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Aggrottò le sopracciglia, staccò i contatti e rimase seduto a pensare. Aveva trovato il mezzo di trasporto che stava cercando, ammesso che avesse avuto il coraggio di prenderlo. Ma non poteva ingannare se stesso; questa macchina non era un relitto come le altre che aveva scoperto. Era in condizioni troppo buone. Indubbiamente apparteneva ad uno degli altri Kavalari rimasti a Larteyn. Se i colori avevano un senso — Dirk non ne era sicuro — allora probabilmente apparteneva a Lorimaar o a uno degli altri Braith. Prendere quella macchina non era certo la cosa migliore che potesse fare, no di certo.

Dirk si rese conto del pericolo e ci pensò bene. Stare ad aspettare non gli piaceva affatto, ma non gli piaceva nemmeno immischiarsi in cose pericolose. Jaan Vikary o non Jaan Vikary, il furto di un’aerauto avrebbe sicuramente scatenato i Braith.

Riluttante, aprì il tettuccio ed uscì, ma non era ancora fuori che sentì le voci. Abbassò il tettuccio della macchina che si chiuse con un debole ma percettibile click. Dirk si accucciò cercando la salvezza nell’ombra a pochi metri dalla macchina lupo.

Riusciva a sentire i Kavalari che parlavano e il rumoroso battere dei loro piedi echeggianti, parecchio tempo prima di vederli. Erano solo due, ma parevano dieci dal rumore. Nel momento in cui giunsero alla luce presso l’auto, Dirk si era appiattito in una nicchia posta nella parete del garage, una piccola cavità piena di ganci dove un tempo dovevano essere stati appesi gli attrezzi. Non era certo che fosse opportuno nascondersi, ma adesso era lieto di aver scelto questa via. Le cose che Gwen e Jaan gli avevano detto sugli altri abitanti di Larteyn non lo avevano certo rassicurato.

«Sei ben certo di questo, Bretan?», stava dicendo uno dei due, quello più alto, quando Dirk li vide. Non era Lorimaar, ma la sua somiglianza era impressionante; costui aveva la stessa altezza imponente, lo stesso colorito e la faccia rugosa. Ma era un po’ più grasso di Lorimaar alto-Braith ed aveva i capelli bianchissimi, mentre l’altro li aveva soprattutto grigi, inoltre aveva dei piccoli baffi a spazzolino. Sia lui che il suo compagno, indossavano corte giubbe bianche su braghe e camicia di tessuto camaleontino che era diventato quasi nero nelle tenebre del garage. Entrambi portavano armi a laser.

«Roseph non ci frega», disse il secondo Kavalar con una voce gracchiante simile a cartavetrata. Era molto più piccolo dell’altro, più o meno dell’altezza di Dirk, ed anche più giovane, molto magro. Aveva la giubba con le maniche corte che mettevano allo scoperto le potenti braccia scure e uno spesso braccialetto di ferro-e-pietraluce. Muovendosi verso l’aerauto, fu in piena luce per un istante e parve fissare nel buio direttamente dove era nascosto Dirk. Aveva solo mezza faccia; tutto il resto era un’immane cicatrice piena di tic. Il suo "occhio" sinistro si muoveva senza posa quando voltava la testa e Dirk vi scorse le fiamme rivelatrici: una pietraluce incastonata in un’orbita vuota.

«Com’è che l’hai saputo?», disse l’uomo più vecchio mentre i due si soffermavano brevemente a lato della macchina lupo. «Roseph va matto per le fregature».

«A me non piacciono le fregature», disse l’altro, quello che si chiamava Bretan. «Roseph potrà fregare te, o Lorimaar, perfino Pyr, ma non oserà fregare me». Aveva una voce orribilmente spiacevole; c’era una crudezza raschiante che offendeva l’orecchio, ma data la profondità delle cicatrici che arrivavano fino al collo, Dirk trovò sorprendente che l’uomo riuscisse a parlare.

Il Kavalar più alto cercò di aprire la testa del lupo, ma il tettuccio non si sollevò. «Bene, se questo è vero, dobbiamo fare in fretta», disse querulo. «La chiave, Bretan, la chiave!».

Bretan dall’unico occhio fece uno strano rumore, qualcosa che era a metà tra un grugnito e un gorgoglìo. Tentò anche lui di aprire il tettuccio. «Mio caro teyn», gracchiò. «Avevo lasciato la testa appena accostata… io… non ci è voluto più di un istante per salire e per trovarti».

