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Lo sparo echeggiò fra i massi e scaraventò Will all'indietro facendolo rotolare lungo il pendio roccioso. Un individuo coi capelli biondi uscì di corsa dalla caverna dirigendosi verso destra. Alec aveva posato il fucile sulle ginocchia, ma ora, senza pensarci, lo sollevò all'altezza della spalla e sparò. Una scheggia di roccia si staccò davanti al fuggitivo, che scivolò fino a fermarsi portandosi le mani alla faccia. Alec tornò a sparare mandandolo a schiacciarsi contro un masso. Il fuggitivo ebbe un violento sussulto, e infine si afflosciò a terra.

Alec puntò il fucile verso l'imbocco della caverna. Dall'interno esplose uno sparo e la neve si sollevò a pochi centimetri dalla faccia di Will. Alec continuò a sparare finché non ebbe vuotato il caricatore. Poi strisciò fino a raggiungere Will. C'era una macchia di sangue sul suo giubbotto. Aveva gli occhi aperti ma annebbiati.

— Non… non… — mormorò Will. Alec sentì ancora degli spari alle sue spalle. Era il vecchio che mirava all'imbocco della caverna.

— No… dagli una possibiltà… sono spaventati — disse Will con un filo di voce.

— Gliel'ho data, la possibilità — rispose Alec, sfilando le bombe a mano dalle tasche di Will. Una era viscida di sangue. Infilò il dito nell'anello della linguetta, prese il fucile di Will con la mano libera e si avviò, tenendosi chino, verso la caverna.

La sparatoria era cessata. Appiattendosi contro il macigno di fianco all'ingresso, Alec gridò: — Vi do cinque secondi. Uscite con le mani alzate o vi faccio saltare in aria.

La stessa voce di prima, stridula e incrinata, urlò: — No, aspetta… Lui sta male… devo trascinarlo.

Ma Alec contava, non ascoltava. Arrivato a cinque guardò Will steso sulla neve, poi strappò la linguetta della bomba e la lanciò nella caverna.

— Ehi… no… aspetta!

L'esplosione suonò stranamente attutita. Dalla caverna uscì uno sbuffo di fumo e Alec sentì un grido acuto, lungo. Alec lanciò anche la seconda bomba e l'esplosione offuscò tutti gli altri rumori. Quando il fumo si fu dissipato nell'interno della caverna regnava il silenzio.

Alec si accostò cautamente all'ingresso col fucile puntato. Gli ci volle qualche secondo per adattare gli occhi alla penombra. Quello che restava dei due corpi era appena sufficiente per capire che si trattava dei resti di due uomini.

Alec si avvicinò al biondo a cui aveva sparato. Non dimostrava più di quattordici anni. Era disarmato.

Alec si voltò e vide che il vecchio si era avvicinato a Will.

— È un brutto affare — disse l'esploratore mentre Alec lo raggiungeva. — La pallottola l'ha centrato in una costola. Speriamo che non gli abbia perforato un polmone.

— Possiamo muoverlo?

— Per forza. Vuoi che lo piantiamo qui?

Con la camicia che Alec si era tolto e aveva strappato a strisce, fasciarono il torace di Will senza stringere troppo. Poi Alec mandò il vecchio a chiedere soccorsi, e infilando la spalla sotto l'ascella di Will, dalla parte sana, lo aiutò ad alzarsi.

— Cosa… — balbettò il ferito — cosa ne è di quei ragazzi?

— Non preoccuparti per loro.

Fu meno brutta di quanto Alec avesse temuto.

Poco prima che calasse la sera incontrarono tre esploratori mandati dal vecchio. Avevano portato una barella su cui caricarono il ferito, e reggendola tutt'e quattro trasportarono Will al campo che il vecchio aveva improvvisato per la notte in un posto riparato dal vento. Dormirono accanto al fuoco che alimentarono a turno per tutta la notte.

La mattina dopo arrivò un carro che riportò Alec e Will alla base. Douglas, Angela e molti altri li aspettavano all'ingresso principale.

Due sere dopo Douglas entrò d'improvviso in casa di Angela. Lei e Alec avevano cenato alla mensa e adesso stavano scaldandosi davanti al camino quando Douglas entrò senza preavviso. La sua mole rese più piccola e stretta la stanza.

— Be', almeno siete vestiti — disse, senza preamboli.

