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— Volevo assicurarmi che Douglas stesse bene — spiegò la mattina dopo. — Quando se n'è andato aveva un aspetto che non mi piaceva.

Con la testa che gli martellava per il dopo sbornia Alec bofonchiò: — Così gli fai anche da infermiera, a quanto vedo.

— E io vedo che ti sei divertito — ribatté lei sorridendo. Non voglio che tu stia con lui. Ti voglio tutta per me, disse fra sé Alec, e improvvisamente capì che l'amava.

Qualche sera dopo, stavano andando sottobraccio dalla mensa alla casa di lei, avvolti in pesanti giacconi, con guanti e berretti di lana. L'acqua del lago vicino era coperta da un sottile strato di ghiaccio, e gli unici uccelli rimasti erano i passeri che gonfiavano le piume e saltellavano fra l'erba secca alla ricerca di semi e briciole. Per la prima volta dopo parecchie settimane, Alec scorse la Luna. Era solo una falce sottile che navigava nel cielo fra le nuvole.

— Chissà cosa staranno facendo i miei? — disse.

— Hai chiesto…

— Ho cercato di mettermi in contatto con loro, ma Will ha detto che è meglio non farlo. Mi ha assicurato che stanno bene, però è meglio non chieda altro di loro.

— Will è sincero.

Guardando la falce sottile, Alec disse: — Credi che Kobol sia ancora in Florida? O sarà tornato sulla Luna? Quali sono le sue intenzioni? A che gioco sta giocando?

Angela tacque.

— Tornerà in primavera — continuò Alec. — Scommetto che la primavera prossima verrà da queste parti.

— E allora ci saranno degli scontri.

— Fin che si vuole.

Stavano arrivando alla casa di Angela. — E quando si combatterà, tu da che parte starai, Alec?

Lui ci pensò sopra. — Non lo so — rispose sinceramente. — Proprio non lo so.

La prima nevicata fu precoce e colse tutti di sorpresa; Alec più di ogni altro.

Uscì nel vento che ululava, girandosi e rigirandosi per guardare quegli strani fiocchi bianchi che seppellivano il mondo sotto il loro freddo candore. Gli si scioglievano sulla faccia e sulle mani, e mulinavano agli angoli delle case. Alec arrivò non senza fatica fino da Angela e la costrinse a uscire. Lei gli insegnò a fare una palla di neve, e poi giocarono finché non furono fradici ed esausti. Infine trascorsero il resto della giornata davanti al camino, a casa di lei, senza pensare ad altro che a se stessi e al loro amore.

Qualche tempo dopo Will Russo persuase Alec ad allontanarsi con lui dalla base per qualche giorno.

Dopo più di una settimana di accenni e allusioni, Will si decise finalmente a chiedere ad Alec se voleva andare con lui a caccia nei boschi. Qualcosa, nel modo con cui espresse la domanda, sottintendeva che aveva in mente qualcosa di più che una semplice partita di caccia. Comunque Alec accettò.

Una mattina, quando il sole cominciava appena a sbiancare il cielo a oriente, si avviarono sullo spesso strato di ghiaccio che copriva il lago. Alec era un po' nervoso: non si sentiva sicuro sul ghiaccio, anche se lo strato di neve che lo copriva facilitava la marcia. Per tutto il tempo non fece che pensare all'acqua che c'era sotto. Will invece chiacchierava allegramente, ogni tanto fischiettava fra sé, dimostrando di sentirsi completamente a suo agio. Così Alec si assestò meglio lo zaino in spalla e cercò di non pensare a cosa sarebbe successo se il ghiaccio avesse ceduto.

Procedettero per tutto il giorno sulle colline, seguendo una direzione dettata forse dall'istinto di Will o da uno scopo noto a lui solo. La neve era meno alta sotto gli abeti, appena un sottile strato di polvere bianca che copriva il terreno.

— Will — chiese Alec, — di cosa stiamo andando a caccia?

— Di tre uomini — rispose l'altro fingendosi serio ma senza troppo successo.

— Cosa? Uomini? Con questi? — Alec indicò il fucile a canna lunga, che sparava un solo colpo alla volta, che lo stesso Will gli aveva dato.

— Be', forse non ci sarà bisogno di sparare. Può darsi che si arrendano con le buone.

