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— Abbiamo un problema? — chiese Tigrotto, facendo le fusa.

— Già — confermai.

— La vostra decisione? — domandò Zavulon. I suoi Guardiani per il momento tacevano, senza interferire in ciò che stava accadendo.

— Non mi piace — disse Tigrotto, sporgendosi verso Zavulon, e la sua coda mi frustò senza pietà il ginocchio. — Non mi piace affatto il punto di vista dei Guardiani del Giorno… sull'attuale situazione…

Era evidente che si trattava di un'opinione condivisa anche da Orso: quando lavoravano in coppia a esprimersi era sempre solo uno di loro. Guardai Il'ja: faceva roteare il bastone e sorrideva in modo poco raccomandabile, trasognato. Come un bambino che, anziché portare con sé un mitra di plastica, si fosse portato un UZI carico. Per Semën era lo stesso. Lui se ne fregava di quelle inezie. Correva sui tetti da settant'anni.

— Zavulon, tu parli a nome dei Guardiani del Giorno? — gli chiesi.

Un lampo di esitazione balenò negli occhi del mago delle Tenebre.

Stava succedendo qualcosa… Perché Zavulon aveva abbandonato il nostro quartier generale, rinunciando alla possibilità di rintracciare un mago sconosciuto dalla forza mostruosa e di farlo aderire alla Guardia del Giorno? A una simile possibilità non si rinuncia nemmeno per una vampira e un ragazzino potenzialmente molto dotato. Perché Zavulon voleva il conflitto?

E perché, perché lui non voleva — era evidente, non c'era dubbio! — agire a nome dei Guardiani del Giorno?

— Parlo a titolo personale — disse Zavulon.

— Allora tra noi c'è una piccola discordanza di opinioni — replicai.

Non voleva coinvolgere le Guardie. Ora eravamo semplicemente Altri, anche se in servizio e impegnati in una missione. Ma Zavulon preferiva non portare il conflitto a uno scontro ufficiale. Perché? Aveva una così grande fiducia nelle sue forze o aveva una così grande paura del Capo?

Non ci capivo nulla.

E, soprattutto, perché aveva abbandonato il quartier generale e la caccia? Per il mago che aveva scagliato la maledizione contro Svetlana? Le Forze delle Tenebre si erano battute perché il mago fosse consegnato a loro. E adesso rinunciavano così facilmente?

Che cosa sapeva Zavulon che noi non sapevamo?

— I vostri penosi… — cominciò il mago delle Tenebre. Non riuscì a concludere: la vittima aveva fatto la sua mossa.

Udii il ruggito di Tigrotto, un ruggito perplesso, sbigottito. Mi voltai.

Egor, che già da mezz'ora rivestiva il ruolo di ostaggio abbracciato alla vampira, era svaporato, svanito.

Il ragazzino era finito nelle profondità del Crepuscolo.

La vampira non stringeva più le braccia per trattenerlo o per ucciderlo. Agitava convulsamente le zampe artigliate, ma ormai non afferrava più nessuna carne viva. Menava colpi a se stessa, a sinistra sul petto, sul cuore.

Che peccato che fosse un morto vivente!

Orso scattò. Come una montagna appena risvegliatasi, sfrecciò nel vuoto dove prima stava Egor e si avventò contro la vampira. Il corpo che si dibatteva fu sommerso dalla sua mole. Spuntava solo una mano con gli artigli che martellava di pugni il fianco irsuto.

In quello stesso istante Il'ja sfilò il bastone. La luce violetta si affievolì appena prima che il bastone esplodesse in una colonna bianca fiammeggiante. Pareva che tra le mani dell'operativo vi fosse il raggio accecante e quasi palpabile di un faro. Con un evidente sforzo Il'ja mosse le mani, abbagliando il cielo grigio con un raggio quale non si era più visto a Mosca dai tempi della guerra, e scagliò il gigantesco bastone su Zavulon.

Il mago delle Tenebre gridò.

Il bastone luminoso si abbatté su di lui, lo schiacciò contro il tetto, ma poi balzò via dalle mani di Il'ja e acquisì autonomia di movimento. Ora non era più un raggio di luce, né una colonna fiammeggiante, bensì un serpente bianco, che si avvitava su se stesso e si ricopriva di scaglie argentee. L'estremità del suo corpo gigantesco si appiattì, trasformandosi in un cappuccio da cui spuntò un muso con occhi immobili della dimensione di una ruota di camion. La lingua guizzò, sottile, biforcuta, fiammeggiante.

