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Il compartimento stagno e lo stanzone che serviva da garage e da magazzino erano stati in origine una caverna naturale erosa nella parete del cratere. Le zone sottostanti adibite a lavoro e abitazione erano state ricavate mediante esplosioni e scavando la roccia a una profondità che garantiva un'assoluta protezione dalle radiazioni e dagli enormi sbalzi di temperatura nel corso della giornata lunare lunga 648 ore.

Sia gli psicologi sia gli ingegneri minerari avevano convenuto che gli alloggi dovevano essere qualcosa di più che non semplici dormitori. Così, nonostante il costo e la fatica, avevano scavato anche alcune sale comuni. Prima che il sole devastasse la Terra, la comunità lunare aveva insistito per ottenere una sala di ricreazione, completa di biliardo e di un tavolo da ping-pong più grande del normale per via della bassa gravità lunare; una biblioteca dotata di veri libri e visori collegabili con i microfilm delle biblioteche terrestri; e infine una piccola sala per le conferenze con un vero tavolo di legno.

Il Consiglio che s'era autonominato governo della comunità, scelse la sala delle conferenze per le sue riunioni. Nove caposezione presero posto intorno al tavolo di noce. Douglas sedette istintivamente a capotavola. Lisa stava alla sua destra, mentre Kobol scelse un posto qualunque a metà tavola.

Il primo argomento all'ordine del giorno era la nomina di un presidente provvisorio. Venne scelto all'unanimità Douglas.

In piedi a capotavola, con un sorriso fanciullesco, il neo-eletto disse: — Grazie. Apprezzo la fiducia che mi avete dimostrato, e mi rendo conto delle responsabilità dell'incarico. Ora credo che dovremo elaborare un ordine del giorno per questo comitato…

— Consiglio — lo corresse James Blair. — Questo è un consiglio di ministri, non un comitato.

— Consiglio — accettò Douglas con un'alzata di spalle. — Dobbiamo metterci d'accordo sul da farsi. Secondo me la cosa più importante è assicurare la sopravvivenza della nostra comunità. La seconda, strettamente collegata alla prima, è la necessità di ristabilire i collegamenti con la Terra…

— I collegamenti con la Terra? — chiese William Demain con la faccia infantile increspata da un'espressione perplessa. — Quale Terra? La Terra non esiste più.

— Non del tutto — corresse Douglas.

— Come capo dei sistemi di sussistenza — intervenne LaStrande, che aveva una voce da baritono nonostante l'aspetto mingherlino — ritengo che il compito più importante, anzi l'unico che importi realmente, sia quello che hai nominato per primo, Douglas. Noi dobbiamo fare tutto il possibile per avere la certezza di essere autosufficienti. Viveri, aria, acqua, energia elettrica… tutte cose che ci occorrono per sopravvivere. Dobbiamo essere certi di essere in grado di procurarceli con i nostri soli mezzi. Senza l'intervento della Terra. Non possiamo dipendere in tutto e per tutto dalla Terra. È assurdo il solo pensarlo.

Le sue parole furono accolte da un generale mormorio di consenso.

— Aspetta un momento — disse Douglas. — Io sono andato sulla Terra. Non è morta.

— No, è morta solo a metà — sussurrò LaStrande.

— Sulla Terra c'è gente che ha bisogno del nostro aiuto — continuo Douglas — e sulla Terra ci sono materiali di cui abbiamo bisogno: medicinali, pezzi di ricambio, apparecchiature.

— Non possiamo portare altra gente quassù! — esclamò con voce supplichevole Catherine Demain. — Non possiamo! Non abbiamo posto, né medicinali, né viveri bastanti. Sarebbe ingiusto per quelli che vivono già qui.

Discussero per un'ora buona, mentre Douglas se ne restava seduto, incapace di dominare la situazione, confuso e deluso. Kobol e Lisa non aprirono bocca, ed evitarono con cura di scambiare occhiate con gli altri, mentre continuava il dibattito.

— Dobbiamo essere in grado di provvedere alle nostre necessità — continuava a insistere LaStrande, sottolineando con enfasi ogni parola. — Non possiamo dipendere dalla Terra per nessuna cosa!

— Ma non possiamo disinteressarci dei superstiti — ribatté Douglas. — Hanno bisogno del nostro aiuto, e noi abbiamo bisogno di quello che ci possono fornire.

