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Un uomo sulla trentina avanzata stava in piedi fra la panchina dove sedeva Alec e quella vicina. Era massiccio, biondastro e indossava la tuta rossa dei minatori.

— Non è educato intromettersi in una conversazione privata — gli fece notare Alec, mentre altri tecnici e minatori stavano sopraggiungendo.

— Oooh! — il nuovo venuto sporse le labbra. — Non è bello essere maleducati, vero? Non vogliamo che gli amichetti del piccolo, fragile scienziato possano turbarsi.

— Non gli badare — lo ammonì Lawrence posando una mano sulla spalla di Alec.

— Kobol sistemerà le cose come si deve, qui — continuò il minatore a voce alta. — Metterà al loro posto i tuoi favoriti deboli di costituzione. La comunità sarà retta dai forti! Voi teste d'uovo passate la giornata a premere i bottoni mentre noi ci rompiamo la schiena per voi. Le cose devono cambiare e cambieranno!

Facendo uno sforzo per controllarsi, Alec si alzò in piedi. — Andiamocene — disse senza scomporsi ai suoi amici. — Anche l'educazione ha dei limiti.

Ma il minatore girò intorno alla panchina e gli si piantò davanti deciso con i pugni sui fianchi. Era di tutta la testa più alto di Alec, e trasudava forza e sicurezza di sé.

— Ehi, non agitarti. Non volevo farti piangere.

Alec lo fissava con occhi di fuoco.

— Anzi — continuò ridendo il minatore — ti auguro sinceramente che il voto del Consiglio ti sia favorevole. Ne avrai bisogno. Voterei anch'io per te, se potessi, a patto che mi garantissero gli stessi benefici degli altri membri del Consiglio.

Gettò la testa all'indietro e scoppiò a ridere. Tecnici e minatori risero con lui.

Lawrence prese Alec per un braccio cercando di trascinarlo via. — Andiamo, Alec. Non vale la pena di starlo a sentire.

Ma Alec, in preda a un'ira più fredda del ghiaccio lunare, si liberò con uno strattone.

— Cosa vorresti dire? — chiese con voce talmente bassa che lui stesso la sentì appena.

— Vallo a chiedere alla mamma, bamboccio. — Minatori e tecnici sghignazzavano, e buona parte della folla si stava avvicinando per assistere alla scena.

Alec fece un passo avanti.

— Cosa ti piglia, bamboccio? Tua madre se l'è fatta con metà Consiglio, per amor tuo, perché non potrebbe farsi scopare da un paio di veri uomini?

Alec gli si avventò alla gola. L'uomo alzò le mani a proteggersi, e Alec andò a sbattergli addosso. Urtarono contro la panchina e caddero sul terreno erboso con un grido soffocato. Qualcuno degli spettatori urlò. Alec si sentì afferrare dalle braccia muscolose del minatore. Costui era robusto, agile come un gatto, ma non aveva mai trascorso qualche ora ogni giorno nella centrifuga a gravità terrestre, come faceva Alec da mesi. Alec riuscì a rialzarsi, vide che l'avversario se ne stava ancora accovacciato con le ginocchia piegate e una mano appoggiata a terra, come una scimmia. Lo guardava sorridendo, e disse: — Ho sentito dire che hai carattere, ragazzino. Vediamo quanto ti costerà.

Si alzò lentamente. Alec, immobile davanti a lui, si accorse che stavano fra le due panchine, e c'era poco spazio per muoversi. I suoi nervi e i suoi muscoli fremevano di rabbia trattenuta a stento, ma si costrinse ad aspettare.

Il minatore, grande e grosso come suo padre, gli incombeva sopra. Fece una finta sulla destra. Alec lo ignorò. L'uomo ripeté la mossa a sinistra. Alec non rispose. Infine allungò il braccio e mirò alla testa. Alec schivò il colpo, gli sferrò un calcio nel ginocchio, gli calò un violento colpo di taglio alle reni e con l'altra mano gli mollò un pugno in piena faccia. Il minatore cadde pesantemente contro la panchina col naso che sanguinava. Aveva un'espressione attonita, non sorrideva più. Si mise carponi nel tentativo di rialzarsi, ma il ginocchio offeso non lo reggeva. Cadde bocconi.

Alec girò lo sguardo sugli spettatori. — C'è qualcun altro che ha qualcosa da dire?

— Andiamo, è finita — gli disse Lawrence. — Leviamoci di qui.

