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Dalla zona di atterraggio si avviarono lungo una galleria dove c’era una luce bianco-grigia che roteava e girava formando pallide forme sui muri a seconda del suono della sinfonia. Poi si arrampicarono su di un terrazzo che avevano visto mentre si avvicinavano.

All’esterno la musica li circondava da tutte le parti e li chiamava con una voce ultraterrena, li toccava, giocava con i loro capelli, rombava e faceva loro cenni d’intesa come un’onda appassionata. Dirk prese la mano di Gwen nella sua ed ascoltò fissando gli occhi ciechi oltre le torri e le cupole ed i canali, verso le foreste e le montagne ancora più in là. Il vento-musica pareva trascinarlo mentre se ne rimaneva là. Gli parlava piano, dicendogli di saltare, gli pareva… per far finire tutto, tutta quella stupida, indegna ed in definitiva insignificante futilità che lui chiamava vita.

Gwen glielo lesse negli occhi. Gli strinse la mano e quando lui la guardò lei disse: «Durante il festival, più di duecento persone hanno commesso suicidio a Kryne Lamiya. Dieci volte il numero di qualsiasi altra città. Malgrado il fatto che questa città aveva la popolazione più bassa di tutte».

Dirk annuì. «Sì, non mi è difficile capirlo. La musica».

«Un’elegia della morte», disse Gwen. «Eppure, sai, la Città Sirena non è affatto morta, non come Musquel o Dodicesimo Sogno. Questa vive ancora, testardamente, anche se solo per esaltare la disperazione e la vuotezza della stessa vita a cui si aggrappa. Strano, eh?».

«Ma perché hanno dovuto costruire un posto simile? È bellissimo, ma…».

«Io ho una teoria», disse Gwen. «I Cupoli sono dei nichilisti con un umorismo nero, Soprattutto, ed ho idea che Kryne Lamiya sia la loro battuta amara rivolta ad Alto Kavalaan, Lupania, Tober e gli altri mondi che hanno spinto per fare quel festival del Margine. I Cupoli sono venuti, certo, ma hanno costruito una città che sapesse dire come tutto fosse inutile. Tutto inutile… il festival, la civiltà degli uomini, la stessa vita. Pensaci! Che trappola per un tronfio turista che ci capita per caso!». Tirò indietro la testa e rise selvaggiamente e Dirk provò improvvisamente una breve fitta di paura, come se Gwen fosse improvvisamente impazzita.

«E tu volevi abitare qui?», disse.

La risata di Gwen si interruppe improvvisamente, come era incominciata; il vento si era portato via le risa. Lontano sulla loro destra una torre ad ago suonò una breve nota penetrante che vagò come il lamento di un animale ferito. La torre dove loro si trovavano rispose con un triste basso lamento simile ad una sirena da nebbia, lento, lentissimo. La musica mulinava attorno a loro. Più lontano, Dirk credette di poter sentire il battere di un unico tamburo, brevi rombi sordi, regolarmente spaziati.

«Sì», rispose Gwen. «Io volevo abitare qui». Il suono di sirena svanì; quattro spirali di giunchi al di là del canale, tenute assieme da ponti ripidissimi, cominciarono ad ululare senza sosta, ogni nota era più alta di quella che la precedeva, finché diventarono inudibili. Il tamburo continuava senza cambiare: boom, boom, boom.

Dirk sospirò. «Capisco», disse con voce stanchissima. «Anch’io avrei voluto vivere quaggiù, immagino, ma mi chiedo quanto tempo avrei potuto vivere se lo avessi deciso. Braque assomigliava un po’ a questo posto, lo ricordava vagamente, soprattutto di notte. Forse era proprio per questo che io vivevo là. Sono molto stanco, Gwen. Molto. Penso di essermi arreso. Nei vecchi tempi, tu lo sai, ero alla continua ricerca di qualcosa… amore, tesori incantati, i segreti dell’universo, qualsiasi cosa. Ma quando tu mi hai lasciato… Non lo so, ma tutto mi è sembrato sbagliato, tutto ha cominciato ad assumere un sapore acido. E se c’era qualche cosa che in effetti andava bene, be’, io mi accorgevo che quella era una cosa poco importante, una cosa che non cambiava niente. Ero circondato di vuoto. Ho cercato a lungo di venirne fuori, ma tutto ciò che facevo mi rendeva più stanco, più apatico e cinico. Forse è proprio per questo che sono venuto qui. Tu… be’, allora ero migliore, quando ero con te. Ma non mi sono mai completamente arreso. Pensavo che forse mi potevo ritrovare ancora, se ti avessi rivista. Ma non è andata come speravo. Non so più che cosa possa funzionare ancora».