I due giovani scattarono in piedi.

— Certo che siamo vestiti — ribatté freddamente Angela. — E adesso chiudi la porta altrimenti ci congeliamo.

Douglas chiuse la porta con una gomitata. — Siete desiderati a casa di Will. Subito.

— Cos'è successo? — chiese Alec.

— Non c'è tempo per spiegare. Venite subito.

Alec prese Angela per mano e tutti e tre si avviarono di buon passo nella notte gelida. In breve, raggiunsero l'abitazione di Will, tre case dopo quella di Angela. Alec aveva il cervello in tumulto. Un'infezione, pensò. È successo qualcosa a Will. Forse la ferita è più grave di quanto avessi creduto.

Entrarono, ed ecco là quel grosso cucciolo seduto sul divano del soggiorno, circondato da una mezza dozzina di uomini e donne mezzi sbronzi, seduti sul pavimento. Un bel fuoco scoppiettava nel camino, e tutti ridevano e sollevavano i bicchieri.

— Oh! — esclamò Will quando entrarono. — Eccolo qua! Dategli un bicchiere e brindiamo tutti al mio compagno d'armi e salvatore!

Qualcuno mise un bicchiere in mano ad Alec. Qualcun altro lo riempì di whisky. Tutti, fatta eccezione per Will, si alzarono in piedi e si voltarono verso Alec, mentre il gigante dai capelli rossi declamava con gran serietà: — Ad Alec, che mi ha salvato la vita!

— Ad Alec! — risposero gli altri in coro.

Il whisky andava giù liscio e scaldava più del sole. Ma dopo avere bevuto, Alec chiese: — Perché questa riunione? — Anche Angela era un po' perplessa… e felice.

Will sorrideva beato. Era vestito, ma sotto la camicia si notava il rigonfio delle bende.

— I miei colleghi medici — spiegò — hanno finalmente ammesso che sono fuori pericolo e che posso alzarmi…

— Fra pochi giorni, Will — lo interruppe un uomo anziano sforzandosi di essere severo. — Fra pochi giorni.

— E va bene. Fra pochi giorni — acconsentì Will. — Così ho pensato: se fra qualche giorno posso alzarmi, vuol dire che posso tornare a Utica per cercare dell'altro whisky. E allora perché non festeggiare la mia miracolosa guarigione con la bottiglia che ho già?

— Logica perfetta! — disse Douglas ridendo.

La festa durò tutta la notte. Verso l'alba qualche donna se la svignò dicendo che andava a preparare il caffè e la colazione. Douglas era stravaccato sul sofà vicino a Will. Gli altri, divisi in gruppetti, stavano parlando fra loro. Douglas indicò il tratto di sofà ancora libero, e disse ad Alec: — Vieni, siediti. — Era un ordine, non un invito.

Con un sorriso incerto come il suo passo, Alec girò intorno a un gruppetto di uomini seduti davanti al fuoco morente, e si lasciò cadere di peso sul divano.

— Bene — disse Douglas con fare tranquillo e cordiale — ormai sei qui già da tre mesi. Pensi ancora che io sia un orco?

Alec si accorse che Will lo guardava, seminascosto dalla mole imponente di suo padre. Rideva come se avesse predisposto lui quel colloquio per riconciliarli.

— No — ammise Alec. — Non ti giudico un mostro. Però non sono ancora d'accordo con te anche se apprezzo quello che sei riuscito a fare qui.

— Bene! — Douglas alzò le mani come un gladiatore vittorioso. Con una reggeva un bicchiere vuoto, invece della spada.

— E adesso — continuò poi, — dobbiamo sistemare alcune cose. Primo, sono del parere che tu debba sposare la ragazza. Per me è come una figlia e…

— Un momento — lo interruppe Alec. — Sposare Angela?

— Naturalmente.

— Questo riguarda solo lei e me. Tu non c'entri.

— Col cavolo che non c'entro! — esplose Douglas. — È praticamente mia figlia. E tu, mio figlio lo sei davvero. Se credi di potere fare il tuo comodo e poi piantarla dopo averla messa incinta, ti assicuro che faresti meglio a pensarci su due volte.

— No, aspetta…

— No, aspetta tu — insisté Douglas. — La sposerai, e poi ti metterai a capo di una delegazione che andrà a parlare con Kobol. Ci sono alcune cose che voglio tu metta bene in chiaro con lui.

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