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— Svetlana… mi perdoni se glielo chiedo — dissi, distogliendo lo sguardo in modo colpevole. — Ma ha qualche problema?

— Come le viene in mente, Anton? — Non smise di scrivere e neppure alzò gli occhi. Ma s'irrigidì.

— Mi era sembrato. L'ho offesa in qualche modo?

La ragazza depose la penna e mi guardò con curiosità e una certa simpatia.

— Ma no, Anton, cosa dice? Forse è solo l'inverno. L'inverno troppo lungo.

Sorrise tesa e il vortice infernale ondeggiò sopra di lei, muovendo rapacemente il vertice…

— Il cielo è tutto grigio, il mondo è tutto grigio. E non si ha voglia di far niente. Sono stanca, Anton. Verrà la primavera e passerà.

— Lei è depressa, Svetlana — azzardai, prima di rendermi conto di aver ricavato questa diagnosi proprio dalla sua memoria. Ma la ragazza non vi fece caso.

— Sì, forse. Non fa niente, adesso comparirà il sole… Grazie per la sua premura, Anton.

Questa volta il sorriso era più sincero, anche se forzato.

Dal Crepuscolo giunse il sussurro di Ol'ga: — Anton, dieci centimetri in meno! Il vortice si affloscia. Gli analisti sono al lavoro, Anton, continua a dialogare!

Che cosa sto facendo di giusto?

Questa domanda era anche più terribile di "che cosa sto facendo di sbagliato?" Se sbagli, puoi cambiare abbastanza bruscamente la tua linea di condotta. Ma se hai centrato lo scopo, senza nemmeno saperlo, allora ti conviene gridare aiuto. È faticoso essere un pessimo arciere che ha colpito per sbaglio una mela e che si sforza di ricostruire il movimento delle braccia e la direzione dello sguardo, la tensione del dito che ha tirato… senza rendersi conto che ha colpito il bersaglio per merito di una folata impetuosa di vento.

Io ero conscio del fatto che me ne stavo lì a guardare Svetlana. E che lei a sua volta mi fissava, seria, in silenzio.

— Mi perdoni — le dissi. — Svetlana, mi perdoni, per amor del cielo. Sono piombato qui di sera e m'immischio in affari che non mi riguardano…

— Non fa niente. Anzi, mi fa piacere, Anton. Lo vuole un tè?

— Venti centimetri in meno, Anton! Accetta!

Persino questi centimetri di riduzione del vortice che s'era scatenato come l'inferno erano un dono del destino. Erano vite umane. Decine o addirittura centinaia di vite umane strappate a una catastrofe ineluttabile. Non sapevo come mai accadesse, ma aumentavo le difese di Svetlana contro l'inferno. E il vortice cominciava a dissolversi.

— Grazie, Svetlana, volentieri.

La ragazza si alzò e andò in cucina. E io la seguii. Ma che cosa accadeva?

— Anton, l'esame preliminare è pronto…

Mi sembrò che alla finestra, tra i tendoni scostati, balenasse la bianca figura di un uccello e che sfrecciasse lungo la parete, sulle tracce di Svetlana.

— Ignat ha agito secondo la procedura: complimenti, curiosità, seduzione, innamoramento. A lei piaceva, ma questo ha provocato l'estendersi del vortice. Anton, tu segui un altro percorso, quello della partecipazione. E per di più della partecipazione disinteressata, passiva.

Di raccomandazioni non ne erano arrivate, significava che non erano giunti ancora a nessuna conclusione analitica. Ma almeno sapevo come mi sarei dovuto comportare. Guardare con tristezza, sorridere con partecipazione, bere il tè e dire: "Hai gli occhi stanchi, Sveta…"

Perché di certo saremmo passati al "tu". Era inevitabile. Non avevo dubbi.

— Anton?

L'avevo fissata troppo a lungo. Svetlana era rimasta immobile davanti alla cucina a gas con la pesante teiera resa opaca dal vapore. Non è che si fosse spaventata, questo sentimento ormai le era inaccessibile, completamente assorbito dal vortice malefico. Più che altro sembrava contrariata.

— Qualcosa non va?

— Sì, mi sento in imbarazzo, Svetlana. Sono arrivato nel cuore della notte, mi sono lamentato dei miei problemi e ora mi sono anche fermato per un tè…

— Anton, la prego di restare. Sa, oggi ho avuto una giornata tanto strana che rimanere qui da sola… Facciamo così, questo sarà il mio onorario per la visita… Lei si siederà qui e converserà un po' con me — si affrettò ad aggiungere.

