Incredibilmente, Jaan Vikary la lasciò tra le braccia di Dirk e si alzò in piedi. Fece un cenno a Lorimaar e Bretan, che tenevano imprigionato Myrik. «Lasciatelo».
«Lasciatelo…?». Janacek lanciò uno sguardo perplesso a Vikary.
«Jaan», disse Dirk, «non preoccuparti di lui. Gwen…».
«Portala dentro la macchina», disse Vikary.
«Penso che non dovremmo spostarla…».
«Qui non è al sicuro, t’Larien. Portala dentro la macchina».
Janacek corrugò la fronte. «Mio caro teyn?».
Vikary si mise di nuovo di fronte ai Braith. «Vi ho detto di lasciare quest’uomo». Fece una pausa. «Questo falsuomo, come direste voi. Si è ben meritato questo nome».
«Che cosa vuoi dire, alto-Ferrogiada?», disse severamente Lorimaar.
Dirk sollevò Gwen e la posò piano sui sedili posteriori dell’aerauto più vicina. Era inerte, ma respirava ancora regolarmente. Poi scivolò al sedile di guida ed attese, massaggiandosi i polsi per ristabilire la circolazione.
Pareva che tutti lo avessero dimenticato. Lorimaar alto-Braith parlava ancora. «E conosciamo il tuo diritto di affrontare Myrik, ma deve essere un duello singolo, poiché Teraan Braith Nalarys giace ucciso. Dato che il tuo teyn è stato il primo a sfidarlo…».
Jaan Vikary aveva la pistola laser in mano. «Lasciatelo e mettetevi da parte».
Lorimaar sobbalzò, lasciò andare il braccio di Myrik e si fece rapidamente da parte. Bretan esitò. «Alto-Ferrogiada», gracchiò, «per il tuo onore e per il suo, per la tua granlega e per il tuo teyn, metti via la pistola».
Vikary mirò verso il giovane con mezza faccia. Bretan ebbe un tic, poi lasciò andare Myrik e si gettò all’indietro incassando grottescamente la testa tra le spalle.
«Che cosa succede?», stava domandando il vecchio con una mano sola, con voce tremolante. «Che cosa fa?», tutti lo ignorarono.
«Jaan», disse Garse Janacek con orrore. «Questo fatto ti ha messo fuori posto il cervello. Abbassa la pistola, mio teyn. L’ho sfidato io. Lo ucciderò per te». Posò la mano sul braccio di Jaan.
E Jaan Vikary diede uno strattone per liberarsi e puntò l’arma su Garse. «No. Stai indietro. Non devi intrometterti, non adesso. Questo è per lei».
Il viso di Janacek si incupì; adesso non rideva, non aveva nessuna battuta da dire. La mano destra gli si trasformò in un pugno che sollevò di fronte alla faccia. Ferro-e-pietraluce scintillava a mezz’aria tra i due Ferrogiada. «Il nostro vincolo», disse Janacek. «Pensaci, mio teyn. Il mio onore e i tuoi onori e quelli della nostra granlega». La sua voce era solenne.
«E che mi dici del suo onore?», disse Vikary. Agitando con impazienza il laser, fece allontanare Janacek da sé e si voltò di nuovo verso Myrik.
Solo e confuso, Myrik pareva non sapere che cosa ci si aspettasse da lui. La rabbia lo aveva abbandonato, anche se continuava a respirare affannosamente. Un po’ di bava, tinta di rosa dal sangue, gli scendeva da un angolo della bocca. Si pulì con il dorso della mano e fissò incerto Garse Janacek. «La prima delle quattro scelte», cominciò con voce vacillante. «Faccio la scelta del modo».
«No», disse Vikary. «Tu non hai nessuna scelta. «Guardami in faccia, falsuomo».
Myrik spostò lo sguardo da Vikary a Janacek e poi di nuovo a Vikary. «La scelta del modo»; ripeté supinamente.
«No», disse di nuovo Vikary. «Tu non hai dato nessuna scelta a Gwen Delvano, a lei che ti aveva affrontato secondo le regole in duello».
La faccia di Myrik si contorse esprimendo autentico terrore. «Lei? In duello? Io… ma era una donna, un falsuomo». Fece un cenno col capo, come a dire che era tutto sistemato. «Ma era una donna, Ferrogiada. Sei diventato matto? Mi prendeva in giro. Una donna non fa duelli».
