che viveva in qualsiasi estremo di calore, freddo, aridità e vento, cresceva in forma di decise macchie verticali color verde e grigio, formando una scacchiera con le striature dell’arenaria. L’unico ulteriore colore del paesaggio era il marrone sporco, che si sbiancava nei bassipiani salati semicoperti dalla sabbia. Rare nubi di tempesta sfilavano sui pianori, bianco vivo sul cielo violetto. Da esse non veniva pioggia, ma soltanto ombra. La massicciata e le rotaie luccicanti correvano dritte alle spalle del treno, a perdita d’occhio, e dritte davanti ad esso a perdita d’occhio.

— L’unica cosa che si può fare col Sudovest — disse il macchinista, — è arrivare alla sua fine.

L’uomo che era con lui non rispose, poiché s’era addormentato. La sua testa sobbalzava con le oscillazioni del motore. Le sue mani, indurite dal lavoro e annerite dal gelo, erano appoggiate alle cosce, il suo volto rilassato era segnato da rughe, triste. Era salito sul treno alla Montagna del Rame, e, non essendoci altri passeggeri, il macchinista gli aveva chiesto di viaggiare nella locomotiva per tenergli compagnia. Si era addormentato immediatamente. Il macchinista gli dava un’occhiata di tanto in tanto, con disappunto ma con simpatia. Aveva visto così tanta gente consumata dalla stanchezza, negli ultimi anni, che essa gli pareva la condizione normale.

Verso la fine del lungo pomeriggio l’uomo si destò, e dopo essersene rimasto a guardare il deserto per un lungo tempo, chiese: — Tu fai sempre da solo questo viaggio?

— Negli ultimi tre, quattro anni.

— S’è mai guastata la macchina, quaggiù?

— Un paio di volte. C’è un mucchio d’acqua e di razioni nell’armadietto. Hai fame, anzi?

— Non ancora.

— Mandano il carro attrezzi dal Solitario in un giorno o due.

— È la città più vicina?

— Sì. Millesettecento chilometri dalle Miniere di Sedap al Solitario. Il tragitto più lungo tra due città di Anarres. Io lo faccio da undici anni.

— E non sei stufo?

— No. Mi piace lavorare da solo.

Il passaggero annuì.

— E poi, è tranquillo. Mi piace un lavoro sempre uguale; ti lascia pensare. Quindici giorni di viaggio, quindici giorni di riposo con la compagna a Nuova Speranza. Con l’anno che viene, con l’anno che va; con la siccità, con la carestia, con quel che c’è. Niente cambia, c’è sempre la siccità, da queste parti. Amo questo percorso. Mi tiri fuori l’acqua, eh? È al fresco sotto l’armadio, in fondo.

Entrambi trassero una lunga sorsata dalla bottiglia. L’acqua aveva un sapore piatto, alcalino, ma era fresca. — Ah, com’è buona! — disse il passeggero, contento. Rimise a posto la bottiglia, e, tornato al suo sedile nella parte anteriore della cabina, sbadigliò e si stirò, premendo le mani contro il soffitto. — Allora hai un legame di compagni — disse. Nel modo in cui lo disse, c’era una semplicità che piacque al macchinista, il quale gli rispose: — Da diciotto anni.

— Sei appena agli inizi.

— Accidenti, sono d’accordo! Ora, è proprio la cosa che alcuni non capiscono. Ma come la vedo io, se vai molto in giro a copulare quando sei un ragazzo, è quello il periodo migliore, ma poi finisci per accorgerti che è sempre la stessa cosa. Una gran bella cosa, però! Comunque, ciò che è diverso non è la copula; è l’altra persona. E diciott’anni è appena l’inizio, giustissimo, se vuoi capire fino in fondo quella differenza. Almeno, se quella che vuoi capire è una donna. Una donna non ammetterà mai che un uomo sia altrettanto un problema, ma forse le donne fanno finta… Comunque, è proprio questo il piacere della cosa. Il problema, le finte e controfinte e così via. La varietà. Ma per avere la varietà non basta semplicemente andare in giro. Io giravo tutta Anarres, da giovane. Ho portato macchine in ogni Divisione. Avrò conosciuto cento ragazze in tante città diverse. E la cosa diventava noiosa. Allora sono tornato qui, e faccio questo percorso ogni tre decadi, anno dopo anno in. questo deserto, sempre lo stesso, dove non si distingue una collina di sabbia dall’altra ed è tutto uguale per tremila chilometri da qualunque parte uno guardi, e torno a casa dalla stessa compagna… e non mi annoio neppure una volta. Non è il cambiare sempre da un posto all’altro, che ti tiene interessato. È l’avere il tempo dalla tua. Lavorare con esso, non contro di esso.

