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L'idea di Will Russo che uccideva degli uomini mentre dormivano non quadrava con il giudizio che Alec si era fatto di lui. Tuttavia…

— D'accordo. Di' agli uomini di chiudersi nelle cabine e di aprire solo se li chiama qualcuno di noi.

Jameson tacque per qualche istante. Nella luce fievole e vacillante del fuoco lontano non era possibile leggere l'espressione del suo viso. Infine disse: — Va bene… però non mi va.

— Le cose potrebbero andare meglio — ammise Alec — ma anche peggio.

— Già.

— Metti qualcuno alla radio. Durante la notte sarà possibile comunicare col satellite.

— D'accordo.

Alec si avviò lentamente verso il fuoco. Vedeva i lunghi capelli di Angela brillare come oro alla luce.

Trovava affascinante il fuoco. Le fiamme, danzando, contorcendosi, guizzando creavano forme in continuo mutamento, forme che…

— Salve, hai già mangiato?

Alec si sottrasse alla visione ipnotica. — Cosa? — Vide che Angela lo stava guardando. — Mangiato? No, non ancora.

— Cos'hai? Stai bene?

— Benone. — Si accovacciò a terra vicino a lei. — Solo che non avevo mai visto un fuoco all'aperto… È… affascinante.

— Oh, certo, immagino.

Alec vide che da un treppiede pendeva sul fuoco un contenitore di metallo. Angela disse che era una pentola, ma Alec aveva l'impressione che un tempo fosse stato una latta di benzina.

— Prendi un po' di stufato e mettiti a tuo agio.

Alec si alzò e si chinò sulla pentola. Un'ondata di fragrante vapore gli salì alle nari. In un liquido scuro e ribollente salivano ogni tanto a galla dei pezzi di roba scura. Pensando alle iniezioni e alle pillole di cui l'avevano imbottito sulla stazione spaziale, Alec infilò il coltello nel liquido e ne trasse uno di quei pezzi. Lo tenne a distanza di braccio facendolo sgocciolare e infine tornò ad accovacciarsi accanto ad Angela.

— Non avere paura, non ti farà male — disse ridendo lei. — Da vivo era solo un coniglio.

— Un coniglio? — Era la prima volta che la sentiva ridere.

Angela confermò con un cenno, poi chiese: — Non hai niente che possa servirti da piatto? Nello stufato ci sono tante buone cose: carote, sedano e molte erbe aromatiche.

— Uhm… pare buono. Ho la gavetta sull'autoblindo. Prima voglio assaggiarlo… — Staccò un boccone con un morso. — Ahi! Non aveva mai mangiato niente di così caldo. — Tossendo, sentendosi soffocare, con la bocca che bruciava, riuscì finalmente a ingoiare il boccone.

Angela gli stava dando delle pacche sulla schiena con aria preoccupata. — Vuoi un po' d'acqua?

— Sì — gracchiò lui con gli occhi lacrimosi. — Ho la bocca piena di ustioni di secondo grado e un pezzo di coniglio morto di traverso nel gozzo, ma per il resto sto bene.

Gli uomini e le donne seduti intorno al fuoco, una dozzina in tutto, lo stavano guardando. Ma distolsero subito lo sguardo, e ripresero a chiacchierare tra loro. Alec riuscì a mandare giù qualche boccone senza altri guai, e Angela gli insegnò come dovesse soffiare sui bocconi per raffreddarli. Finì che trovò gustoso lo stufato, tanto da volerne ancora.

— Vado a prendere la gavetta — disse, alzandosi.

— Non occorre — gli disse Angela. — Qua, prendi il mio piatto. Prima te lo lavo, va bene? Così ti risparmi la strada.

Si chinò per prendere una borraccia posata accanto al fuoco e lavò piatto e cucchiaio di metallo. Alec intanto si chiedeva: Perché non vuole che vada alle autoblindo?

Quand'ebbe terminato di mangiare lavò lui stesso le stoviglie e le restituì ad Angela.

— Ti fa ancora male la bocca? — chiese lei sorridendo.

— Sopravviverò. — In realtà, col cibo caldo nello stomaco, si sentiva rinvigorito. Ma subito gli si affollarono alla mente tanti pensieri amari e dolorosi: il furto dei materiali fissili, l'attacco, la distruzione della navetta, l'isolamento in cui si trovavano lui e i suoi uomini, lontani centinaia di migliaia di chilometri da casa.

