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Perché la cosa aveva funzionato sull’ombra. E avrebbe funzionato anche su di lui. Lo sapeva, che avrebbe funzionato.

L’uomo si era voltato e ora pareva confuso, inerte, le braccia gli penzolavano lungo i fianchi, e i suoi occhi guardavano Jenkins, incerti.

Le sue labbra si mossero, nella bianca macchia confusa del viso.

«Tu… tu…»

«Io sono Jenkins,» gli disse Jenkins. «Questo è il mio nuovo corpo.»

«C’era qualcosa, qui» disse Peter.

«Era un’ombra,» disse Jenkins. «Joshua mi ha detto che un’ombra era riuscita a passare, era venuta qui.»

«Ha ucciso Lupo,» disse Peter.

Jenkins annuì.

«Sì, ha ucciso Lupo. E ha ucciso molti altri. Era la creatura responsabile di tutte quelle uccisioni.»

«E io l’ho uccisa,» disse Peter. «Io l’ho uccisa… o l’ho scacciata… oppure…»

«L’hai spaventata, l’hai costretta a fuggire,» disse Jenkins. «Tu eri più forte di lei. Aveva paura di te. L’hai spaventata a tal punto, che essa è ritornata al mondo dal quale è venuta.»

«Avrei potuto ucciderla,» si vantò Peter. «Ma la corda si è spezzata…»

«La prossima volta,» disse Jenkins, a bassa voce. «Dovrai usare una corda più forte. Ti mostrerò come si deve fare. E una punta d’acciaio per la tua freccia…»

«Per la mia… come hai detto?»

«Freccia. Il bastone da lancio si chiama freccia. Il bastone e la corda che ti servono per lanciare la freccia si chiamano con un nome solo, arco. Arco e frecce. Non dimenticarlo.»

Peter abbassò il capo e curvò le spalle.

«Allora non si tratta di una cosa nuova. È già stata fatta in passato. Non sono stato il primo?»

Jenkins scosse il capo.

«No, tu non sei stato il primo.»

Jenkins camminò sull’erba e si avvicinò a Peter e gli posò la mano sulla spalla.

«Torniamo a casa insieme, Peter.»

Peter scosse il capo.

«No. Starò qui insieme a Lupo, finché non spunterà l’alba. E poi chiamerò i suoi amici e lo seppelliremo.»

Sollevò il capo e guardò Jenkins in viso.

«Lupo era mio amico. Un mio grande amico, Jenkins.»

«Lo so. Capisco,» disse Jenkins. «Ma quando ci vedremo?»

«Oh, presto,» disse Peter. «Verrò alla Colazione all’Aperto. La grande Colazione all’Aperto dei Webster. Ci sarà tra una settimana, se non sbaglio.»

«È proprio così,» disse Jenkins, parlando molto lentamente, e riflettendo. «È proprio così. E noi ci vedremo là.»

Si voltò e ricominciò lentamente a salire per la collina.

Peter sedette sull’erba, accanto al cadavere del lupo, aspettando l’aurora. Un paio di volte si portò la mano alla guancia, per asciugarla.

Erano seduti in semicerchio davanti a Jenkins e ascoltavano attenti ed eccitati le sue parole.

«Adesso dovete fare molta attenzione,» disse Jenkins. «È molto importante. Dovete fare attenzione e concentrarvi bene e dovete stringere molto forte le cose che avete con voi… i cestini della colazione e gli archi e le frecce e le altre cose.»

Una delle ragazze fece una risatina felice.

«È un nuovo gioco, Jenkins?»

«Sì,» disse Jenkins. «Una specie. Ma penso che sia proprio come hai detto tu… un nuovo gioco. E molto emozionante. Molto, molto emozionante.»

Qualcuno disse:

«Jenkins riesce sempre a trovare un nuovo gioco per la Colazione dei Webster!»

«E adesso,» disse Jenkins, «Dovete fare attenzione. Dovete guardarmi e cercare di indovinare la cosa che sto pensando…»

«È un indovinello,» squittì la ragazza che aveva riso prima. «Io adoro gli indovinelli.»

Jenkins piegò le sue labbra meccaniche in un sorriso.

«Hai ragione,» le disse. «È proprio quello che hai detto… un indovinello. E adesso, se volete fare tutti attenzione e starmi a guardare…»

«Io voglio provare l’arco e le frecce,» disse uno degli uomini. «Quando avremo finito il gioco potremo provarli, vero, Jenkins?»

