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Scossi la testa. E riportai sulla superficie del viso un sorriso codardo.

— Andiamo. Non sono ancora un veterano benemerito delle guerre magiche. Andiamo, Sveta.

Semën era già avanti, ma chissà perché capii che aveva strizzato l'occhio. Con approvazione.

La notte non portò refrigerio, ma ci liberò dalla calura. Già verso le sei o le sette la compagnia si era frazionata in piccoli gruppi. Al lago rimasero l'instancabile Ignat, Lena e, per quanto fosse strano. Ol'ga. Tigrotto e Julja andarono a fare un giro nel bosco. Gli altri si disposero in ordine sparso per la casa o lì intorno.

lo e Semën occupammo un'ampia loggia al primo piano. Ci si stava comodi, il venticello vi circolava meglio e c'erano mobili in vimini: inestimabili, con quel caldo.

— Numero uno — disse Semën, estraendo una bottiglia di vodka da un sacchetto di plastica con stampigliata la pubblicità di una marca di yogurt. — Smirnovka.

— La consigli? — chiesi in tono dubbioso. Non mi ritenevo uno specialista di vodka.

— È il secondo secolo che la bevo. Un tempo era molto peggiore, credimi.

Subito dopo la bottiglia comparvero due bicchieri sfaccettati, un vaso di cetriolini, una grossa confezione di cavolo salato.

— E da berci sopra? — domandai.

— Sulla vodka non si beve sopra niente, ragazzo. — Semën scosse la testa.

— Fino alla bara sempre s'impara…

— Imparerai prima. Quanto alla vodka, non dubitare, la cittadina di Cernogolovka è territorio sotto il mio controllo. Nello stabilimento ci lavora uno stregone, un tipo insignificante, non particolarmente schifoso. Mi fornisce il prodotto giusto.

— Sprechi le tue energie in sciocchezze — mi arrischiai a fargli notare.

— Non spreco niente. Lo pago. Non c'è niente di disonesto, sono i nostri rapporti personali, non sono affari della Guardia.

Con mossa agile, Semën strappò la capsula alla bottiglia e riempì i bicchieri a metà. La borsa era rimasta tutto il giorno sulla veranda, ma la vodka era ancora ghiacciata.

— Alla salute? — proposi.

— È presto. A noi.

Nel pomeriggio mi aveva fatto passare la sbornia, e in modo davvero eccellente: non aveva rimosso solo l'alcol dal sangue, ma anche tutti i prodotti del metabolismo. Bevvi il mio mezzo bicchiere senza tremare, scoprendo con grande meraviglia che la vodka poteva essere piacevole non soltanto in inverno, con il gelo, ma anche in estate dopo la canicola.

— Ecco qua. — Semën grugnì di soddisfazione e si stravaccò più comodamente. — Bisogna dire a Tigrotto che qui sarebbe bene mettere delle sedie a dondolo.

Estrasse una delle sue terribili Java e si mise a fumare. Intercettò il mio sguardo scontento e disse: — Eppure continuerò lo stesso a fumarle. Io amo la mia patria.

— E io amo la mia salute — brontolai.

— Uhm — fece Semën. — Ecco, una volta un conoscente straniero mi ha invitato…

— È successo molto tempo fa? — chiesi io, intonandomi involontariamente al suo stile.

— Non molto. L'anno scorso. E mi ha invitato perché gli insegnassi a bere alla russa. Stava all'Hotel Penta. Ho portato con me un'amica occasionale e il suo fratellino…

Mi immaginai quella compagnia e scossi la testa. — E vi hanno fatti entrare?

— Sì.

— Hai adoperato la magia?

— No, l'amico straniero ha adoperato i soldi. Aveva una bella scorta di vodka e di roba da mangiare, abbiamo cominciato a bere il 30 aprile e abbiamo finito il 2 maggio. Non abbiamo lasciato entrare le cameriere né spento il televisore.

Guardando Semën, con la sua camicia sgualcita a quadretti di fabbricazione nostrana, i logori jeans turchi e un paio di sandali cechi tutti sformati, si poteva senza fatica raffigurarselo nell'atto di scolare del vino da un cartone di tre litri. Immaginarselo al Penta era difficile.

— Bruti — sbottai.

— No, perché? Al mio amico è piaciuto molto. Mi ha detto che aveva capito in cosa consiste la vera ubriachezza russa.

— Cioè?

— È quando ti svegli la mattina e ogni cosa intorno è grigia. Il cielo è grigio, la città è grigia, le persone sono grigie, i pensieri sono grigi. E l'unica via d'uscita è ricominciare a bere. Allora si sta meglio. Allora ritornano i colori.

— Ti è capitato uno straniero interessante.