Chiuse gli occhi e trasse un lungo sospiro rabbrividendo. — Sara meglio che torni dai miei uomini — disse ad Angela, mentre una voce continuava a tormentargli la mente: Fallimento! Fallimento!

La ragazza si alzò e si avviò con lui. Alec notò che era disarmata, mentre lui aveva solo il coltello.

— Guarda! — disse Angela indicando la Luna che stava sorgendo al di sopra della cima frangiata degli alberi. Era quasi piena, luminosa, placida, bellissima.

Alec la fissò. In quel biancore non si distinguevano le luci della base.

— Com'è? — chiese Angela.

— Cosa?

— La vita sulla Luna.

— Non viviamo sulla Luna, ma dentro. Sotto la superficie. Lassù non si può camminare all'aperto come qui. Occorrono tuta pressurizzata e casco.

— Perché?

— Perché non c'è aria.

Lei spalancò tanto d'occhi, poi chiese: — Ma, senti, come si può vivere senza aria?

Si misero allora a sedere su un macigno per guardare la Luna che saliva nel cielo notturno, giocando ogni tanto a nascondersi dietro una nuvola argentea, e Alec le spiegò come si viveva sulla Luna. Angela lo ascoltava rapita, e non mancò molto che Alec si ritrovò a guardare lei invece della Luna. Com'era bella, illuminata dalla luce pallida!

— È la prima volta che qualcuno mi parla di queste cose — disse lei, eccitata. — Papà… cioè, tuo padre si rifiuta sempre di parlare della vita lassù.

Alec si sentì raggelare il cuore.

— Strano — proseguì Angela sorridendo, ma con un certo imbarazzo. — Mi riesce difficile chiamarlo papà, adesso che so che è tuo padre.

— Non ti ha mai parlato della base lunare? — chiese lui con una voce che risuonò fredda e lontana alle sue stesse orecchie.

— No, quando glielo chiedo cambia sempre argomento. Così ho finito col non chiederglielo più.

Alec si alzò. — Devo andare dai miei uomini. Buonanotte, Angela.

— Oh! — lei rimase zitta, sorpresa, per un momento, poi si alzò a sua volta. — Be', buonanotte, Alec. — Si voltò avviandosi di buon passo verso il fuoco.

Lui esitò, incerto se chiamarla. Ma infine s'incamminò nella direzione opposta. Contravvenendo ai suoi stessi ordini si avvolse in un telo di plastica e si sdraiò sull'erba vicino alle autoblindo, col mitra vicino. Impiegò molto tempo a prendere sonno, e quando finalmente si addormentò, sognò sua madre.

Furetto scivolò giù dal cassone e si tastò la gamba ferita. Era a posto, poteva reggersi e camminare. Il cibo che gli avevano dato gli aveva ristorato le forze, e la gamba avrebbe fatto in fretta a guarire.

Zoppicando, girò intorno all'autoblindo e vide Alec sdraiato per terra col mitra accanto. Furetto si accovacciò perché l'uomo di guardia nell'autoblindo vicina non lo vedesse, e rimase a guardare il mitra. Poteva afferrarlo e correre a nascondersi nei boschi. Non l'avrebbero mai trovato e lui avrebbe avuto una meravigliosa arma tutta sua.

Ricordò vagamente Billy-Joe e gli altri della banda che erano stati uccisi. Pensò a sua madre che gli dava da mangiare e lo cullava quand'era piccolo. Potrebbero ammazzarmi, disse fra sé. Lui poteva ammazzarmi. Ma non l'ha fatto.

La tentazione di rubare il mitra era fortissima, ma lo allettavano anche il cibo, le cure e le gentilezze che aveva ricevuto da quella gente. Resterò ancora per un po' con loro, decise. Tornò ad arrampicarsi al suo posto e si rimise a dormire.

Quando il sole lo svegliò, Alec ebbe l'impressione di aver sonnecchiato solo per pochi minuti. Dopo avere controllato con Jameson che ogni cosa fosse in ordine, si avviò tutto rigido e indolenzito verso le braci del fuoco, che già alcune donne stavano ravvivando.

— Oh, finalmente ti sei svegliato — lo salutò cordialmente Will Russo, intento a bere da una tazza fumante. — Qua — disse avvicinandosi ad Alec. — Bevi un po' di tè d'erbe. Non è particolarmente buono, ma servirà a rimetterti in sesto. Se vuoi raderti…

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