Annuii. Qualunque parola rischiava di essere sbagliata.

— Il vortice è diminuito ancora di quindici centimetri. Anton, hai scelto la tattica giusta!

Io non avevo scelto proprio nulla! Come facevano a non capirlo, analisti dei miei stivali? Avevo adoperato i miei poteri di Altro per entrare nella casa di un'estranea, penetrare nella sua memoria e prolungare così la mia permanenza là… e ora seguivo semplicemente la corrente.

E speravo che il fiume mi avrebbe condotto dove bisognava.

— Vuole marmellata?

— Sì…

Che follia questo tè! Altro che Carroll! I tè più folli non sono quelli nella tana del coniglio, al tavolo del cappellaio matto, della lepre marzolina e del ghiro! Una minuscola cucina di un minuscolo appartamento, l'infuso di tè del mattino a cui è stata aggiunta dell'acqua bollente, la marmellata di lamponi dal barattolo da tre litri, ecco dove attori incompresi recitavano la vera, folle scena del tè. Qui, e solo qui, avrebbero detto parole che mai avrebbero pronunciato altrimenti nella vita. Qui con un gesto da prestigiatore avrebbero estratto dal buio i loro piccoli ripugnanti segreti, dall'armadio i loro scheletri di famiglia, e rinvenuto nella zuccheriera cianuro di potassio. E nessuno avrebbe trovato un pretesto per alzarsi e andarsene perché nel frattempo avrebbero servito il tè, offerto la marmellata e avvicinato la zuccheriera aperta…

— Anton, è ormai da un anno che la conosco…

Un'ombra, una fuggevole ombra di smarrimento nello sguardo della ragazza. La memoria riempie diligentemente le lacune, suggerisce spiegazioni del perché io, un ragazzo così buono e simpatico, devo restare per lei solo un paziente.

— Di solito parliamo solo di lavoro, ma adesso… per qualche motivo, ho voglia di parlare con lei come a un vicino di casa. Come a un amico. Va bene?

— Certo, Sveta.

Un sorriso di gratitudine. Al mio nome è difficile trovare un diminutivo appropriato. Antoska suona un po' azzardato, troppo confidenziale.

— Grazie, Anton. Sai… davvero non sono più la stessa, ormai da tre giorni.

Certo. È difficile restare se stessi quando su di te pende la spada di Nemesi. Della cieca, furiosa Nemesi, scaturita dal regno dei morti…

— Be', ecco, oggi… mah, lasciamo perdere…

Voleva raccontarmi di Ignat. Non capiva che cosa le fosse accaduto, perché con quel conoscente occasionale per poco non era finita a letto. Le sembrava di essere sul punto di impazzire. A tutti gli esseri umani che sono entrati in contatto con gli Altri viene un pensiero del genere.

— Svetlana… hai litigato forse con qualcuno?

Era una mossa rozza. Ma avevo fretta, senza sapere neppure io il perché. Il vortice era stabile, anzi, tendeva a diminuire, eppure avevo fretta.

— Come mai ti è venuto in mente?

Svetlana non era stupita e non considerava questa una domanda troppo personale. Mi strinsi nelle spalle e cercai di spiegare: — A me succede spesso.

— No, Anton. Non ho litigato con nessuno. Per nessun motivo, con nessuno. È dentro di me che…

Hai torto, ragazza. Tu non l'immagini nemmeno quanto hai torto. Sopra di te c'è un vortice malefico di dimensioni tali che solo una volta ogni cent'anni ne compare uno simile. E ciò significa che qualcuno ti sta odiando con una forza raramente consentita a un essere umano… o a un Altro.

— Forse bisognerebbe prendersi una vacanza — proposi. — Andarsene da qualche parte, lontano…

Lo dissi, e all'improvviso pensai che una soluzione del problema c'era. Fosse pure non definitiva e rischiosa per la vita di Svetlana. Lontano. Nella taiga, nella tundra, al Polo Nord. E lì ci sarebbe stata l'eruzione di un vulcano, o sarebbe caduto un asteroide o un missile con testate nucleari. Si sarebbe scatenato l'inferno, ma ne avrebbe sofferto solo Svetlana.

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