Nel buio Dirk si premette ancora di più contro la parete ed i ganci gli premevano dolorosamente la schiena tra le scapole. Bretan aggrottò la fronte e si inginocchiò, mentre il suo compagno più anziano era in piedi e guardava perplesso.

Poi improvvisamente il Braith si alzò di nuovo con la pistola a laser stretta nella mano destra, puntata in direzione di Dirk. L’occhio di pietraluce fiammeggiò leggermente. «Esci fuori e facci vedere chi sei», annunciò. «Le tracce che hai lasciato nella polvere si vedono benissimo».

Dirk sollevò silenziosamente le mani al di sopra del capo e venne fuori.

«Un falsuomo!», disse il più alto dei Kavalari. «Quaggiù!».

«No», disse Dirk precipitosamente. «Dirk t’Larien».

Quello più alto lo ignorò. «Questa è una fortuna più unica che rara», disse al compagno con il laser. «Quegli uomini di gelatina di Roseph sarebbero comunque stati una preda da poco. Questo mi pare buono».

Il teyn giovane fece di nuovo quello strano rumore e la parte sinistra della sua faccia ebbe un tic. Ma la mano che teneva il laser era fermissima. «No», disse all’altro Braith. «Purtroppo non mi pare uno che possiamo cacciare. Costui non può essere altri che quel tale di cui parlava Lorimaar». Fece nuovamente scivolare la pistola a laser nella fondina e fece un cenno a Dirk, un movimento lentissimo e voluto, che era più un movimento di spalle che di testa. «Sei maledettamente grossolano. Il tettuccio si chiude automaticamente se lo si chiude tutto. Si può aprire dall’interno, ma…».

«L’ho capito adesso», disse Dirk. Abbassò le mani. «Stavo semplicemente cercando una macchina abbandonata. Mi serviva un mezzo di trasporto».

«Sicché tu volevi rubarci la macchina».

«No».

«Sì». Pareva che ogni parola costasse un tremendo sforzo al Kavalar. «Tu sei korariel di Ferrogiada?».

Dirk esitò, ma il suo no gli rimase in gola. Qualsiasi risposta lo avrebbe cacciato nei guai.

«Non hai niente da rispondere?», disse quello con la cicatrice.

«Bretan», lo avvertì l’altro. «Ciò che dice un falsuomo non ci interessa. Se Jaantony Ferrogiada lo ha nominato korariel, allora è così. Simili animali non possono dire che cosa sono. Qualsiasi cosa dica lui, la cosa non cambia, la realtà è quella che è. Sicché se noi lo uccidiamo, rubiamo una cosa di proprietà di Ferrogiada e quelli ci lancerebbero sicuramente la sfida».

«Ti invito a considerare le varie possibilità, Chell», disse Bretan. «Questo tale, questo Dirk t’Larien, può essere un falsuomo, o no, korariel di Ferrogiada, o no. Vero?».

«Vero. Ma non è un uomo vero. Ascolta, mio teyn. Tu sei giovane, ma io ho sentito parlare di queste cose da kethi che sono morti da molto tempo».

«Comunque pensaci un po’. Se lui è un falsuomo e Ferrogiada lo ha nominato korariel, allora è certamente un korariel, che lui lo ammetta o no. Ma è proprio così? Se è così, Chell, allora tu ed io dobbiamo combattere in duello con Ferrogiada. Costui stava cercando di rubare a noi, ti ricordi? Se è proprietà di Ferrogiada, allora costui è un ladro di Ferrogiada».

L’uomo grande con i capelli bianchi annuì, riluttante.

«Se si tratta di un falsuono, ma non è korariel, allora non ci sono problemi», continuò Bretan, «dato che può essere liberamente cacciato. E se fosse un vero uomo, umano come gli altolegati, e niente affatto un falsuomo?».

Chell era molto più lento del suo teyn. Il vecchio Kavalar corrugò la fronte pensoso e disse: «Bé, non è una femmina, quindi non può essere catturato. Ma se è un umano, deve avere i diritti di un uomo ed un nome da uomo».

«Vero», convenne Bretan. «Ma non potrebbe essere korariel, per cui il suo crimine è una cosa a cui solo lui dovrà rispondere. Io sfiderei lui a duello e non Jaantony alto-Ferrogiada». Il Braith emise ancora il suo strano grugnito-gemito.

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