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La notte si avvicinava rapidamente e dovette rivestirsi in fretta. Il cane dei Braith era steso presso la macchina di Lorimaar e masticava un enorme pezzo di carne, ma non c’era segno del suo padrone. Dirk si avviò con precauzione verso la terza aerauto, girando ben lontano dalla bestia; la macchina di Pyr e del suo teyn. Era convinto che poteva prendersi le loro provviste senza troppi rischi; gli altri Braith ritornando e trovando l’accampamento vuoto, non avrebbero potuto scoprire se mancava qualcosa.

Dentro trovò una rastrelliera piena di armi: quattro fucili a laser su cui era stata incisa la testa di lupo ben nota, una certa quantità di spade da duello, coltelli, una lama da lancio argentea lunga due metri e mezzo messa accanto ad una mensola vuota. Su di un sedile c’erano due pistole gettate lì. Trovò anche un armadio pieno di vestiti puliti e si cambiò velocemente, infilando i vestiti logori in un posto fuori vista. I vestiti non gli andavano bene, ma si sentì molto meglio. Si prese una cintura di maglia di ferro, una pistola da combattimento ed un soprabito fino al ginocchio fatto di tessuto camaleontino.

Spostando il mantello dal punto in cui era stato appeso, mise in mostra un altro strano armadio. Dirk lo aprì. Dentro c’erano quattro stivali ben noti, oltre agli aeroscooter di Gwen. Evidentemente Pyr ed il suo teyn li avevano reclamati come bottino personale.

Dirk sorrise. Non aveva avuto mai l’intenzione di prendersi un’aerauto; c’erano troppe possibilità di essere subito scoperto dai cacciatori, soprattutto se li avesse incontrati durante il giorno. Comunque l’idea di dover camminare non lo aveva spaventato. Gli scooter erano la risposta più adatta. Non perse tempo cercando un paio di stivali più larghi, anche se dovette indossare gli altri senza legarli, dopo aver infilato i piedi bendati.

Il cibo era sistemato nello stesso armadietto degli stivali volanti; barrette di proteine, bastoncini di carne secca, una piccola quantità di formaggio duro. Dirk si mangiò il formaggio e mise il resto nello zaino che sistemò dietro alle spalle, poi uscì fuori per allargare il tessuto metallico sulla sabbia.

Era ormai buio. Il suo punto di riferimento della notte precedente, la stella di Alto Kavalaan, brillava rossa e scintillante ed unica sulla foresta. Dirk la vide e sorrise. Questa notte non gli sarebbe servita per indicazione; immaginava che Jaan Vikary si sarebbe diretto al più presto verso Kryne Lamiya, nella direzione opposta. Ma la stella gli pareva sempre un’amica.

Prese un fucile a laser appena caricato e toccò la cialda metallica dello scooter. Si sollevò. Dietro di lui il cane Braith si alzò in piedi e si mise ad ululare.

Volò per tutta la notte, tenendosi parecchi metri al di sopra delle cime degli alberi, consultando ogni tanto la bussola e studiando le stelle. C’era ben poco da vedere. Sotto di lui c’era la foresta che scivolava via infinita, nera e nascosta, senza fuochi o luci che ne rompessero l’oscurità. Certe volte gli pareva addirittura di essere immobile e gli venne in mente l’ultimo viaggio in scooter, attraverso le gallerie della sotterranea abbandonata di Worlorn.

Il vento lo accompagnava sempre. Gli veniva da dietro le spalle, forte sulla schiena ed accettò volentieri quel po’ di velocità in più che gli regalava. Gli faceva sbattere il mantello tra le gambe mentre volava e parecchie volte gli aveva spinto i lunghi capelli sugli occhi. E lo sentiva muovere la foresta sotto di lui, facendo curvare gli alberi più elastici e facendo stormire le loro foglie, scuoteva gli alberi più robusti con fredde mani selvagge, fino a far loro cadere tutte le foglie. Solo i soffocatori parevano impenetrabili, ma laggiù c’erano un mucchio di soffocatori. Il vento emetteva un leggero sibilo selvaggio, mentre lottava con quei rami contorti. Il suono era quello giusto; questo era il vento di Kryne Lamiya, Dirk lo sapeva, nasceva al di là delle montagne ed era controllato dalle macchine del tempo di Cupalba e si muoveva verso il fato. Là davanti c’erano le torri bianche in attesa e le mani ghiacciate lo spingevano avanti.