«E tu non puoi duellare, Myrik. Mi capisci? Davvero? Tu»… sparò ed un impulso da mezzo secondo, luminoso colpì Myrik in basso, tra le gambe, in modo da farlo urlare…
«non»… e sparò di nuovo e bruciò Myrik al collo, proprio sotto il mento e poi aspettò che l’uomo cadesse per terra ed il laser si ricaricasse…
«puoi»…, continuò, quindici secondi dopo e con la parola arrivò un raggio di luce che bruciò la figura accartocciata in mezzo al petto e già Vikary stava camminando all’indietro, verso l’aerauto…
«duellare!», finì, mezzo fuori e mezzo dentro la macchina e con la parola ci fu un movimento del polso ed un quarto di raggio di luce e Lorimaar alto-Braith Arkellor cadde, con la pistola già mezzo estratta.
Poi la porta venne sbattuta e Dirk trasse la griglia gravitazionale e scattarono verso l’alto e in avanti, verso l’esterno. Erano quasi arrivati all’arco di uscita quando i laser cominciarono a sibilare e a colpire l’armatura.
10
Era piena notte sul Comune. L’aria era di nero cristallo, chiara e gelida. I venti erano cattivi. Dirk si rallegrò di essere in una macchina dall’armatura pesante, come era quella dei Braith, con una cabina riscaldata, completamente chiusa.
Mantenne l’apparecchio ad un centinaio di metri dalle pianure e dalle basse colline e spinse la macchina alla maggior velocità che riusciva a mantenere. Una volta, dopo che Sfida era ormai lontana all’orizzonte, Dirk si voltò indietro per vedere se c’era qualcuno che li inseguiva. Non vide nessuno, ma la città Emereli si vedeva ancora e lui la fissò affascinato. Era diventata una lancia lunga e nera, che dopo un attimo non fu più visibile nel cielo ancor più nero. Gli ricordava un po’ un grande albero carbonizzato dall’incendio della foresta, senza più rami né foglie, un semplice bastone bruciato color fuliggine, semplice eco della gloria precedente. Si ricordò di Sfida, così come gliel’aveva mostrata Gwen la prima volta, quando lui gli aveva chiesto di poter vedere una città viva: scintillava contro il cielo serale, impossibilmente alta e d’argento scintillante, incoronata da ondate di luce che salivano verso l’alto. Adesso era un involucro morto e morti pure i sogni dei suoi costruttori. I cacciatori di Braith uccidevano ben più che uomini e animali.
«Ci saranno dietro abbastanza presto, t’Larien», disse Jaan Vikary. «Puoi anche fare a meno di cercarli».
Dirk riportò la sua attenzione agli strumenti. «Dove andiamo? Non possiamo volare alla cieca sul Comune per tutta la notte, senza andare in nessun posto particolare, Larteyn?».
Non possiamo rischiare di ritornare a Larteyn adesso», rispose Vikary. Aveva rinfoderato il laser, ma aveva la faccia feroce come quando aveva arrostito Myrik a Sfida. «Sei così stupido da non capire ciò che ho fatto? Ho infranto il codice, t’Larien. Ormai sono un fuorilegge, un criminale, un infrangi-duello. Ora mi inseguiranno e mi uccideranno come un qualsiasi falsuomo». Si mise le mani annodate sotto il mento, pensando. «La cosa migliore… non lo so. Forse non abbiamo speranze di nessun genere».
«Parla per te. Io ho un bel po’ di speranze in più di quante ne avevo un minuto fa, laggiù!».
Vikary lo guardò e sorrise malgrado tutto. «Vero. Anche se questo è un punto di vista piuttosto egoistico. Non è stato per te che ho fatto ciò che ho fatto».
«Per Gwen?».
Vikary annui. «Lui… lui non le ha concesso nemmeno l’onore di rifiutare. Come se si trattasse di un animale. Eppure… eppure per il codice aveva ragione lui. Il codice per cui ho vissuto. Per difendere il codice lo avrei anche ucciso. Intendo Garse come forse avevi capito. Lui era arrabbiato perché Myrik aveva… aveva danneggiato la sua proprietà, aveva oscurato il suo onore. Lui avrebbe vendicato l’offesa, se glielo avessi lasciato fare». Sospirò. «Ma hai capito perché non ho potuto t’Larien? Davvero? Io avevo vissuto su Avalon ed avevo amato Gwen Delvano. E lei era là, viva solo per un caso fortuito. A Myrik Braith non sarebbe importato un accidenti se lei viveva o moriva e lo stesso valeva per gli altri. Eppure Garse aveva promesso a quell’uomo che per questa cosa lui si era meritata una morte soddisfacente e gli avrebbe dato il bacio dell’onore condiviso prima di prendersi la sua misera vita… Io… io voglio bene a Garse. Ma non lo potevo proprio lasciar fare. t’Larien, non con Gwen in quelle condizioni, così… così immobile ed ignorata. Non era cosa che potevo lasciar passare».