Alec si lasciò guidare dai suoi amici, attraverso la calca, mentre i minatori si chinavano per soccorrere il compagno.

Raggiunto l'alloggio che Alec divideva con sua madre, tutti gli amici se ne andarono alla chetichella. Rimase solo Joanna. Bevvero un liquore che faceva parte della preziosa scorta ricavata ogni anno dagli scarti altrimenti inservibili delle fattorie idroponiche: un liquore legalmente permesso.

Joanna sedette sul divano accanto ad Alec. I mobili, tutti di pietra lunare, erano coperti da cuscini imbottiti di gommapiuma. La stanza era ampia, con due grandi schermi su una parete, due sedie e un basso tavolino davanti al divano. Le altre pareti erano adorne di quadri e i pannelli inseriti nel soffitto emanavano una morbida luce fluorescente.

— Sai — disse Joanna — secondo me il veleno di Deitz è meglio di questa roba.

— Come fai a sentire il sapore? — ribatté Alec. — Brucia la lingua. Non si sentono i sapori.

— Però è forte. — Joanna si voltò per guardarlo. Sorrise. — Non credevo che tu fossi così forte. Hai fatto fuori quel minatore come se fosse un giocattolo.

— Se passassi qualche ora al giorno nella centrifuga diventeresti forte anche tu.

— Prendi tutto sul serio, tu.

Alec non sapeva cosa rispondere. Joanna continuava a guardarlo coi suoi grandi occhi a mandorla, scuri quasi quanto quelli di sua madre.

— C'è qualcosa che t'interessa oltre alla spedizione sulla Terra? — gli chiese lei.

— M'interessano moltissime cose. Ma la spedizione ha la precedenza su tutto.

— Capisco.

— È in ballo la vita dell'intera comunità — disse lui gravemente. — Se non troviamo le sostanze fissili, finiremo per trovarci in una situazione irrimediabile.

Joanna annuì pensosa. — Per questo sei così… inaccessibile?

— Mi sto addestrando, Joanna. Affrontare la gravità terrestre è come pesare sei volte di più. Metà della gente di qui non resisterebbe, perché con la gravità lunare le ossa sono fragili. Inoltre ho seguito i corsi di tattica militare, logistica, progettazione…

— Tutte cose di cui ti occupi fin da quando eravamo bambini.

— Sì — ammise lui. — Ma ne è valsa la pena. Sai che il Consiglio ha adottato il mio progetto per la spedizione? L'ho elaborato col vecchio colonnello Dunn… Dettagli, uomini ed equipaggiamento, orari… insomma tutto, e l'hanno preferito al progetto di Kobol.

— No, non lo sapevo. È meraviglioso — ma lo disse con voce atona, come se la cosa non la interessasse.

— Ho anche studiato i vecchi nastri sulla meteorologia terrestre… le precipitazioni e i cambiamenti di temperatura. Cose di questo genere.

— Ma tu… perché lo fai? Cosa vuoi ottenere?

— Io? — ribatté lui, sorpreso. — Io voglio guidare la spedizione. — Non era solo questo, naturalmente, ma non aveva voglia di parlarne con nessuno.

— Ma perché? Qual è il motivo… personale?

Alec non rispose. Non poteva.

Joanna sbuffò e si voltò verso di lui mettendosi in ginocchio sul divano. — Alec, cosa vuoi? Perché la spedizione sulla Terra è così importante per te? Per via di tuo padre? Per quello che ha fatto? O perché vuoi consolidare la posizione di tua madre a presidente del Consiglio?… O cosa?

Lui si scostò un poco. — Non è per mia madre, né tantomeno per mio padre. Ma per me. Vado perché voglio andare.

— Perché ti piace mettere a repentaglio la vita.

— Non farne una questione personale. Non è educato.

— Alec — ribatté lei seccamente — almeno con me lascia perdere tutte quelle baggianate sull'educazione. Ci conosciamo da quando siamo nati e io voglio sapere il vero motivo per cui sei così ansioso di buttare via la tua vita. Mi fai paura.

— Sono il più adatto per quest'incarico. Nessun altro, da Kobol in giù, è alla mia altezza, sia fisicamente sia intellettualmente. Mi fa piacere attuare quello che mi hanno insegnato, mettere in pratica l'addestramento…

— È lei che ti ha addestrato — lo interruppe Joanna. — Tua madre ti ha fatto il lavaggio del cervello.

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