C’erano anche altri rumori: fatali movimenti nei boschi sottostanti, gli stridii dei cacciatori notturni, il frusciare di un piccolo fiume sottile, il tuonare di una rapida. Dirk sentì parecchie volte lo strillo alto e cinguettante degli spettri-d’albero e vide piccole forme che saltavano da un ramo all’altro. I suoi occhi e le orecchie divennero stranamente sensibili. Passò sopra un ampio lago e senti qualcosa che si tuffava nelle acque nere, seguito da tante altre cose simili. In lontananza, sulla riva, un muggito strombettante risuonò nella notte. E dietro di lui una risposta come una sfida; un lungo gemito lamentoso. La banscea.

Quel suono lo raggelò, la prima volta che lo senti. Ma la paura passò subito. Quando era nudo nella foresta, la banscea era stata una minaccia terribile, era la morte circondata da ali. Ma adesso aveva un’arma al fianco e la creatura costituiva una minaccia secondaria. Forse, rifletté, poteva essere anche una alleata. Già una volta gli aveva salvato la vita. Forse io avrebbe fatto ancora.

La banscea emise il suo gemito agghiacciante una seconda volta… Era sempre dietro di lui, ma adesso era più alta e continuava ad alzarsi… Dirk sorrise soltanto. Salì anche lui per mantenere la bestia al di sotto e fece una lenta curva per cercare di vederla. Ma era ancora lontana ed era nera come il suo abito camaleontino e riuscì solo a distinguere un vago ondeggiare sullo sfondo della foresta. Forse non erano altro che rami che si muovevano nel vento.

Sempre stando in alto, consultò la bussola ancora una volta e volò in cerchio per riprendere il volo alla volta di Kryne Lamiya. Per altre due volte, quella notte, gli parve di sentire piangere la banscea, lontano da lui, ma il suono era troppo distante e debole e non poteva esserne sicuro.

Il cielo orientale aveva appena cominciato ad illuminarsi, quando sentì per la prima volta la musica, sparsi brandelli di disperazione, troppo noti per potergli piacere. La città di Cupalba era ormai vicina.

Rallentò e si librò, stringendo gli occhi. Aveva percorso la strada che secondo lui doveva aver fatto anche Jaan Vikary; ma non aveva visto niente. Poteva darsi che avesse sbagliato tutte le supposizioni. Forse Vikary aveva condotto i suoi inseguitori in tutt’altra direzione. Ma Dirk pensava di no. Era più probabile che lui ci fosse passato sopra, senza vederli e senza essere visto, nella notte buia.

Cominciò a ritornare indietro, ma adesso volava contro vento e sentiva le fredde dita spettrali di Lamiya-Bailis sulle guance. Con la luce il suo compito sarebbe staio più semplice, o almeno lo sperava.

Si sollevò Occhiodaverno ed uno dopo l’altro, i Soli Troiani. Riccioli di nuvole bianche e grige si muovevano in un cielo misero, mentre le nebbie del mattino strisciavano sul terreno della foresta. ì boschi sotto di lui divennero giallo-bruni e non erano più neri; dappertutto c’erano soffocatori, abbracciati come amanti scomposti e la luce rossa scintillava brevemente tra i loro rami pallidi. Dirk si alzò ancora ed il suo orizzonte si allargò. Vide i fiumi, il lampo del sole sull’acqua. E laghi troppo vasti, senza nessuna luminosità, scuri, coperti da uno strato galleggiante verdastro. Un prato ammantato di neve, o almeno così gli pareva, finché non si trovò sul posto e non vide che si trattava di una distesa coperta da funghi sporchi che imbiancavano la foresta.

Vide una linea di rottura, un taglio roccioso che attraversava i boschi da nord a sud, una linea diritta, come se fosse stata tracciata con una riga. E pianure di fango, bianche e marroni e puzzolenti, che si stendevano su entrambi i lati di un lento ed ampio corso d’acqua. E un dirupo fatto di pietra grigia, battuta dagli elementi, che sorgeva inatteso in mezzo alla foresta. I soffocatori si erano aggrappati sui suoi fianchi fino alla cima e spuntavano dalla cima inclinati secondo angoli pazzeschi, ma non ce n’era uno sulle pareti verticali, dove prosperavano solo licheni bianchi e la carcassa di una specie di uccello gigantesco, morto nel suo nido.

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