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Anche il collo cominciava a pizzicargli. Ottimo aglio. Qualunque vampiro sarebbe crepato al solo sentirne l'odore.

Il gatto si mise a strillare nell'anticamera. Egor si allarmò e sbirciò fuori dalla cucina. Niente. La porta era chiusa a tre mandate e con la catenella.

— Non urlare, Gresik! — intimò al gatto. — Altrimenti do l'aglio pure a te.

Valutata la minaccia, il gatto fuggì nella stanza da letto dei genitori.

Che cosa poteva fare ancora? L'argento, a quanto pare, aiutava. Spaventando una seconda volta il gatto, Egor entrò nella camera da letto e aprì l'armadio guardaroba. Sotto le lenzuola e gli asciugamani trovò una scatolina dove la mamma teneva i gioielli. Tolse una catenina d'argento e se la mise al collo. Avrebbe puzzato d'aglio e in ogni caso se la sarebbe dovuto togliere prima di sera. Era il caso che svuotasse il salvadanaio e si comprasse una catenina con la croce? E la portasse senza mai toglierla? Poteva dire che credeva in Dio. Succede: uno prima non credeva e poi all'improvviso crede!

Passò nel salotto e sedette sul divano allungando le gambe, gettando uno sguardo pensieroso tutt'attorno. Ce l'avevano in casa un ramo di frassino? In teoria no. E come era fatto un ramo di frassino? E se fosse andato all'orto botanico e si fosse ricavato un pugnale da un ramo?

Sarebbe andato benissimo, naturalmente. Ma l'avrebbe aiutato? E se di nuovo fosse risuonata quella musica… quella musica sommessa, irresistibile…? Si sarebbe strappato la catenina, avrebbe spezzato il pugnale e si sarebbe lavato il collo spalmato d'aglio?

Una musica sommessa, una musica sommessa… Nemici invisibili. Forse erano già lì accanto. Solo che lui non li vedeva. Non era in grado di vederli. E il vampiro sedeva lì e sogghignava, fissando quell'ingenuo ragazzo pronto a difendersi. E non gli faceva paura il ramo di frassino, né lo spaventava l'aglio. Come combattere un nemico invisibile?

— Gresik! — chiamò Egor. Il gatto non rispose, aveva un carattere difficile. — Vieni qui, Gresik!

Il gatto stava sulla soglia della camera da letto. Il pelo era ritto, gli occhi fiammeggianti. Fissava un punto oltre Egor, in direzione della poltrona dove stava il tavolino delle riviste. La poltrona era vuota…

Il ragazzo sentì corrergli lungo il corpo il solito brivido gelido. Fece un tale scatto che dal divano finì sul pavimento. L'appartamento era vuoto e chiuso a chiave. Intorno si era fatto buio, come se dietro la finestra il sole si fosse oscurato…

Lì accanto c'era qualcuno.

— No! — gridò Egor, strisciando via. — Lo so, lo so che ci siete!

Il gatto mandò un grido rauco e si precipitò sotto il letto.

— Ti vedo! — gridò Egor. — Non toccarmi!

Il portone anche così era tetro e parecchio sudicio. Ma, a guardarlo dal Crepuscolo, pareva una vera catacomba. Le pareti di cemento, che nella realtà ordinaria erano soltanto sporche, nel Crepuscolo sembravano coperte da un muschio grigio. Uno schifo. Si vedeva che qui non c'era un Altro a ripulire la casa… Passai il palmo della mano su un grumo particolarmente spesso, e il muschio si mosse allontanandosi dal calore.

— Brucia! — intimai.

Non amavo i parassiti. Anche quando non erano nocivi e si limitavano a succhiare le emozioni altrui. La teoria secondo cui ingenti colonie di muschio blu possono scuotere la psiche umana provocando stati depressivi o euforici non è stata ancora dimostrata. Ma io ho sempre preferito cautelarmi.

— Brucia! — ripetei, convogliando sul palmo della mano un po' di forza.

La fiamma, diafana e ardente, avvolse l'arruffata lanugine blu. Di lì a un istante bruciava tutto il portone. Indietreggiai verso l'ascensore, pigiai il pulsante ed entrai nella cabina. Era più pulita.

— Ottavo piano — suggerì Ol'ga. — Perché sprechi le forze?

— Piccolezze…

— Potresti avere bisogno di tutte quelle che possiedi. Lascia che cresca.

Tacqui. L'ascensore continuava a salire lentamente. Era l'ascensore del Crepuscolo, una copia identica a quello che stava a pianterreno.

