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— Niente affatto. — Intanto eravamo quasi giunti al cancello e io stavo per oltrepassarlo. L’ufficiale doganale mi toccò il braccio e mi chiese rispettosamente: — Ehm… Il suo passaporto, onorevole Bonforte.

Spero di essere riuscito a non mutare espressione. — I passaporti, Penny — mi limitai a dire.

Lei rivolse all’ufficiale un’occhiata raggelante. — Il capitano Broadbent ha provveduto a ottenere tutti i permessi necessari. S’informi.

L’ufficiale mi lanciò una rapida occhiata, poi abbassò lo sguardo. — Sì, credo sia tutto a posto. Ma dovrei controllare i passaporti e segnare il loro numero.

— Sì, certo. Allora penso che dovrò chiedere al capitano Broadbent di fare una corsa fino al campo. Al mio traghetto è già stato assegnato l’orario di partenza? Se sì, sarà meglio avvisare la torre di controllo perché lo rinvii.

Ma Penny ci interruppe; nervosa come una gatta arrabbiata. — Onorevole Bonforte! — strillò. — È semplicemente ridicolo! Non abbiamo mai incontrato tante formalità burocratiche prima d’ora, specialmente su Marte.

Il guardiano azzardò timidamente: — Ma sì che va tutto bene, Hans. In fin dei conti si tratta dell’onorevole Bonforte.

— Certo, ma…

Li interruppi con un sorriso gioviale. — C’è un mezzo più semplice per risolvere la questione. Come si chiama lei, tenente?

— Haslwanter. Hans Haslwanter — rispose quello, con riluttanza.

— Senta, allora, tenente Haslwanter, se lei mi chiama il signor Commissario Boothroyd, gli parlerò direttamente: potremo in tal modo risparmiare al mio pilota un viaggio fino al campo… e a me un’ora e più di tempo.

— Oh, onorevole, non vorrei disturbare il Commissario. Potrei telefonare invece al comandante dello spazioporto… — propose l’ufficiale, speranzoso.

— No. Mi dia il numero del Commissario Boothroyd, per favore. Gli parlerò io. — Stavolta avevo messo nel tono di voce quel tanto di freddo, quel tanto di seccato dell’uomo indaffarato e importante che vuol essere democratico, sì, ma che ormai s’è scocciato di trovarsi tra i piedi quegli zelantoni che mettono sempre i bastoni tra le ruote.

Il trucco riuscì. — Non occorre, onorevole Bonforte — si affrettò infatti a dire il tenente. — Ma sa com’è… i regolamenti…

— Certo, certo, lo so. Grazie — e mi mossi.

— Un momento, onorevole! Guardi da questa parte!

Mi voltai. Quell’ufficiale, con la sua mania di mettere i puntini sulle "i" e i trattini sulle "t", era riuscito a trattenerci quel tanto che bastava per permettere alla stampa di raggiungerci. Un uomo aveva poggiato un ginocchio a terra e puntava verso di me l’obiettivo di una stereocamera; alzò gli occhi e disse: — Metta in mostra la verga marziana, in modo che possa riprenderla. Ecco… così. — Oltre a lui ce n’erano vari altri, con diversi tipi di macchine; uno s’era perfino arrampicato sul tetto della Rolls. Un altro aveva sfoderato un registratore, e un altro ancora puntava verso di me un microfono direzionale come se fosse stato una pistola.

Mi sentivo inviperito come una primadonna che vede il suo nome scritto troppo in piccolo sui manifesti, ma mi ricordai in tempo chi dovevo essere. Sorrisi, e avanzai lentamente verso di loro; Bonforte era perfettamente al corrente che in registrazione i movimenti appaiono sempre più veloci e affrettati, perciò mi presi il lusso di muovermi con tutta la lentezza necessaria.

— Onorevole Bonforte, perché ha rimandato la conferenza stampa?

— Onorevole Bonforte, si dice che lei intenda chiedere alla Grande Assemblea di concedere ai marziani la piena cittadinanza dell’Impero. È vera la notizia?

— Onorevole Bonforte, quando ha intenzione di costringere l’attuale governo a chiedere il voto di fiducia?

Alzai il braccio, brandendo la verga marziana, con la bocca atteggiata a un sorriso. — Uno alla volta, per carità! Avanti, qual è la prima domanda?