— Non me ne parlare!

Di nuovo Semën versò la vodka nei bicchieri, stavolta in quantità minore. Ci pensò un attimo, poi li riempì fino all'orlo.

— Su, beviamo, vecchio mio. Beviamo perché a noi non succeda mai di dover bere per riuscire a vedere il cielo blu, il sole giallo e la città colorata. Su, brindiamo a questo. Io e te entriamo nel Crepuscolo e vediamo che il mondo visto da rovescio non è tale e quale appare agli altri. Ma certo non è nemmeno soltanto quel rovescio. Ai colori vividi!

Trangugiai mezzo bicchiere in stato di totale stordimento.

— Non battere la fiacca, ragazzino — disse Semën con lo stesso tono di prima.

Bevvi il resto e ci mangiai sopra una manciata di cavolo agrodolce croccante.

Chiesi: — Semën, perché ti comporti così? Perché questo atteggiamento scandalistico, questa posa?

— Parole troppo intelligenti, non le capisco.

— Allora?

— Così è più semplice, Anton. Ognuno si protegge come può. Io lo faccio in questo modo.

— Cosa devo fare, Semën? — domandai. Senza alcuna specificazione.

— Fa' ciò che devi.

— E se non volessi fare ciò che devo? Se la nostra luminosissima verità, la nostra parola d'onore di Guardiani e i nostri eccelsi buoni propositi fossero come il fumo negli occhi?

— Devi capire una cosa, Anton. — Il mago cominciò a sgranocchiare un cetriolino. — Già da un pezzo avresti dovuto capirla. La nostra verità, per quanto sia grande e luminosa, è fatta di una moltitudine di piccole verità. Anche se Geser è un pozzo senza fine di scienza e ha un'esperienza tale che, Dio non voglia, noi la vediamo solo in sogno, in più ha le emorroidi curate con la magia, il complesso di Edipo e l'abitudine di rivoltare i vecchi schemi di successo in modo nuovo. Tutto questo è solo un esempio, perché di certo non ficco il naso nelle sue faccende personali, è pur sempre il Capo.

Tirò fuori un'altra sigaretta; stavolta non mi arrischiai a obiettare.

— Anton, il fatto è questo. Sei entrato nella Guardia che eri un giovanotto, e la cosa ti ha fatto gioire. Finalmente tutto il mondo si è diviso: bianco da una parte, nero dall'altra. Si è realizzato il sogno dell'umanità, è diventato chiaro chi fosse buono e chi malvagio. Invece no. Non è così. Un tempo eravamo la stessa cosa. Forze delle Tenebre e della Luce. Ce ne stavamo intorno al fuoco nelle caverne, guardavamo attraverso il Crepuscolo qual era il prato più vicino in cui pascolavano i mammut, con canti e danze lanciavamo scintille dalle dita e arrostivamo a colpi di fireball le altre tribù. E, tanto per perfezionare l'esempio, c'erano due fratelli: due Altri. Quello dei due che entrò per primo nel Crepuscolo forse era sazio, o forse si era innamorato per la prima volta. Il secondo, invece, tutto il contrario. Gli faceva male la pancia per aver mangiato solo del bambù, la donna l'aveva respinto con la scusa del mal di testa e della stanchezza per aver raschiato pelli tutto il giorno. Andò così. Uno punta al mammut ed è soddisfatto. L'altro pretende un pezzo di proboscide e la figlia del capo in aggiunta. Fu così che ci dividemmo in Forze delle Tenebre e Forze della Luce, in buoni e cattivi. È l'abbicci, non ti pare? Istruiamo così i piccoli Altri. Solo una cosa, vecchio mio: chi ti ha detto che tutto questo finirà?

Semën si sporse bruscamente verso di me, tanto che la sedia scricchiolò. — È stato, è, e sarà così. Per sempre, Anton. Non esiste una fine. Operando il Bene senza chiedere il permesso, noi ora disincarniamo quelli che perdono il controllo e si scatenano. Ma cosa succederà un domani? Tra cent'anni, tra mille? Chi può saperlo? Tu, io, Geser?

— Quindi?

— Hai la tua verità, Anton? Dimmi, ce l'hai? Hai fiducia in lei? Allora è alla tua verità che devi credere, non alla mia o a quella di Geser. Abbi fede e combatti. Se ti basta lo spirito. Se il cuore non sussulta. La libertà delle Tenebre non è cattiva in quanto libertà da chiunque altro. Si tratta, lo ripeto, di una spiegazione per i bambini. La libertà delle Tenebre è in primo luogo libertà da se stessi, dalla propria coscienza e dalla propria anima. Non percepisci più alcun dolore nel petto, e allora invochi aiuto. Ma ormai è troppo tardi.

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