«Sì,» disse Jenkins, pazientemente. «Quando il gioco sarà finito potrete provarli.»

Chiuse gli occhi e protese la propria mente per raggiungerli tutti, per distinguere ciascuno come individuo singolo, con quel suo nuovo senso così prodigioso. Avvertì l’ansiosa aspettativa delle menti che si tendevano, a loro volta, verso la sua, avvertì le piccole dita protese di pensiero che sfioravano un po’ impacciate il suo cervello.

«Concentratevi,» disse Jenkins. «Di più, di più. Sforzatevi!»

Un brivido attraversò la sua mente, e Jenkins lo represse con una vaga irritazione. Non era ipnotismo… e neppure telepatia, ma era il meglio che lui poteva fare. Li attirava a sé, li riuniva, fondeva le loro menti con la sua… ed era tutto un gioco.

Lentamente, prudentemente, portò alla superficie della sua mente il simbolo nascosto… le parole, il pensiero e la giusta inflessione. Facilmente, anche se non l’aveva preparato prima, portò tutto questo alla superficie della sua mente, prima le parole, poi il pensiero e poi l’inflessione, metodicamente, come uno parlerebbe a un bambino, cercando di insegnare il tono esatto, il modo di muovere le labbra, il modo di muovere la lingua.

Lasciò che il simbolo si fermasse per un momento alla superficie del suo cervello, e aspettò che le altre menti toccassero la sua, aspettò che le invisibili dita di pensiero si posassero sulla cosa nascosta che era venuta alla luce. E poi pensò il simbolo ad alta voce, come aveva fatto l’ombra.

E non accadde niente. Niente di niente. Non si udì uno scatto rivelatore nel suo cervello. Non provò alcuna sensazione di caduta. Non ebbe neppure un vago senso di vertigine. Non provò la minima sensazione.

Così lui aveva fallito. Così il suo piano era finito. Così il gioco era terminato.

Aprì gli occhi e le pendici verdi delle colline erano uguali, il prato era uguale, il cielo era uguale. Il sole splendeva ancora e l’azzurro del cielo era immacolato.

Sedette sull’erba, rigidamente, in silenzio, e sentì che gli altri lo stavano guardando.

Tutto era come era stato prima.

Tranne che…

Cera una margherita là dove prima una macchia di grandi fiori scarlatti aveva mandato il suo profumo dolce nell’aria. Accanto a lui il vento gentile cullava un fiorrancio che non c’era stato quando Jenkins aveva chiuso gli occhi.

«È tutto qui?» domandò la ragazza che aveva riso felice, all’inizio del gioco, chiaramente delusa.

«È tutto qui,» disse Jenkins.

«Ora possiamo provare l’arco e le frecce?» domandò uno dei ragazzi.

«Sì,» disse Jenkins. «Ma dovete stare attenti. Non tiratevi le frecce contro. Le frecce sono pericolose. Peter vi mostrerà come dovete fare.»

«Possiamo aprire i cestini della colazione,» disse una delle donne «Tu hai portato un cestino, Jenkins?»

«Sì,» disse Jenkins. «Ce l’ha Esther. L’ha tenuto lei, quando abbiamo fatto il gioco.»

«Che meraviglia,» disse la donna. «Tutti gli anni tu ci fai una sorpresa, con le cose che porti.»

E quest’anno sarà una vera sorpresa, si disse Jenkins. Sarà una vera sorpresa trovare i pacchetti di sementi, tutti accuratamente catalogati ed etichettati.

Perché noi avremo bisogno di semi, pensò. Semi, per piantare nuovi giardini e seminare nuovi campi… per coltivare il nostro cibo. E avremo bisogno degli archi e delle frecce per ottenere della carne. E avremo bisogno di arpioni e di ami e di lenze per pescare.

Adesso cominciava a distinguere tante altre piccole differenze. Il modo in cui un albero si chinava ai margini del prato. E una nuova ansa del fiume, in basso, lontano.

Jenkins restò seduto in silenzio al sole, ascoltando le grida dei ragazzi e degli uomini che provavano gli archi e le frecce, ascoltando l’allegro chiacchiericcio delle donne che stendevano le tovaglie e aprivano i cestini della colazione.

Dovrò dirglielo presto, si disse. Dovrò avvertirli di non sprecare il cibo… di non mangiarlo tutto in una sola volta. Perché avremo bisogno di quel cibo per resistere un giorno o due, per superare il primo momento, finché non avremo trovato radici da scavare e pesci da pescare e frutta da raccogliere.

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