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Dirk si ricordò della sicurezza che aveva provato quando si trovava sulla terrazza; si era sentito assolutamente sicuro che nessuno dei due Braith rappresentasse un vero pericolo. Lui li capiva; si sentiva addirittura dispiaciuto per loro. Adesso cominciava a dolersi per se stesso. «È vero quel che dice?», chiese a Vikary.

«Garse scherza ed esagera», disse Vikary, «comunque sei in pericolo. Indubbiamente Bretan cercherà di ucciderti, se gliene dai la possibilità. Il che non deve succedere. Le regole per il tuo duello e per le tue armi sono molto semplici. L’arbitro traccerà un quadrato con il gesso sulla strada, cinque metri per cinque e tu e il tuo nemico partirete da angoli opposti. Quando lo dirà l’arbitro, ognuno di voi avanzerà con la spada verso il centro. Quando arriverete a contatto, combatterete. Per seguire le regole dell’onore, tu dovrai accusare un colpo e darne uno. Ti consiglio di mirare ai piedi o alle gambe, perché questo indicherà chiaramente che tu non intendi fare un duello mortale. Poi, dopo che hai parato il suo primo colpo — devi cercare di defletterlo con la spada, se ci riesci — allora puoi camminare verso il perimetro del quadrato. Non correre. Non c’è onore nel correre; in questo caso l’arbitro non esiterà a decretare una vittoria mortale per Bretan e allora i Braith ti uccideranno. Devi camminare, con calma. Se arrivi fino alla linea perimetrale e passi dall’altra parte, allora sei salvo».

«Per raggiungere la salvezza devi però arrivarci alla linea perimetrale», disse Janacek. «Bretan ti ucciderà prima».

«Se io dò il mio colpo e ne ricevo uno, poi posso buttar via la spada e andarmene?», chiese Dirk.

«Se fai una cosa del genere Bretan ti ucciderà con chiara espressione perplessa sulla faccia, o ciò che ne rimane», disse Janacek.

«Io non farei una cosa del genere», gli consigliò Vikary.

«I suggerimenti di Jaan sono una follia», disse Janacek. Ritornò lentamente verso il divano, recuperò il bicchiere e si versò dell’altro vino. «Devi tenere la spada in mano e combatterlo. Sta attento, l’uomo è cieco da un occhio. Certamente da quella parte è vulnerabile! Hai visto come fa a muovere la testa in quel modo sgraziato?».

Il bicchiere di Dirk era vuoto. Lo sollevò e Janacek gli versò dell’altro vino. «E voi come duellerete con loro?», chiese Dirk.

«Le regole per il nostro duello e per le nostre armi sono diverse dalle tue», disse Vikary. «Ci metteremo tutti e quattro ai quattro angoli del quadrato, per metterci in salvo. E non potremo farlo almeno fino a che ogni persona all’interno del quadrato non ha tirato il suo colpo. Fatto questo, potremo scegliere. Quelli che rimangono in piedi, ammesso che ci sia qualcuno, possono continuare a sparare. Può essere un sistema innocuo, oppure mortale, a seconda della volontà di quelli che partecipano».

«Domani», promise Janacek, «sarà mortale». Bevve di nuovo.

«Spererei diversamente», disse Vikary con un vigoroso movimento del capo, «ma temo che tu abbia ragione. I Braith sono troppo pieni di rabbia verso di noi per sparare in aria».

«Proprio così», disse Janacek con un leggero sorriso. «Hanno preso l’insulto davvero male. Per lo meno, Chell Mani-Vuote non perdonerà».

«Ma voi non potete sparare per ferire?», suggerì Dirk. «Per disarmarlo?». Le parole gli vennero spontanee, ma gli parve strano sentirselo dire. La situazione era assolutamente al di fuori della sua esperienza, eppure la stava già accettando, si sentiva stranamente bene con i due Kavalari, con il loro vino ed il loro tranquillo discorrere di morte e di mutilazioni. Forse voleva dire qualcosa essere diventato un kethi; forse era per questo che svaniva l’insicurezza. Dirk sapeva soltanto che si sentiva in pace e a casa.

Vikary pareva turbato. «Ferirli? Lo vorrei anch’io, ma non si può. I cacciatori adesso ci temono. Risparmiano i korariel di Ferrogiada perché hanno paura di noi. Noi salviamo delle vite umane. Ma questo non sarebbe più possibile se domani fossimo troppo indulgenti con i Braith. Gli altri non rinuncerebbero troppo facilmente a cacciare se pensassero che il massimo che rischierebbero fosse una feritina. No, purtroppo penso che dovremo uccidere Chell e Bretan se ci sarà possibile».

