«Sì, forse, anche se non credo che i dispositivi sensori della Voce comprendessero anche dei sensori visivi. Cioè, non mi pare che ne dovesse avere bisogno. Possedeva dei sensi diversi, cose che gli esseri umani non hanno. Ma non è questo il punto. La Voce era un supercomputer, fatto per manovrare miliardi di bit contemporaneamente. Bretan non potrebbe fare altrettanto. Nessun essere umano lo potrebbe. Tra l’altro gli input non sono stati fatti per avere un senso per lui, o per te e per me. Hanno senso solo per la Voce. Anche se Bretan si trovasse in un punto in cui potesse aver accesso a tutti i dati che otteneva la voce, per lui non sarebbero altro che delle cose senza senso, oppure il flusso di arrivo sarebbe tanto veloce da risultare in pratica intraducibile. Può darsi che un cibernetista pratico riuscirebbe a ricavarci qualcosa, benché ne dubito molto. Comunque non Bretan. No, a meno che lui conosca un qualche segreto che noi non sappiamo».
«Ha ben saputo come fare a trovarci», disse Dirk. «E sapeva anche dove si trovava il cervello di Sfida e sapeva come mandarlo in cortocircuito».
«Non so come abbia fatto a trovarci», rispose Gwen, «ma non ci voleva molto per arrivare alla Voce. Il sottolivello più basso, Dirk! Si è solo buttato ad indovinare, non poteva fare diversamente. I Kavalari costruiscono le loro granleghe in profondità nella roccia ed il livello più profondo è sempre il più sicuro, questo è certo. È lì che mettono le donne, loro. Ed è lì che sistemano tutti gli altri tesori della granlega».
Dirk rimase a pensare. «Aspetta un po’. Dici che lui non può sapere esattamente dove siamo? Altrimenti, perché vorrebbe farci andare di sotto, perché minacciare di darci la caccia?».
Gwen annuì.
«Comunque, se si trova in un centro di elaborazione», continuò Dirk, «dobbiamo stare attenti. Potrebbe essere anche in grado di trovarci».
«Alcuni calcolatori potrebbero ancora funzionare», disse Gwen, guardando il pallido globo azzurro distante pochi metri da loro. «La città è ancora viva, più o meno».
«Potrebbe chiedere alla Voce dove siamo? Ammesso che la rimetta in funzione?».
«Forse, ma glielo direbbe? Io penso di no. Noi siamo residenti legali, disarmati e lui è un intruso pericoloso che ha violato tutte le norme di di-Emerel».
«Lui? Vuoi dire loro. Chell è con lui. E forse ci sono anche degli altri».
«Be’, allora diciamo una banda di intrusi».
«Ma non potranno essere più di… quanti? Venti? Meno? Come possono sopraffare una città come questa?».
«Di-Emerel è un mondo singolarmente privo di violenza, Dirk. E questo è un mondo costruito per un festival. Dubito che Sfida sia fornita di sistemi di difesa. I controllori…».
Dirk si guardò attorno immediatamente. «Sì, i controllori. La Voce ne ha parlato. Ha detto che ne mandava uno per noi». Quasi si aspettava di vedere qualcosa di grande e minaccioso che spuntava da un incrocio di corridoi, come capita a teatro. Ma non c’era niente. Ombre, globi di cobalto ed azzurro silenzio.
«Non possiamo restarcene qui», disse Gwen. Aveva smesso di mormorare. Ed anche lui. Entrambi avevano capito che se Bretan Braith ed i suoi amici potevano sentire le loro parole, allora avrebbero potuto localizzarli in una dozzina di altre maniere. Se era così, il loro era un caso senza speranza. Parlar piano era un gesto inutile. «La macchina è solo a due livelli di distanza», disse lei.
«Anche i Braith possono essere a due livelli di distanza», rispose Dirk. «E anche se non ci sono, dobbiamo evitare di andare all’aerauto. Devono sapere che ne avevamo una e forse aspettano proprio che noi corriamo a prenderla. Forse è proprio per questo che Breton ha fatto il suo discorsetto, per farci volar via, dove risulteremmo una preda più facile. Probabilmente i suoi confratelli di granlega sono là fuori che aspettano di abbatterci con i laser». Fece una pausa, pensando. «Ma non possiamo restarcene qui, comunque».
«E nemmeno star vicini al nostro appartamento», disse lei. «La Voce sapeva dove eravamo e Bretan Braith potrebbe essere in grado di scoprirlo. Ma dobbiamo rimanere nella città; hai ragione».
