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«Si», disse Tenar.

Faggio, un uomo sui quarant’anni, dalla pelle lucida e dall’aria tranquilla, che tendeva alla pinguedine, con borse scure sotto gli occhi che contrastavano con la sua aria innocente, guardò Tenar e non chiese niente.

«È arrivato dopo la morte di Ogion, e poi se n’è andato», rispose lei. Quindi aggiunse: «Non è più l’Arcimago, adesso. Lo sapevate?»

Faggio annuì.

«Hanno scelto il nuovo Arcimago?» chiese Tenar.

Faggio scosse la testa. «È arrivata una nave dalle Enlades poco tempo fa, ma l’equipaggio parlava solo dell’incoronazione. Tutti ne erano entusiasti. Sembra che tutti gli auspici siano stati fausti. Se gli auguri dei maghi valessero qualcosa, allora questo nostro nuovo re sarebbe ricchissimo… Ed è anche una persona attiva, a quanto si sente dire. Da Porto Gont è arrivato un ordine, poco prima che lasciassi Valmouth: i nobili e i mercanti, oltre al sindaco e al consiglio comunale, devono riunirsi per nominare le guardie di polizia del distretto e per controllare che siano persone oneste e capaci, perché ora sono funzionari del re e devono obbedire ai suoi ordini e applicare le sue leggi. Be’, potete immaginare anche voi come Lord Heno abbia accolto la notizia!» Heno era un noto protettore dei pirati, e da tempo aveva al suo soldo le guardie di polizia, terrestre e marittima, della costa meridionale di Gont. «Ma c’è chi è disposto a opporsi a Heno, adesso che si può contare sull’appoggio del re. Da un giorno all’altro hanno cacciato via i vecchi funzionari e ne hanno messi dei nuovi, gente onesta e stipendiata dal sindaco. Heno se n’è andato via infuriato, minacciando vendetta. È davvero un nuovo giorno. Non spunterà subito, certo, ma sta arrivando. Peccato che il Maestro Ogion non sia vissuto abbastanza per vederlo.»

«L’ha visto», rispose Tenar. «Quando stava per morire, ha sorriso e ha detto: ‘Tutto è cambiato…’»

Faggio accolse la notizia con la solita flemma, annuendo lentamente. «Tutto è cambiato», ripeté.

Dopo un poco, aggiunse, cambiando discorso: «La piccola va molto bene».

«Sì, abbastanza. Ma a volte ho l’impressione che non faccia molti progressi.»

«Signora Goha», disse il mago, «se io stesso, o qualsiasi altro mago, strega o addirittura sapiente di Roke, mi fossi preso cura di lei, servendomi di tutti i poteri taumaturgici dell’arte magica, per tutti i mesi trascorsi da quando è successo l’incidente, non potrebbe stare meglio di ora. Avete fatto tutto quel che si poteva fare. Avete fatto meraviglie.»

Tenar era commossa da quelle lodi sincere, ma la rattristarono; e ne spiegò la ragione al mago. «Non posso guarirla. Ed è… che cosa può fare? Che ne sarà di lei?» Posò la conocchia con cui stava filando e disse: «Ho paura».

«Per lei», disse Faggio, in tono per metà di domanda e per metà di constatazione.

«Ho paura perché i suoi timori attirano — richiamano — la causa dei suoi timori. Ho paura perché…»

Non riuscì a trovare le parole.

«Se vivrà nel timore, finirà per fare del male», terminò. «La cosa mi allarma.»

Il mago rifletté. «Pensavo», disse infine, nel suo solito modo diffidente, «che forse, se ha il dono, come credo abbia, potrebbe imparare qualcosa dell’arte magica. E, come strega, il suo… aspetto non avrebbe importanza… penso.» Si schiarì la gola. «Ci sono streghe che fanno un lavoro tutt’altro che disprezzabile», terminò.

Tenar si avvolse sulle dita un po’ del filo che aveva filato, per provarne la resistenza. «Ogion mi chiese di istruirla. ‘Insegnale tutto’, mi disse, e poi: ‘Non Roke’. Ma non so che cosa intendesse dire.»

Faggio, invece, non ebbe difficoltà a capirlo. «Intendeva dire che gli insegnamenti di Roke, le Grandi Arti, non sono adatte a una ragazza», spiegò. «Tanto meno a una così menomata. Ma se ha detto di insegnarle tutto, tranne quello, è evidente che anche lui la vedeva bene nella professione di guaritrice.» Rifletté di nuovo, questa volta con più vivacità, perché aveva dalla sua il peso dell’opinione di Ogion. «Tra un anno o due, quando sarà sufficientemente robusta, e sarà cresciuta un po’ di più, potresti chiedere a Edera di insegnarle qualcosa. Non troppo, comunque, neanche di quel genere di conoscenze, finché non avrà il suo nome vero.»