— Pensavo che andassimo a caccia di selvaggina. Per procurarci roba da mangiare.

— No, i cacciatori ne prendono più che a sufficienza con le trappole. Sì, potremmo anche trovare un bel cervo, o qualcos'altro, al ritorno. Ma solo dopo avere sistemato i ladri.

— Ladri?

Will allungò il passo costringendo Alec a trottare per stargli alla pari. — Quei tre — spiegò, — si unirono a una squadra di nostri esploratori sul finire dell'estate. Io credevo che cercassero solo un posto caldo e sicuro dove passare l'inverno. Invece un paio di settimane fa se la sono svignata con un carro carico di viveri, armi e munizioni.

— Un paio di settimane fa? A quest'ora potrebbero già essere in Asia.

— No. Per uscire dalla base hanno sparato contro le nostre guardie e ne hanno uccise due, ma uno di loro è rimasto ferito. Le altre guardie li hanno seguiti per un tratto, e siamo stati informati che qualche esploratore li ha visti, da lontano. Non vogliamo fare del male a nessuno, se non ne siamo proprio costretti.

— Allora pensi di catturarli e riportarli indietro?

— Sì. Si sono rintanati in una caverna e sono a corto di cibo. Credo che il ferito sia in cattive condizioni, e forse gli altri saranno ragionevoli.

— E in caso contrario?

— È proprio per questo che abbiamo portato i fucili.

Passarono la notte nei boschi, mangiando il cibo che si erano portati appresso, accanto a un piccolo fuoco. Dormirono nel sacco a pelo, e quando si svegliò, Alec era intirizzito dal freddo.

Nella tarda mattinata si trovavano a metà del pendio di un colle privo di vegetazione. Sotto lo strato di neve, dove il vento aveva lasciato qualche chiazza sgombra, il terreno era nero, riarso. Qua e là s'intravvedevano i resti di cespugli sparuti che sporgevano dalla neve scuri e contorti.

— Ecco la caverna — disse Will puntando il fucile verso la sommità della collina, dove si scorgeva una fessura fra due grossi macigni.

Un rotolio di sassi fece girare di scatto Alec, col fucile puntato. Vide un occhio, contorto e nodoso come i cespugli, con una rada barbetta bianca, il viso ossuto, la bocca sdentata e un berretto di pelliccia calcato sugli occhi.

— Sono ancora là dentro — disse avvicinandosi cautamente. — Sono tre giorni che non si vede né fumo né fuoco.

— Non c'è molta legna qua intorno — disse Will.

— Già — confermò il vecchio esploratore.

— Va bene. Bravo. — Will sfilò lo zaino, vi frugò dentro e ne estrasse due oggetti di metallo. Erano bombe a mano. Dopo essersele infilate nelle tasche del giaccone, disse: — Voi due restate qui per coprirmi. Vado a vedere se sono disposti a ragionare. — Prese il fucile e si avviò verso la caverna.

Alec si inginocchiò nella neve e puntò il suo fucile in quella direzione.

— Sono dei tipacci — mormorò il vecchio. — La settimana scorsa hanno preso Johnny Fuller, gli hanno sparato nelle ginocchia, e poi l'hanno lasciato a dissanguarsi nella neve. Per fortuna l'ho trovato io prima dei lupi.

Will intanto si era avvicinato al grosso macigno sulla sinistra della caverna.

— Ehi, voi, lì dentro!

Silenzio.

— Sappiamo che siete lì. Sappiamo che avete fame e freddo, e che il vostro amico ha bisogno di un dottore. Uscite e vi riporteremo alla base. Sono medico e posso aiutare il ferito.

— Per poi impiccarci! — gli gridò di rimando una voce, che ad Alec sembrò giovane e tremula.

— Questo spetta alla giuria. Avrete un regolare processo.

— Ci rifiutiamo di uscire! — Era decisamente una voce giovane, incrinata dalla paura.

Will parlò con loro per una buona mezz'ora, pazientemente, con gentilezza. Cercò di fargli capire quanto fosse disperata la loro situazione, e li incitò a uscire dalla caverna senza opporre resistenza.

Finalmente la voce disse: — Va bene… va bene… hai vinto.

Will si voltò per sorridere ad Alec, poi si alzò, e disse verso la caverna: — Bene, sapevo…

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