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Appena uscirono, una voce bassa e profonda parlò loro venendo da nessun luogo particolare. «Benvenuti», disse. «Io sono la Voce di Sfida. Vi posso far da guida?».

Dirk guardò indietro da sopra la spalla e Gwen rise. «Il cervello della città», gli spiegò. «Un supercomputer. Te lo avevo detto che questa città è ancora viva».

«Posso farvi da guida?», ripeté la voce. Veniva dalle pareti.

«Può darsi», disse Dirk per provare. «Direi che abbiamo un po’ fame. Ci puoi dare da mangiare?».

La voce non rispose, ma un pannello sulla parete si spostò di parecchi metri e ne uscì un silenzioso veicolo pneumatico che si fermò presso di loro. Salirono su ed il veicolo si mosse attraverso un’altra parete che si apriva compiacente.

Correvano su morbidi pneumatici a pallone attraverso una successione di corridoi bianchi ed intatti, superarono innumerevoli porte numerate, mentre la musica suonava conciliante attorno a loro. Dirk fece una breve osservazione sullo stridente contrasto delle luci bianche con la debole luce del cielo serale di Worlorn ed immediatamente i corridoi divennero di un debole azzurro attenuato.

L’auto con le grosse ruote, li lasciò ad un ristorante ed un robocameriere che aveva una voce uguale a quella della Voce offrì loro il menù e la lista dei vini. Tutte e due le liste erano ampie, non limitate alla cucina di di-Emereli, o ai mondi esterni, ma comprendeva piatti famosi o vini di vendemmie pregiate provenienti da tutti i mondi sparsi della razza umana, compresi alcuni di cui Dirk non aveva mai sentito parlare. Ogni piatto aveva il suo nome originale stampato in caratteri piccoli sul menù. Guardarono la lista per un bel po’. Alla fine Dirk scelse drago di sabbia arrostito nel burro, proveniente dal Mondo di Jamison e Gwen ordinò caviale azzurro in formaggio, proveniente da Vecchio Poseidone.

Il vino che scelsero era bianco, liscio. Il robot lo portò ghiacciato, in un cubo di ghiaccio che ruppe davanti a loro. Il vino era ancora liquido e freddissimo. Questo, insistette la Voce, era il modo giusto di servirlo. La cena fu portata su piatti caldi fatti di osso e d’argento. Dirk staccò una gamba artigliata dalla sua portata, pelò le squame ed assaggiò la carne bianca e burrosa.

«È incredibile», disse, annuendo in direzione del piatto. «Sono stato per un certo tempo sul Mondo di Jamison ed i Jamisiani adoravano il loro drago di sabbia arrostito. Questo è buono proprio come quelli che ho assaggiato laggiù. Surgelato? Surgelato e poi portato qui? Diavolo, deve essere stata necessaria una flotta agli Emereli per trasportare tutto il cibo che doveva servire quaggiù».

«Non è surgelato», risposero. Non era Gwen, benché lei osservasse Dirk con un sorriso divertito. La Voce gli rispose: «Prima del festival la nave commerciale Piatto Azzurro Speciale ha visitato quanti più mondi ha potuto, raccogliendo e conservando dei campioni del loro cibo migliore. Il viaggio, programmato da lungo tempo, richiese quarantatré anni standard, sotto la guida di quattro capitani ed altrettanti equipaggi. Alla fine la nave arrivò su Worlorn e gli esemplari raccolti furono clonati e riclonati nelle cucine e nei bioserbatoi di Sfida per poter dare il cibo a molte persone. Così si ebbe la moltiplicazione dei pani e dei pesci, non fatta da un falso profeta, ma dagli scienziati di di-Emereli».

«Ha un tono fin troppo tronfio», disse Gwen con un risolino.

«Sembra un discorso già preparato», disse Dirk. Poi si strinse nelle spalle e continuò a mangiare, come pure Gwen. Mangiarono da soli fatta eccezione per il robocameriere e per la presenza della Voce. Erano in mezzo al grande ristorante fatto per contenere centinaia di persone. Tutto attorno a loro, vuoti ma immacolati, c’erano gli altri tavoli in attesa con le loro tovaglie rosso cupo e le posate d’argento scintillante. I clienti erano usciti dieci anni prima; ma la Voce e la città avevano pazienza infinita.