Feci un balzo indietro, per poco non mi sfiorava con la coda. Il cobra di fuoco si acciambellò, avventandosi contro Zavulon, infilando a scatti la testa tra le spire del corpo. E tra anelli fiammeggianti tre ombre si percuotevano l'un l'altra, cosparse di torbide strisce. Il balzo di Tigrotto contro la strega e lo stregone della Guardia del Giorno mi era semplicemente sfuggito.

Il'ja scoppiò a ridere piano, sfilando da sotto la cintura un altro bastone. Questa volta meno luminoso e forse caricato da lui.

E così aveva con sé armi specifiche contro Zavulon… Possibile che il Capo già sapesse con chi gli sarebbe toccato battersi?

Esaminai il tetto. A una prima occhiata sembrava tutto sotto controllo. Orso, che soffocava la vampira, si accaniva a pestarla con le zampe e di tanto in tanto da sotto la sua mole giungevano suoni indistinti. Tigrotto si occupava delle guardie e pareva non aver bisogno d'aiuto. Il cobra bianco soffocava Zavulon.

Non avevamo più niente da fare lì. Il'ja, imbracciando il bastone, osservava quei corpo a corpo, incerto in quale gettarsi a capofitto. Semën, che aveva perduto ogni interesse per la vampira e aveva conservato un atteggiamento indifferente nei confronti di Zavulon e delle guardie, vagava lungo il bordo del tetto, fissando verso il basso. Che temesse nuovi rinforzi da parte delle Tenebre?

E io invece stavo lì come un idiota, con un'inutile pistola tra le mani…

L'ombra giaceva ancora ai miei piedi. Vi entrai, sentendomi trafiggere dal gelo. Non dal gelo noto agli uomini, né da quello che conoscono bene gli Altri, ma dal gelo delle profondità del Crepuscolo. Qui non c'era più vento, il ghiaccio e la neve si erano dissolti. Era sparito anche il muschio blu. Tutto era coperto da una nebbia fitta, vischiosa, grumosa. Amici e nemici si erano trasformati in confuse ombre fruscianti. Solo il cobra fiammeggiante, che lottava con Zavulon, restava allo stesso modo impetuoso e sfavillante. Questo combattimento penetrava in ogni strato del Crepuscolo. Cercai di immaginare quante energie fossero concentrate in quel bastone magico e mi sentii mancare.

Perché le Tenebre, perché la Luce? Né una vampira, né un ragazzino-Altro valevano sforzi simili!

— Egor! — gridai.

Cominciavo già a congelare. Nel secondo livello del Crepuscolo ero entrato solo due volte: la prima durante le lezioni, assistito dall'istruttore, e la seconda la sera precedente per penetrare attraverso la porta chiusa. Qui non avevo difese e perdevo a ogni istante le forze.

— Egor! — Attraversai il Crepuscolo. Alle mie spalle echeggiavano colpi sordi: il serpente sbatteva qualcuno contro il tetto, stringendone il corpo tra le fauci… Sapevo a chi apparteneva quel corpo…

Il tempo qui scorreva più lento e c'era una piccolissima probabilità che il ragazzino non avesse perso conoscenza. Mi avvicinai al punto dove s'era immerso, nel secondo strato del Crepuscolo, cercando di distinguere qualcosa e non notai nessun corpo a terra. Inciampai, caddi, mi risollevai, mi accoccolai e mi ritrovai faccia a faccia con Egor.

— Tutto a posto? — gli chiesi assurdamente. Assurdamente, perché aveva gli occhi aperti e mi fissava.

— Sì.

Le nostre voci echeggiavano sorde e rimbombavano. Due ombre ondeggiavano proprio accanto a noi: Orso continuava a strapazzare la vampira. Quanto resisteva!

E quanto resisteva anche il ragazzo!

— Andiamo — dissi, allungando una mano e sfiorandogli la spalla. — Qui… è opprimente. Rischiamo di rimanerci per sempre.

— E sia.

— Non capisci, Egor! È una sofferenza! Una sofferenza eterna dissolversi nel Crepuscolo. Non puoi neanche immaginarlo, Egor! Andiamocene!

— Perché?

— Per vivere.

— Perché?

Le dita mi si erano curvate. La pistola era diventata pesante, sembrava fusa nel ghiaccio. Avrei resistito ancora un minuto o due…

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