Risposero tutti quanti in una volta, come m’ero aspettato. Ora che si furono messi d’accordo su chi doveva farmi per primo la domanda, erano già passati parecchi secondi senza che io avessi bisogno d’aprir bocca. In quella arrivò alla riscossa Bill Corpsman. — Abbiate un po’ di cuore, ragazzi. Il Capo ha avuto una giornata campale. Vi darò io tutte le notizie che vi servono.

Alzai una mano verso di lui. — No, no, Bill — gli dissi. — Posso benissimo dedicare un paio di minuti a questi giovanotti. Sto per salpare, signori, ma cercherò di rispondere in breve, con qualche dato essenziale, alle domande che m’avete posto. Per quanto ne posso sapere io, l’attuale governo non ha alcuna intenzione di riesaminare la presente relazione tra Marte e l’Impero. Poiché io non faccio parte di tale governo, le mie opinioni non sono rilevanti in merito. Vi consiglio quindi di rivolgervi al Primo Ministro, signor Quiroga. Quanto al fatto del se e del quando l’opposizione chiederà al governo il voto di fiducia, ebbene, tutto quel che so dirvi è che non lo faremo finché non saremo sicuri di aver partita vinta. E su questo, ora come ora, ne so quanto voi.

Qualcuno disse: — Non è che ci dica molto, non le pare?

— E infatti non intendevo dirvi molto — ribattei, addolcendo la frase con un affabile sorriso. — Ma vedete, signori, la colpa non è mia. Ponetemi delle domande legittime, e io vi risponderò in modo legittimo. Ma finché le vostre domande saranno scottanti come quelle che mi avete fatto or ora, e cercheranno di mettermi con le spalle al muro, proprio come se mi chiedeste se intendo piantare mia moglie, allora io sarò costretto a darvi le risposte che vi meritate. — A questo punto esitai, ricordando che Bonforte aveva fama di essere sempre schietto e onesto, specialmente con la stampa; perciò aggiunsi: — Non voglio prendervi in giro, credetemi… Tutti voi sapete perché sono venuto qui, oggi. Permettetemi di parlarvi di questo… e se lo desiderate, potete pubblicarlo. — Mi frugai nella mente e ne cavai un brano adatto alla presente situazione, traendolo da uno dei discorsi di Bonforte che avevo studiato. — Il vero significato di ciò che è avvenuto oggi non si limita a una singola onorificenza conferita a un singolo uomo. Questa — e agitai la verga marziana — costituisce la prova migliore che due grandi razze possono superare l’abisso della diversità, grazie alla comprensione. La nostra razza si sta espandendo verso le stelle. Troveremo, come del resto abbiamo già trovato, che ci sono altre razze, molto più numerose di noi. Se vogliamo che la nostra espansione verso le stelle abbia un esito felice, dobbiamo comportarci onestamente, umilmente, a cuore aperto. Qualcuno ha suggerito che, se ne avessero l’occasione, i nostri vicini marziani s’impadronirebbero della Terra. Questa, signori, è una sciocchezza madornale. La Terra non è adatta per i marziani. Proteggiamo pure ciò che è nostro, sì, ma non lasciamoci indurre a compiere azioni folli sotto la seduzione della paura e dell’odio! Le menti grette e meschine non potranno mai raggiungere le stelle; dobbiamo essere grandi, com’è grande lo spazio!

Uno dei reporter mi strizzò l’occhio e disse: — Onorevole Bonforte, mi pare di averla già sentita dire le stesse cose, lo scorso febbraio…

— E le risentirà anche il febbraio prossimo. E in gennaio, in marzo, in tutti i mesi. Non si ripeterà mai abbastanza la verità… — Mi voltai a dare un’occhiata all’ufficiale doganale e aggiunsi: — Mi dispiace, ma ora debbo proprio andarmene, altrimenti rischierò di perdere la coincidenza. — Mi volsi e presi ad arrancare zoppicando, seguito da Penny.

Salimmo sulla piccola vettura da campo, la cui portiera si chiuse con un sibilo. Si trattava d’un veicolo corazzato da piastre di piombo per proteggere gli occupanti dalle radiazioni, e funzionava automaticamente, così non ci fu bisogno di continuare a recitare a uso e consumo di un singolo conducente. Mi lasciai cadere sul sedile, rilassandomi. — Uff!

— Si è comportato in modo magnifico — disse Penny, con tutta serietà.

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