Più tardi, dopo il caffè (nero e spesso con panna e spezie, una miscela proveniente da Avalon di nostalgica memoria), Dirk si senti rilassato e turgido, forse nella forma migliore da quando era sceso su Worlorn. Jaan Vikary e la giada-e-argento — brillava cupa e splendida nella luce smorzata del ristorante, lavorata in maniera squisita eppure stranamente svuotata dal suo senso di minaccia e dal suo significato — non gli parevano più tanto importanti adesso che era di nuovo con Gwen. Era di fronte a lui, che beveva dalla sua tazza di porcellana cinese bianca e sorrideva con il suo sorriso di tanto tempo fa. Pareva così vicina, così simile a quella Jenny che lui aveva conosciuto ed una volta aveva amato, la signora della gemma mormorante.

«Bello», lui disse ed annuì, per indicare con un cenno tutto ciò che li circondava.

Ed anche Gwen annuì. «Bello», convenne lei, sorridendo, e Dirk sentì dolore per lei. Ginevra dai grandi occhi verdi e i neri capelli senza fine, per lei a cui aveva voluto bene, la sua perduta anima amica.

Dirk si piegò in avanti e fissò il fondo della sua tazza. Non c’erano presagi da trarre con i fondi del caffè. Lui doveva parlarle. «Questa sera è stato tutto bello», disse. «Come su Avalon».

Quando lei mormorò qualcosa con cui si dichiarava d’accordo, lui continuò. «Abbiamo lasciato qualcosa laggiù, Gwen?».

Lei lo guardò dappertutto e sorseggiò il caffè. «Non è una bella domanda, Dirk e tu lo sai. Si lascia sempre qualcosa. Se si trattava di qualcosa con cui incominciare. Se non lo era, be’, allora poco male. Ma se si trattava di qualcosa di autentico, un pezzo d’amore, una coppa di odio, di disperazione, risentimento, brama. Una cosa qualsiasi. Ma doveva essere qualcosa».

«Non lo so», disse Dirk t’Larien sospirando. I suoi occhi guardarono giù e più in basso. «Allora, forse, tu sei l’unica realtà che io ho avuto».

«Triste», disse lei.

«Sì», disse lui. «Immagino di sì». Alzò gli occhi. «Io ho lasciato un mucchio di cose, Gwen. Amore, odio, risentimenti, tutto questo. Come hai detto tu. Brama». Rise.

Lei sorrise appena. «Triste», disse di nuovo.

Lui non voleva lasciar cadere l’argomento. «E tu? Hai lasciato qualcosa, Gwen?».

«Sì. È inutile negarlo. Qualcosa. Ed è continuato a crescere sempre di più».

«Amore?».

«Sei pressante», disse lei gentilmente, abbassando la tazza. Il robocameriere al suo fianco gliela riempì di nuovo, di nuovo con panna e spezie. «Ti avevo chiesto di non farlo».

«Ma devo», disse lui. «È abbastanza difficile starti così vicino e parlare di Worlorn, o dei costumi dei Kavalari, o dei cacciatori. Io non voglio parlare di queste cose!».

«Lo so. Due vecchi amanti che stanno assieme e parlano. È una situazione comune, una tentazione comune. Tutti e due hanno paura e non sanno se devono provare a riaprire le vecchie porte e non sanno se quell’altro vuole risvegliare i pensieri sonnolenti di un tempo o se li voglia lasciare andare. Tutte le volte che penso a qualche cosa di Avalon e sto quasi per dirlo, mi chiedo: "chissà se lui vuole che ne parli, o forse sta pregando perché io non ne faccia cenno?"».

«Immagino che dipenda da ciò che tu stai per dire. Una volta ho cercato di far ricominciare tutto. Te ne ricordi? Subito dopo che te ne sei andata. Ti ho mandato la mia gemma mormorante. Tu non hai mai risposto, non sei mai venuta». La sua voce era piatta, con un sapore leggero di rimprovero e di dispiacere, ma non c’era rabbia. Aveva perduto la sua rabbia in qualche posto, da poco.

«Non hai mai pensato perché?», chiese Gwen. «Io ricevetti la gemma e piansi. In quel periodo ero ancora sola, non avevo ancora incontrato Jaan e desideravo ardentemente qualcuno. Sarei ritornata se tu mi avessi chiamata».

«Ma io ti ho chiamata. Tu non sei venuta».

Un sorriso cattivo. «Ah, Dirk. La gemma mormorante arrivò in una scatoletta con allegata un’annotazione. "Per piacere", diceva l’annotazione, "ritorna da me subito. Ho bisogno di te, Jenny". Ecco che cosa diceva. Ho pianto, ho pianto a lungo. Se tu avessi scritto "Gwen", se tu avessi amato soltanto Gwen, cioè me… Ma no, si trattava sempre di Jenny, anche dopo, anche adesso».

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