— No! Mai! La Terra non esiste più! Ignorala!

— Ma è inumano!

Quando l'orologio inserito nel muro sopra alla porta indicò che la discussione stava protraendosi da cinquantacinque minuti, Kobol finalmente districò dalla sedia la sua alta figura ossuta e si alzò per dire, guardando prima LaStrande e poi Douglas Morgan: — Avete ragione tutti e due. Dobbiamo fare in modo di essere autosufficienti, però sulla Terra ci sono cose che a noi mancano e che non ci possiamo procurare altrimenti. Quindi è necessario mandare qualcuno sulla Terra a prenderle.

Douglas, che era rimasto tutto il tempo in piedi, cadde a sedere. LaStrande sbirciò Kobol attraverso le lenti spesse, come un gufo.

— Dobbiamo organizzare una spedizione — proseguì Kobol. — Più di una, se è necessario, e andare sulla Terra a prendere quello che ci serve.

— E i superstiti? — chiese Douglas.

Scrollando le spalle, Kobol rispose: — Catherine ha ragione. Non abbiamo posto, viveri, medicine sufficienti. Molti di quelli che hai portato, Doug, sono troppo malandati per lavorare. Metà moriranno per avvelenamento da radiazioni. Portarne ui altri sarebbe solo uno spreco di tempo e di energie.

Douglas lo guardava, più addolorato che adirato, ma non replicò. Dopo essersi dato un'occhiata intorno, Kobol si sedette.

Fu Lisa a rompere il prolungato silenzio che seguì. — Abbiamo bisogno di un elenco di tutto ciò che occorre per ogni sezione. Catherine, controlla le scorte di medicinali e sappici dire cosa dobbiamo prelevare sulla Terra.

Catherine Demain annuì, e mormorò: — Ci servirebbe una fabbrica di prodotti farmaceutici.

— E anche gli altri compilino l'elenco — continuò Lisa — mettendo al primo posto gli articoli di maggiore necessità.

— Pensavo — disse LaStrande con voce meno stentorea ora che non stava più discutendo — che potremmo attenuare il surlavoro dell'impianto di aerazione facendo crescere più erba e altri vegetali quaggiù. Per esempio, non si potrebbe togliere la pavimentazione dei corridoi e seminare erba?

— Verrebbe calpestata, no? — ribatté Blair.

— Sulla Terra ne esistono specie molto resistenti — disse LaStrande. — Quelle che vengono fatte crescere nei prati dove giocano i bambini… — Ammiccò dietro le lenti spesse e trasse un profondo sospiro come se volesse ricacciare le lacrime. — Comunque, se trovassimo le qualità adatte o creassimo strisce di zolle erbose…

— Segnale sulla lista — disse Lisa.

Douglas si lasciò andare contro lo schienale della sedia. Non aprì bocca; il suo pensiero era rivolto alla Terra lontana. Lisa lo guardò, e capì che non aveva accettato la sconfitta. Stava semplicemente programmando la prossima mossa della battaglia.

— Chi guiderà la spedizione? — chiese Blair. — Qualcuno si offre volontario?

Tutti, istintivamente, guardarono Douglas.

— Certo — disse lui. — Ci penso io.

— No — lo contraddisse Lisa.

Bastò quest'unica sillaba a raggelare l'ambiente. Tutti s'immobilizzarono come se non riuscissero a muoversi né a parlare. Infine Douglas guardò sua moglie e le chiese: — Come sarebbe a dire?

Il bel viso di lei, incorniciato dai capelli neri, assunse l'espressione di una santa condotta al martirio. — Douglas ha già guidato una missione sulla Terra. Mio marito ha già corso abbastanza rischi, per ora. Non voglio rischiare un'altra volta di perderlo. Non è leale chiedergli di tornare sulla Terra.

Douglas fu lì lì per ribattere, ma si trattenne. Gli altri si scambiarono qualche occhiata.

— Ci andrò io — disse Kobol. — È una mia idea, quindi è giusto che io mi assuma questa responsabilità.

— Dovremmo stabilire dei turni — propose LaStrande — se vogliamo inviare più di una spedizione. Nessuno dovrebbe partire solo perché sono gli altri a spingerlo.

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