Литмир - Электронная Библиотека

Anche gli altri cinque avevano provato quelle sensazioni, avevano conosciuto gli stessi presentimenti. Anche gli altri cinque avevano sentito il desiderio di andare a vedere, avevano saputo, con la forza di un richiamo al quale non si poteva resistere, che là, oltre l’orizzonte, oltre la pianura, tra le nubi scintillanti, là dove spirava il vento, li attendeva una vita colma di appagamento e di saggezza.

Era questo il motivo per cui non erano più ritornati. E ora anche lui lo sapeva.

«Io non voglio tornare indietro,» disse Towser.

«Ma non possiamo tradirli così,» disse Fowler. «Non possiamo abbandonarli.»

Fowler fece un passo, e il suo nuovo corpo avanzò guizzando agile e veloce, e poi un altro passo, in direzione della cupola lontana e minuscola come una bollicina estranea al paesaggio stupendo del pianeta; ma poi si fermò.

Tornare in quella cupola. Tornare in quel corpo sofferente, appesantito dalla fatica e da cento veleni, che aveva lasciato da poco. Prima gli era sembrato un buon corpo, un corpo sano, e non gli era parso né sofferente né pieno di veleni né stanco, ma adesso sapeva, adesso ricordava la sofferenza e la stanchezza e il dolore.

Tornare in quel cervello nebuloso, pigro, lento. Ritornare a quei pensieri faticosi e lenti, appesantiti dal fango della sua mente limitata. Ritornare a quei messaggi sventolati da bocche che formavano segnali comprensibili agli altri. Ritornare a quegli occhi che ora gli sembravano peggiori della cecità completa. Ritornare allo squallore, allo strisciare da vermi, all’ignoranza.

«Forse, un giorno…» disse tra sé, mormorando parole alle quali non credeva.

«Abbiamo molte cose da fare e molte cose da vedere,» gli disse Towser. «E abbiamo moltissime cose da imparare. Scopriremo e troveremo…»

Sì, avrebbero scoperto e avrebbero trovato. E cosa avrebbero scoperto, e cosa avrebbero trovato? Delle civiltà nuove, forse. Delle civiltà che avrebbero fatto apparire risibile e patetica e miserabile quella degli uomini, in confronto.

La bellezza, certo. Avrebbero trovato la bellezza. E una cosa ancora più importante, la comprensione di quella bellezza, la capacità di vederla e di riconoscerla per quello che era.

E il senso del cameratismo. Avrebbero conosciuto il vero cameratismo, la vera fratellanza, la vera amicizia. Sarebbero stati compagni come nessuno lo era mai stato prima… sarebbero stati veri compagni, come nessun uomo e nessun cane lo erano mai stati prima d’allora.

E poi, la vita. Avrebbero ritrovato la vita. Avrebbero scoperto la gioia di vivere, il brivido veloce e l’eccitazione scintillante della vita, dopo un’esistenza che ora pareva spenta, trascorsa nella prigionia soporifera di una droga.

«Io non posso tornare,» disse Towser.

«Nemmeno io,» disse Fowler.

«Mi farebbero tornare a essere un cane,» disse Towser.

«E a me,» disse Fowler, «A essere un uomo.»

ANNOTAZIONI SUL QUINTO RACCONTO

Mano a mano che la leggenda si sviluppa, il lettore ricava un quadro sempre più accurato della razza umana. Gradualmente si acquista la convinzione che la razza non possa essere molto più di una semplice fantasia. Infatti non si tratta del tipo di razza che può progredire, da umilissime origini, fino a raggiungere l’altissimo livello di civiltà che le è attribuito in questi racconti. Come il lettore avrà notato, alla razza umana così come viene descritta nella leggenda difettano grandemente i requisiti fondamentali per raggiungere certi livelli.

A questo punto la sua mancanza di stabilità è già emersa con estrema chiarezza. Il fatto che essa si preoccupi più di una civiltà meccanica che di una civiltà basata su concezioni di vita più solide e più valide indica una mancanza fondamentale di carattere.

