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Svetlana annuì. Lo sconcerto nei suoi occhi cresceva sempre più.

Per fortuna sapevo guidare. Non ero mai stato attratto dal discutibile piacere di possedere una macchina in una megalopoli dotata di strade così terribili.

Il nostro corso di studi era molto vario. Alcune materie ce le insegnavano nel modo normale, altre ce le fissavano nella coscienza con la magia. A guidare la macchina avevo imparato come imparano gli uomini, ma se il caso mi avesse scaraventato nella cabina di un elicottero o di un aereo, sarebbero entrati in azione automatismi di cui. in condizioni normali, non ero consapevole. Per lo meno, in teoria sarebbero dovuti entrare in azione.

Trovai le chiavi della macchina in borsetta. L'auto, di un bell'arancione fiammante, ci aspettava nel parcheggio davanti alla nostra sede, sotto l'occhio vigile della sorveglianza. Le portiere erano chiuse, il che era abbastanza ridicolo considerando che la macchina era scoperta.

— Guidi tu? — mi chiese Svetlana.

Assentii in silenzio. Mi sedetti al volante e avviai il motore. Ol'ga, a quanto mi ricordavo, partiva a razzo, ma io non ero in grado di imitarla.

— Ol'ga, hai qualcosa di strano oggi. — Alla fine Svetlana si era decisa a dar voce ai suoi pensieri. Annuii, imboccando il Leningradskij Prospekt.

— Sveta, parleremo di tutto quando arriviamo a casa tua.

Non aprì più bocca.

Non sono un grande pilota. Viaggiammo a lungo, molto più a lungo di quanto sarebbe stato necessario. Svetlana però non mi chiese più nulla, sedeva abbandonata, guardando diritto davanti a sé. Probabilmente meditava, o cercava di vedere attraverso la penombra. Negli ingorghi capitò più di una volta che qualcuno, dalle macchine vicine, cercasse di attaccare discorso. Era sempre qualcuno a bordo di un'auto molto costosa, come se il nostro aspetto, e la nostra macchina, creassero una barriera invisibile che non tutti si azzardavano a superare. Abbassavano il finestrino, sporgevano la testa sempre dai capelli molto corti… qualche volta spuntava anche una mano con il telefonino, immancabile attributo. All'inizio li trovavo semplicemente fastidiosi. Poi ridicoli. Alla fine smisi di reagire a qualsiasi provocazione, esattamente come faceva Svetlana.

Mi sarebbe piaciuto sapere se Ol'ga trovava divertenti quei tentativi di abbordaggio.

Probabilmente sì. Dopo aver trascorso interi decenni in un corpo non umano ed essere stata reclusa in una vetrina!

— Ol'ga, perché mi hai portato via? Perché non hai voluto aspettare Anton?

Mi strinsi nelle spalle. La tentazione di dirle: "Perché è qui, di fianco a te" era grande. Le possibilità che qualcuno ci stesse seguendo erano piuttosto scarse. Anche la macchina era coperta da incantesimi protettivi, che in parte percepivo e in parte superavano le mie possibilità.

Ma mi trattenni.

Svetlana non aveva ancora frequentato il corso di sicurezza delle informazioni, che cominciava solo dopo i primi tre mesi di addestramento. Secondo me varrebbe la pena di introdurlo prima, ma per ognuno degli Altri viene elaborato un programma personalizzato, e questo richiede un certo tempo.

Una volta superato l'addestramento, Svetlana avrebbe imparato sia a parlare sia a stare zitta. Quello era contemporaneamente il corso più facile e il più duro. Durante quel periodo cominciano semplicemente a darti delle informazioni, meticolosamente dosate e con una ben precisa consequenzialità. Una parte di queste informazioni è vera, una parte è falsa. Qualcosa ti viene comunicato apertamente, con grande disinvoltura, qualcosa con la clausola del più assoluto segreto, qualcos'altro ancora lo scopri ''per caso", lo senti di sfuggita, lo sbirci di nascosto.

E tutto, tutto ciò che vieni a sapere fermenta dentro di te, evocando dolore e paura, e lotta per venire alla superficie, lacerandoti il cuore, ed esige una reazione, rapida e immediata. A lezione ti racconteranno ogni genere di sciocchezze, in generale del tutto inutili per la vita di un Altro. Perché la prova fondamentale, l'addestramento decisivo, avviene nella tua anima.