— Proprio così — disse il passeggero.

— Dove hai la compagna?

— Nel Nordest. Da quattro anni, ormai.

— Così è un periodo troppo lungo — disse il macchinista. — Vi avrebbero dovuto assegnare insieme.

— Non dove ero io.

— Che sarebbe?

— Gomito, e poi Valle Grande.

— Ho sentito di Valle Grande. — Ora fissò il passeggero con il rispetto che si tributa a un superstite. Vide l’aspetto asciutto della sua pelle abbronzata, una sorta di stagionatura che giungeva fino alle ossa: l’aveva già visto in altri che avevano passato nella Polvere gli anni della carestia. — Non avremmo dovuto cercare di tenere in funzione quelle cave.

— Occorrevano i fosfati.

— Ma dicono che quando il treno delle provviste è stato bloccato a Portale, hanno continuato a tenere in funzione le cave, e la gente moriva di fame sul lavoro. Si metteva un po’ più in là, si stendeva in terra e moriva. È stato proprio così?

L’uomo annuì. Non disse nulla. Il macchinista non chiese altro; disse, dopo un po’: — Mi chiedevo che cosa avrei fatto se il mio treno fosse stato assalito.

— Non lo è mai stato?

— No. Sai, io non porto vettovaglie; tutt’al più un carico per Sedep Superiore. Questo è un percorso minerario. Ma se fossi su un percorso delle vettovaglie, e se mi fermassero, che cosa farei? Metterli sotto e portare il cibo dove deve andare? Ma, all’inferno, investire dei bambini, dei vecchi? Sì, fanno una cosa non giusta, ma tu vuoi ucciderli per quello? Non so cosa dire!

I binari dritti e lucenti scorrevano sotte le ruote. Ad ovest le nubi tessevano grandi miraggi trepidi sul piano: l’ombra del sogno di laghi prosciugati da dieci milioni d’anni.

— Un collega, un amico che conosco da anni, ha fatto proprio così, su a nord, nel ’66. Volevano staccargli dal treno un carro di grano. Lui ha fatto andare indietro il treno, ne ha ucciso un paio prima che lasciassero liberi i binari; erano come vermi sulla carne marcia, fitti, diceva. Diceva: ci sono ottocento persone che aspettano quel grano, e quanti di loro moriranno se non lo riceveranno? Più di due, molti di più. E così sembra che avesse ragione. Ma dannazione! Io non riesco a fare conti di quel tipo. Non so se sia giusto contare le persone come si contano i numeri. Però, come fare? Quali decidi di uccidere?

— Il secondo anno che lavoravo a Gomito… laggiù tenevo le liste dei turni… la federativa delle cave ridusse le razioni. La gente che faceva sei ore di lavoro nella fabbrica aveva razione intera… giusto il minimo sufficiente per quel tipo di lavoro. La gente che faceva orario ridotto aveva tre quarti di razione. Se erano malati o troppo deboli per lavorare, metà. Con metà razione non potevi guarire. Non potevi ritornare al lavoro. Tutt’al più potevi rimanere vivo. E io avrei dovuto mettere della gente a mezza razione, gente che era già malata. Io lavoravo a tempo pieno, otto, a volte dieci ore, a tavolino, e così avevo razione intera: me la guadagnavo. Me la guadagnavo facendo elenchi di persone che sarebbero morte di fame. — Gli occhi chiari del passeggero fissarono avanti, nella luce asciutta. — Come hai detto tu. Dovevo contare le persone.

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