E ora, in questo racconto, noi scopriamo quanto fossero limitati i mezzi di comunicazione posseduti dal genere umano, situazione questa che certamente non favorisce il progresso. L’incapacità che l’Uomo rivela di comprendere e apprezzare il pensiero e il punto di vista di un suo simile sarebbe, nella realtà, un blocco assoluto che nessun sussidio meccanico e artificiale potrebbe contribuire a superare.

Che l’Uomo stesso si fosse reso conto dell’esistenza di questo blocco è dimostrato, nel racconto, dalla sua ansia di ottenere la filosofia juwainiana, ma bisogna osservare come egli non cercasse di acquisire questo prezioso strumento per ottenere la possibilità di comprendere i suoi simili, ma per ottenere il potere e la gloria e la conoscenza che quella filosofia avrebbe reso possibile ottenere. La filosofia viene considerata dall’Uomo come ’qualcosa che avrebbe permesso alla razza di progredire di centomila anni nello spazio di due brevi generazioni’.

In tutta la leggenda appare evidente che l’Uomo stava conducendo una corsa, se non contro se stesso, per lo meno contro qualche immaginario inseguitore che gli era vicinissimo, alle spalle, e gli faceva sentire il suo respiro sul dorso. L’uomo era impegnato in una corsa pazza verso il potere e la conoscenza, ma è inutile cercare anche un solo accenno a quanto intendesse fare di quel potere e di quella conoscenza, una volta che li avesse raggiunti; in tutta la leggenda non sarà possibile trovare neppure un indizio, in questo senso.

L’Uomo, secondo la leggenda, era uscito dalle caverne un milione di anni prima dell’epoca nella quale si svolge questo racconto. Eppure era riuscito a eliminare l’uccisione dei propri simili dal suo sistema di vita, dopo che questa ne era stata una componente fondamentale, solo cento anni prima dell’epoca della storia. E questa è la vera, incontestabile misura della sua barbarie: dopo un milione di anni è riuscito a liberarsi del vizio di uccidere, e considera questo risultato un grande trionfo!

Moltissimi lettori, dopo la lettura di questo racconto, troveranno facile accettare la teoria di Vagabondo, secondo cui l’Uomo è stato costruito deliberatamente per rappresentare l’antitesi di tutto ciò che il Cane è e rappresenta, una specie di mitico fantoccio ammonitore, protagonista di una parabola sociologica.

Questa teoria sembra suffragata dai continui riferimenti all’impotenza umana, al modo che l’Uomo ha di correre senza riposo e senza méta, ai suoi perpetui tentativi di afferrare un sistema di vita che continuamente gli sfugge; e tutto questo è dovuto, probabilmente, al fatto che l’Uomo non sa mai esattamente quello che vuole.

V

PARADISO

La cupola era una forma tozza e aliena che non aveva posto là, sotto il cielo baluginante di nebbia purpurea di Giove, era una costruzione rannicchiata e spaventata che pareva farsi piccola e confondersi di fronte all’immensità del pianeta.

La creatura che era stata Kent Fowler stava diritta sulle sue zampe enormi e massicce.

Una cosa aliena, pensò. La considero una cosa aliena. Ecco fino a qual punto mi sono allontanato dalla razza umana. Perché non è aliena, non è per niente aliena. No, non è aliena, per me. È il luogo dove ho fatto i miei piani e ho pensato al futuro e ho cercato risposte e ho formulato domande. È il luogo che io ho lasciato… con paura. Ed è il luogo al quale io torno… come un animale braccato, e pieno di paura.

Come un animale braccato, braccato dal ricordo della gente che era con me prima che io diventassi la ’cosa’ che sono ora, prima che io conoscessi ciò che è possibile raggiungere quando non si è un essere umano… prima che io scoprissi la pienezza di vita e di sensazioni e di piacere che non sono e non saranno mai per gli uomini, se gli uomini non rinunceranno a essere uomini.

Towser si agitò, inquieto, accanto a lui, e Fowler avvertì l’amicizia calda e piena della creatura che un tempo era stata un cane, l’amicizia e il cameratismo e l’amore che forse erano esistiti sempre, ma che non erano mai stati espressi, non erano mai stati conosciuti appieno fino a quando loro erano stati un uomo e un cane.

35
{"b":"121856","o":1}