Tenar, inspiegabilmente, provò subito una forte avversione per quel suggerimento. Non disse niente, ma Faggio non era privo di sensibilità per quelle cose. «Edera è piuttosto arcigna», disse, «ma quel che sa, lo fa onestamente. E questo non si può dire di tutte le streghe. Debole come la magia delle donne, perfido come la magia delle donne, come si dice. Ma ho conosciuto streghe con veri Poteri di guarigione. L’arte della guarigione si adatta bene a una donna. Le viene naturale. E la ragazzina potrebbe sentirsi attirata da quel lavoro, dopo quello che ha subito.»

Le sue premure, decise Tenar, erano innocenti.

Lo ringraziò e gli disse che avrebbe riflettuto sulle sue parole. E così fece.

Entro la fine del mese, gli abitanti dei villaggi della Valle di Mezzo si incontrarono alle Stalle Rotonde di Sodeva per nominare le loro guardie di polizia e i loro giudici di pace, e fissarono una tassa con cui pagare le guardie. Erano gli ordini del re, giunti ai sindaci e agli anziani di tutti i villaggi, e subito messi in pratica, perché sulle strade i vagabondi e i ladri erano più numerosi che mai, e contadini e abitanti dei villaggi erano ansiosi di riavere l’ordine e la sicurezza. Corsero varie voci sgradevoli, come quella che Lord Heno aveva costituito un suo Consiglio dei Malfattori e arruolava tutti i banditi della zona perché formassero squadracce che andavano in giro a spaccare la testa alle guardie del re; ma molta gente si limitò a commentare: «Hanno solo da provarci!» e, tornando a casa, diceva che finalmente un onest’uomo poteva dormire tranquillo, la notte, e che il re aveva cominciato a mettere a posto tutto quel che si era guastato negli anni precedenti, anche se le sue tasse erano assurde, e tutti si sarebbero ritrovati nell’indigenza, dopo averle pagate.

Tenar fu lieta di sentire da Lodola tutto questo, ma non le prestò molta attenzione. Lavorava duramente, e, da quando era ritornata a casa, aveva deciso, senza pensarci espressamente, di non farsi dominare, né di lasciar dominare la vita di Therru, dal timore di Faina o di gente della stessa risma. Non poteva tenere con sé la bambina ogni momento, ricordandole costantemente ciò che, con il suo ricordo, le avrebbe impedito di vivere. Per crescere bene, la bambina doveva essere libera, e sapere di esserlo.

Therru aveva gradualmente perso i timori e aveva ripreso a muoversi da sola nella fattoria, nelle strade vicine, e anche nel villaggio, e Tenar non le diceva più di fare attenzione, anche quando le costava un vero sforzo non farlo. Nella fattoria, la bambina era al sicuro, e anche al villaggio, dove nessuno le avrebbe fatto del male: questo doveva essere un punto fermo, e in effetti Tenar non lo mise quasi mai in discussione. Con lei, Prunella e Rivochiaro nella fattoria, Sis e Tiff nella dipendenza, e con la famiglia di Lodola nel villaggio, nel dolce autunno della Valle di Mezzo, che pencoli potevano esserci per la bambina?

Avrebbe anche preso un cane, non appena ne avesse trovato uno della razza da lei voluta: uno dei cani da pastore di Gont, grossi e grigi, con la testa ricciuta e lo sguardo intelligente.

Di tanto in tanto pensava, come a Re Albi: «Devo cominciare a istruire la bambina! Ogion me l’ha ordinato». Ma, chissà come, la bambina finiva per imparare unicamente i lavori agricoli, e le storie, la sera, quando i giorni si accorciarono e tutti presero l’abitudine di sedere davanti al fuoco, dopo cena, prima di andare a dormire. Forse Faggio aveva ragione, e Therru doveva essere mandata da una strega per imparare le conoscenze delle streghe. Sempre meglio che mandarla come apprendista da un tessitore, cosa che Tenar aveva pensato di fare. Ma non molto meglio. E Therru non era ancora cresciuta; ed era molto ignorante per la sua età, perché non le avevano insegnato niente, prima del suo arrivo alla Fattoria delle Querce. Allora, era come un piccolo animale: conosceva a malapena la lingua degli uomini e non sapeva svolgere alcuna attività. Imparava in fretta ed era assai più obbediente e diligente delle figlie di Lodola, che non avevano alcun ritegno, nonché dei suoi figli, ridanciani e scansafatiche. Sapeva servire in tavola, pulire e filare, conosceva un po’ di cucina e di cucito, era in grado di badare alle galline, di dare da mangiare alle mucche ed era brava a fare il burro e il formaggio. Una perfetta massaia di campagna, la definiva il vecchio Tiff, nei momenti di bassa adulazione, ma Tenar l’aveva visto fare di nascosto gli scongiuri, quando Therru gli passava davanti. Come tanta gente, Tiff credeva che una persona fosse quello che le succedeva. I ricchi e i forti possedevano delle virtù; una persona, invece, cui era stato fatto un torto doveva essere cattiva, e poteva giustamente essere punita.

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