«Ci sarà possibile», disse Janacek fiducioso. «E poi, amico t’Larien, non è né facile, né saggio ferire un nemico in duello, anche se ti può parere strano. Disarmarlo noi, be’, ci prendi in giro. È una cosa virtualmente impossibile. Si combatte con laser da duello, amico, non con armi da guerra. Sono armi che sparano impulsi di mezzo secondo ed hanno bisogno di un intero ciclo di quindici secondi per ricaricarsi. Capisci? Un uomo che spara affrettatamente, o mira a bersagli inutilmente difficili, uno che spari per disarmare… è un uomo morto. Si può sbagliare anche a cinque metri e il tuo nemico ti farà secco prima che il tuo laser sia pronto per il secondo colpo».

«È una cosa impossibile?», disse Dirk.

«C’è un sacco di gente che rimane solo ferita in duello», gli disse Vikary. «Per la verità più di quelli che restano uccisi. Comunque, nella maggior parte dei casi, questo non era il risultato desiderato. A volte sì. Quando un uomo spara in aria ed il suo nemico decide di punirlo, allora è il caso che vengano inflitte terribili cicatrici. Ma questo non succede spesso».

«Potremmo ferire Chell», disse Janacek. «È vecchio e lento, non riuscirà a raggiungere la sua arma velocemente con la mano. Ma Bretan Braith è un altro paio di maniche. Si dice che abbia già ucciso più di mezza dozzina di persone».

«A quello ci penso io», disse Vikary. «Tu vedi di fare attenzione che il laser di Chell non spari, Garse, sarà sufficiente questo».

«Forse». Janacek guardò Dirk. «Se riuscissi a tagliuzzare un pochino Bretan, t’Larien, al braccio o sulla mano, o sulla spalla… dagli solo un taglio, che gli faccia male, che lo rallenti un po’. La cosa sarebbe ben diversa». Ghignò.

Anche se non lo voleva, Dirk scoprì che gli stava restituendo il sorriso. «Ci posso provare», disse, «ma ricordati, io so maledettamente poco di duelli e ancor meno delle spade e la mia prima preoccupazione sarà quella di restare vivo».

«Non vaneggiare l’impossibile», disse Janacek, sempre sorridendo. «Cerca solo di fare il più gran danno ppssibile».

Si apri la porta. Dirk si voltò ed alzò gli occhi. Janacek si azzittì. Sulla porta era apparsa Gwen Delvano, con il viso e gli abiti striati di polvere. Fissò incerta una faccia dopo l’altra, poi entrò lentamente nella stanza. Aveva un pacco di sensori sulla spalla. Arkin Ruark la seguiva, portando due pesanti casse di strumenti sotto le braccia. Era sudato ed ansante, indossava pesanti braghe verdi, un giubbotto ed un cappuccio e sembrava assai meno frivolo del solito.

Gwen abbassò lentamente il pacco di sensori a terra, ma lo tenne stretto per la cinghia. «Danni?», disse. «Di cosa parlate? Chi è che deve fare dei danni e a chi?».

«Gwen», cominciò Dirk.

«No», lo interruppe Janacek. Stava in piedi assai rigido. «Il Kimdissi se ne deve andare».

Ruark si guardò attorno, con la faccia bianca, perplesso. Tirò indietro il cappuccio e cominciò ad asciugarsi la fronte sotto i capelli biondi e bianchi. «Che immane sciocchezza, Garsey», disse. «Che cos’è un grande segreto Kavalar, eh? Una guerra, una caccia, un duello, una qualche violenza, sì? Ah, non mi piace indagare su queste cose, no, non fanno per me. Allora vi lascio soli, sì, statemi bene». Si voltò e si avviò verso la porta.

«Ruark», disse Jaan Vikary. «Aspetta».

Il Kimdissi si fermò.

Vikary si mise di fronte al suo teyn. «Bisogna dirlo anche a lui. Se fallissimo…».

«Non falliremo!».

«Se fallissimo, hanno promesso di cacciare anche loro. Garse, è coinvolto anche il Kimdissi. Bisogna dirglielo».

«Tu sai ciò che capiterà. Su Tober, su Lupania, su Eshellin, attraverso tutto il Margine. Lui e quelli della sua razza spargeranno bugie e tutti i Kavalari saranno dei Braith. È così che lavorano i maneggioni, i falsuomini». La voce di Janacek non aveva l’umorismo selvaggio con cui aveva punzecchiato Dirk; era una voce fredda e seria adesso.

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