— Come ben sai — dichiarò Ol'ga — la giovinezza… l'incapacità di scendere a compromessi…

Le porte si spalancarono. All'ottavo piano il fuoco era già spento, il muschio blu era cenere. Faceva caldo, più caldo di quanto facesse di solito nel Crepuscolo. C'era un leggero sentore di bruciato.

— La porta è questa… — disse Ol'ga.

— Lo vedo.

In effetti avevo percepito l'aura del ragazzo davanti alla porta. Non aveva neppure osato uscire di casa quel giorno. Magnifico. Stava lì legato alla fune come un capretto in attesa della tigre.

— Penso che entrerò — decisi. E spinsi la porta.

Non si aprì.

Impossibile!

Nella realtà le porte possono essere chiuse con i chiavistelli. Il Crepuscolo invece ha le sue leggi. Solo i vampiri hanno bisogno di essere invitati per entrare in casa d'altri, è il loro pedaggio per le energie in eccesso e per il loro approccio gastronomico agli esseri umani.

Per chiudere a chiave una porta nel Crepuscolo, si deve quanto meno essere in grado di entrarvi.

— La paura — disse Ol'ga. — Ieri il ragazzino era terrorizzato. È appena stato nel mondo del Crepuscolo. Ha chiuso dietro di sé la porta… e, senza rendersene conto, l'ha fatto in tutti e due i mondi.

— E che cosa facciamo?

— Entra più in profondità. Seguimi.

Mi guardai la spalla. Non c'era nessuno. Creare il Crepuscolo, quando ci si trova nel Crepuscolo, non è un gioco da ragazzi. Sollevai la mia ombra da terra parecchie volte prima che acquisisse volume e cominciasse a ondeggiare al contrario.

— Su, su che ce la fai — mormorò Ol'ga.

Entrai nell'ombra e il Crepuscolo si infittì. Lo spazio si riempì di una nebbia fitta. I colori si dissolsero. L'unico suono rimasto era il battito del mio cuore, greve e lento, rimbombante come quello di un tamburo percosso dal fondo di un burrone. Il vento sibilava, l'aria s'insinuava nei polmoni, spianando lentamente i bronchi. Sulla mia spalla apparve la civetta bianca.

— Non resisterò a lungo qui — mormorai, aprendo la porta.

Sotto i miei piedi sfrecciò un gatto grigio scuro. Per i gatti non esistono il mondo ordinario e quello del Crepuscolo, essi vivono contemporaneamente in tutti i mondi. Che bello che non siano dotati di ragione!

— Micio, micio! — bisbigliai. — Non aver paura, micino…

Più che altro per sperimentare le mie forze, chiusi a chiave la porta dietro di me. Ecco qua, ragazzo, ora sei molto più al sicuro. Ma ti servirà quando sentirai il Richiamo?

— Esci — disse Ol'ga. — Stai perdendo molto in fretta le forze. A questo livello di Crepuscolo fa fatica anche un mago esperto. Uscirò anch'io più su.

Con sollievo toccai la superficie. Già, io non sono un operativo, in grado di vagabondare per le tre fasce del Crepuscolo. E poi non ho neppure bisogno di farlo.

Il mondo si fece un po' più luminoso. Mi guardai intorno: l'appartamento era accogliente e non particolarmente profanato dalle emanazioni del mondo del Crepuscolo. Qualche strato di muschio blu davanti alla porta… Non era terribile, sarebbe crepato da solo, dato che la colonia principale era stata annientata. Si udirono anche dei rumori dalla cucina. Diedi un'occhiata.

Il ragazzino stava accanto al tavolo e mangiava aglio, bevendo tè bollente.

— Luce e Tenebre… — mormorai.

Ora il ragazzino sembrava ancora più piccolo e più indifeso di ieri. Goffo, magro, anche se non si poteva dire gracile: si vedeva che faceva sport. Portava jeans azzurri scoloriti e maglietta blu.

— Povero — dissi.

— Molto commovente — concordò Ol'ga. — Diffondere quelle voci sulle proprietà magiche dell'aglio è stata una bella mossa per i vampiri. Dicono che sia stato Bram Stoker a inventarle…

— L'aglio è utile — dissi.

— Sì, e protegge dai virus dell'influenza — aggiunse Ol'ga. — Come muore in fretta la verità, come è tenace invece la menzogna… Ma il ragazzo è davvero forte. Un nuovo operativo non guasterebbe alla Guardia del Giorno.

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