«Nascondiamoci, allora», disse Dirk. «Dove?».
Gwen si strinse nelle spalle. «Qui, là, in qualsiasi posto. È una città grande, come ha anche detto Bretan Braith».
Gwen si chinò rapidamente e aprì la sua valigia, scartando tutti gli abiti ingombranti, ma conservando le sue provviste d’emergenza ed il pacco di sensori. Dirk indossò il pesante mantello che gli aveva dato Ruark ed abbandonò tutto il resto. Si avviarono verso la discesa esterna; Gwen era ansiosa di allontanarsi il più possibile dal loro appartamento e nessuno dei due voleva arrischiarsi ad usare gli ascensori.
Nel largo viale le luci erano ancora completamente accese ed i marciapiedi ronzavano leggermente; la strada a cavatappi doveva avere un rifornimento di energia indipendente. «Su o giù?», chiese Dirk.
Gwen non parve udirlo; stava ascoltando qualcos’altro. «Zitto», disse lei. La bocca ebbe un guizzo.
Al di sopra del ronzio costante dei marciapiedi, anche Dirk riuscì a sentire un altro rumore, debole, ma inconfondibile.
Un ululato.
«Veniva dal corridoio dietro di loro, Dirk ne era assolutamente sicuro. Usciva come un gelido fiato dalla calda quiete azzurra e pareva rimaner sospeso nell’aria più a lungo di quel che avrebbe dovuto. Deboli grida in lontananza, seguite da vicino dal rumore di tacchi.
Ci fu un breve silenzio. Gwen e Dirk si guardarono e rimasero immobili ad ascoltare. L’ululato si sentì di nuovo, più distinto, ed echeggiò un po’, questa volta. Fu un urlo di terrore furioso, lungo e acuto.
«I cani dei Braith», disse Gwen, con una voce che era molto più ferma di quanto ci si sarebbe aspettati.
Dirk ricordò la bestia che aveva incontrato quando camminava per le strade di Larteyn… Il cane dalle dimensioni di un cavallo che aveva ringhiato quando lui si era avvicinato, la creatura con la faccia da topo, senza peli e gli occhietti rossi. Guardò lungo il corridoio dietro di sé con una certa apprensione, ma non si muoveva niente nelle ombre di cobalto.
I rumori si facevano più forti, più vicini.
«Giù», disse Gwen. «Ed in fretta».
Dirk non aveva nessun bisogno di essere persuaso. Si affrettarono verso la parte mediana della strada, dall’altra parte del viale silenzioso e salirono sul primo marciapiede discendente che era il più lento. Poi cominciarono a spostarsi, saltando da un nastro all’altro, fino a che si trovarono sul marciapiede più veloce. Gwen tirò fuori le sue provviste d’emergenza ed apri il pacchetto, rovistando, mentre Dirk stava in piedi accanto a lei, con una mano sulla spalla e controllava il numero dei livelli che passavano velocemente, nere sentinelle poste di fronte agli abissi crepuscolari che conducevano all’interno di Sfida. I numeri scintillavano ad intervalli regolari, facendosi sempre più piccoli.
Avevano appena superato il quattrocentonovantesimo, quando Gwen si alzò, con in mano una sbarra di metallo blu-nero lunga un palmo. «Togliti i vestiti», disse lei.
«Che?».
«Togliti i vestiti», ripeté. Dirk si limitò a guardarla, lei scosse il capo impaziente e batté con la punta della barretta il torace di lui. «Annulla-scia», gli disse. «Arkin ed io lo usiamo nella foresta. Spruzzati dappertutto prima di andare avanti. Il liquido annulla l’odore del corpo per circa quattro ore ed è sperabile che faccia perdere le tracce ai cani».
Dirk annuì e cominciò a spogliarsi. Quando fu nudo, Gwen gli disse di stare con le gambe aperte e le braccia sollevate sulla testa. Lei toccò un’estremità della barra metallica e dall’altra parte uscì una sottile nebbia grigia, che faceva leggermente prudere la pelle. Dirk si sentiva infreddolito e sciocco ed anche molto vulnerabile, mentre lei lo passava davanti e dietro e dalla testa ai piedi. Poi Gwen si inginocchiò e gli spruzzò anche i vestiti, dentro e fuori, tutto tranne il pesante mantello che gli aveva dato Arkin che lei mise attentamente da parte. Quando ebbe finito, Dirk si vesti di nuovo — gli abiti erano secchi e polverosi per via della polvere cinerea — intanto Gwen si spogliò a sua volta e si fece spruzzare.