«Ascolta Lamiya-Bailis», disse Gwen, «e la sua musica ti dirà che non c’è niente che funziona, che non c’è niente che abbia un senso. Sai, io volevo vivere quaggiù. Ho votato… be’, non avevo in mente di votare in quel modo, ma ne stavamo parlando proprio mentre atterravamo, così è venuto fuori. Mi spaventava. Può darsi che tu ed io siamo ancora molto simili, Dirk. Anch’io sono molto stanca. Il più delle volte non si vede. Ho il mìo lavoro che mi tiene occupata e poi c’è Arkin che mi è amico e Jaan che mi ama. Ma poi vengo qui… oppure semplicemente mi fermo un momento e penso un momento di troppo, allora mi faccio delle domande. Le cose che ho non sono sufficienti. Non sono le cose che volevo».

Lei si voltò verso Dirk e gli prese la mano nelle sue. «Sì, ho pensato a te. Ho pensato che tutto andava meglio quando tu ed io eravamo assieme su Avalon ed ho anche pensato che forse eri ancora tu quello che amavo e non Jaan ed ho pensato che forse potevamo ancora far tornare la vecchia magia e dare un senso a tutto. Ma non lo vedi? Non è così, Dirk, e tutto il tuo darti da fare non potrà cambiare la verità. Ascolta la città, ascolta Kryne Lamiya. Ecco la tua verità. Tu pensi a me ed io qualche volta penso a te, solo perché tra di noi tutto è morto. Questa è l’unica ragione per cui sembra migliore il nostro passato. Felicità ieri e felicità domani, ma oggi mai, Dirk. Non può succedere, perché dopo tutto non è altro che un’illusione e le illusioni sembrano reali solo se viste da lontano. È tutto passato, mio sognato amore perduto, passato e questa è la cosa migliore, perché è l’unica cosa che fa tutto così bello».

Piangeva; lacrime lente scendevano tremolando dalle sue guance. Kryne Lamiya piangeva assieme a lei, le torri urlavano il loro lamento. Ma beffeggiava lei pure, come se dicesse, sì, vedo la tua pena, ma la pena non ha più significato di tutte le altre cose, la pena è vuota come il piacere. Le spirali gemettero, le grate risero come se fossero pazze ed il tamburo lontano continuava il suo rombo basso: boom, boom, boom.

Di nuovo, questa volta più forte, Dirk sentì l’impulso di saltare dal balcone verso le pietre sbiadite ed i bui canali di sotto. Un precipitare vertiginoso e poi, alla fine, riposare. Ma la città gli cantava che era folle. Riposare?, cantava, non c’è riposo nella morte. Solo il nulla. Nulla. Nulla. Il tamburo, i venti, i lamenti. Tremò, stringendo sempre le mani di Gwen. Guardò giù, verso l’abisso.

C’era qualcosa che si muoveva nel canale. Traballava e galleggiava, galleggiava con facilità e veniva verso di lui. Era una barca nera, con un unico barcaiolo al palo. «No», disse lui.

Gwen sbatté gli occhi. «No?», ripeté lei.

Ed improvvisamente vennero le parole, quelle parole che quell’altro Dirk t’Larien avrebbe detto alla sua Jenny. Quelle parole erano nella sua bocca, anche se lui non era più sicuro di riuscire veramente a crederci. Eppure le stava dicendo: «No!», disse, e lo gridava soprattutto alla città, lanciando un grido di rabbia alla musica che li derideva, la musica di Kryne Lamiya. «Maledizione Gwen, ognuno di noi ha dentro qualcosa di questa città, sì. Bisogna però verificare dove lo troviamo questo qualcosa. Tutto ciò è terrificante», lasciò andare le mani e gesticolò nell’oscurità e le sue mani indicavano tutti i luoghi, «ciò che dice è terrificante e peggiore ancora è la paura che si prova quando una parte di noi si dice d’accordo, quando si pensa che sia tutto vero, che si appartenga ad un posto come questo. Ma che si può fare? Se si è deboli, bisogna ignorarla. Fare finta che non esista sai, e forse se ne andrà via. Durante il giorno vedi di impegnarti in discorsi comuni e non pensare mai al buio che c’è fuori. Ecco come puoi farti vincere, Gwen. Alla fine tutto ciò ti inghiottirà, te e i tuoi discorsi comuni, te e gli altri stupidi, continuate a mentirvi l’uno con l’altro, spensieratamente, e la paura non aspetta altro. Tu non puoi comportarti così, Gwen, tu non puoi. Devi sforzarti. Sei un’ecologa, giusto? Di cosa tratta l’ecologia? Della vita! Tu devi stare dalla parte della vita, perché tutto ciò che tu sei lo dice. Questa città, questa maledetta città scheletrica con il suo inno alla morte, nega tutte le cose in cui credi, nega tutto ciò che tu sei. Tu sei forte, puoi fronteggiarla, combatterla e chiamarla per nome. Sfidala».

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