In realtà sono pochi quelli che non ce la fanno. Anche perché si tratta di un addestramento, e non di un esame. E a ciascuno viene proposto solo il grado di difficoltà che può affrontare, impegnando al massimo tutte le sue forze e lasciando brandelli di pelle e schizzi di sangue sull'ostacolo da superare, sempre coperto di filo spinato.

Ma quando questo corso lo frequentano quelli che ti sono davvero cari, o anche solo che ti stanno simpatici, inizi a tormentarti e a lacerarti nei dubbi. Magari cogli uno sguardo strano del tuo amico, e cominci a chiederti che cosa ha scoperto, quali verità o quali menzogne gli stanno somministrando. E che cosa sta scoprendo su di sé, sul mondo che lo circonda, sui suoi genitori, sui suoi amici.

E ti prende un desiderio strano, doloroso. Il desiderio di aiutarlo. Di spiegare, di accennare, di suggerire.

Anche se nessuno che abbia frequentato quel corso penserà mai di realizzare quel desiderio. Perché lì si impara proprio che cosa e quando si può e si deve dire, superando quel dolore.

In generale si può e si deve dire tutto. Bisogna solo scegliere bene il momento, perché altrimenti la verità può essere peggio di una bugia.

— Ol'ga?

— Capirai — dissi. — Devi solo aspettare.

Scrutando nella penombra lanciai la macchina avanti, insinuandomi tra un goffo fuoristrada e un ingombrante autocarro militare. Lo specchietto si piegò con un forte schiocco urtando la fiancata dell'autocarro. Superai il primo incrocio, e curvando con uno stridio di pneumatici, imboccai a tutta velocità il viale Entuziasty.

— Mi ama? — mi chiese all'improvviso Svetlana. — Sì o no? Tu probabilmente lo sai…

Sussultai, la macchina scartò di lato, ma Svetlana non ci fece caso. Non era la prima volta che rivolgeva a Ol'ga quella domanda, lo sentivo. Doveva esserci già stato un discorso tra loro due a questo proposito, un discorso pesante e ancora aperto.

— O ama te?

Basta. Adesso non potevo continuare a stare zitto.

— Anton ha un ottimo rapporto con Ol'ga. — Parlavo in terza persona sia di me sia della proprietaria del mio attuale corpo! Lo facevo apposta, ma suonava come l'espressione di una cortesia fredda e distaccata. — Ma è un'amicizia tra compagni di battaglia. Niente di più.

Se adesso avesse chiesto a Ol'ga cosa pensava lei di me, sarebbe stato molto più difficile cavarsela senza mentire.

Ma Svetlana rimase in silenzio. E dopo un minuto mi sfiorò brevemente la mano, come se volesse chiedermi scusa.

Allora fui io a non riuscire a trattenermi: — Perché me lo hai domandato?

Svetlana rispose subito, senza esitazioni. — Non capisco. Anton si comporta in modo molto strano. Talvolta sembra pazzo di me. E subito dopo mi tratta come tratterebbe uno qualsiasi dei tanti Altri che conosce. Un compagno di battaglie, e basta.

— Un nodo del destino — le spiegai asciutto.

— Cosa?

— Non ci siete ancora arrivati, Sveta.

— E allora spiegamelo!

— Cerca di capire. — Guidavo sempre più veloce. Evidentemente si erano inseriti i riflessi motori del corpo di Ol'ga. — Cerca di capire, la prima volta che è venuto a casa tua…

— So che ero stata suggestionata. Me l'ha detto — mi interruppe Svetlana.

— Non si tratta di questo. La suggestione era stata eliminata quando ti hanno raccontato la verità. Ma quando imparerai a vedere il destino, e tu imparerai sicuramente, e anche molto meglio di me. allora capirai.

— Ci hanno detto che il destino è mutevole.

— Il destino prevede molte varianti. Venendo da te. Anton sapeva che, in caso di successo, si sarebbe innamorato di te.

Svetlana non rispose. Mi sembrava che le si fossero un po' arrossate le guance, ma forse era per il vento che entrava dal tettuccio abbassato.

— E con questo?

— Sai che cosa significa? Essere condannali ad amare?

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