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Webster strinse i pugni con rabbia, finché le unghie non penetrarono nella carne.

Una maledizione, pensò Webster. Ecco quello che siamo. Una maledizione per il genere umano. La filosofia di Juwain. E i mutanti. Ma ormai erano secoli che i mutanti possedevano la filosofia di Juwain, e non l’avevano mai usata. Joe l’aveva rubata a Grant, e Grant aveva trascorso la vita intera cercando di averla indietro. Ma la sua vita era trascorsa inutilmente, perché non l’aveva mai ritrovata.

Forse, pensò Webster, cercando di consolarsi, Forse quella filosofia non era ciò che abbiamo sempre creduto. Forse, in fondo, non era la panacea universale, il rimedio di tutti i mali. Forse, addirittura, non valeva molto. Perché se avesse avuto un valore, i mutanti l’avrebbero sfruttata. O forse… era sempre un’ipotesi possibile… forse i mutanti avevano soltanto voluto far credere di possederne il segreto.

Una voce metallica si annunciò, educatamente, con un lieve colpo di tosse, e Webster sollevò lo sguardo. Un piccolo robot grigio era in piedi sulla porta.

«La chiamata, signore,» disse il robot. «La chiamata che lei stava aspettando.»

Il viso di Jenkins apparve sullo schermo… un viso vecchio, antiquato e grottesco. Non il viso liscio e umano ostentato dai robot di ultimo modello.

«Sono spiacente di disturbare il signore,» disse Jenkins. «Ma c’è qualcosa di molto insolito. Joe è venuto qui e mi ha chiesto di servirsi del nostro visifono per chiamarla. Non mi ha voluto dire che cosa desidera, signore. Dice che si tratta solo di un saluto amichevole a un vecchio vicino.»

«Fammi parlare con lui,» disse Webster.

«Si è comportato in maniera molto insolita, signore,» insisté Jenkins. «È entrato in casa e non ha fatto altro che sedersi e alzarsi e girellare qua e là, chiacchierando di cose futili, prima di chiedere di usare il visifono. Oserei dire, se il signore me lo concede, che si tratta di un comportamento assai peculiare.»

«Lo so,» disse Webster. «Joe è peculiare, sotto moltissimi aspetti.»

Il viso di Jenkins scomparve dallo schermo e fu sostituito da un altro viso… quello di Joe, il mutante. Era un viso forte con una carnagione grinzosa come cuoio, e degli occhi grigio-azzurri che scintillavano di nascosta allegria, e dei capelli che cominciavano a ingrigire sulle tempie.

«Jenkins non si fida di me, Tyler,» disse Joe, e Webster provò subito un fremito d’irritazione per l’ironia che si nascondeva dietro le parole del mutante.

«Se è per questo,» disse bruscamente, «Nemmeno io mi fido.»

Joe fece schioccare la lingua.

«Be’, Tyler, dopotutto non ti abbiamo dato nessun fastidio, neppure il minimo inconveniente. Nessuno di noi ti ha dato un solo istante di fastidio. Tu ci hai osservati e studiati e ti sei preoccupato per la nostra esistenza, tu e i tuoi amici uomini, ma noi non abbiamo fatto del male a nessuno. Hai messo tanti cani alle nostre calcagna che ormai non possiamo più voltarci senza inciampare in uno di loro, e i vostri archivi devono essere pieni di notizie che ci riguardano, e tutti voi dovete avere tanto parlato, discusso, dovete avere fatto tanti studi e tante ipotesi su di noi, che ormai dovreste averne la nausea solo a pensarci.»

«Noi vi conosciamo,» disse Webster, accigliato. «Noi sappiamo più cose sul vostro conto di quante voi stessi ne sappiate. Sappiamo quanti siete e vi conosciamo personalmente, uno per uno. Vuoi sapere quello che uno di voi stava facendo in un determinato momento, negli ultimi cento anni o giù di lì? Chiedilo a noi, e te lo diremo.»

Dalle labbra di Joe parevano colare fiumi di melassa.

«E per tutto il tempo,» disse, «Noi pensavamo a voi con affetto. Immaginavamo che, un giorno o l’altro, avremmo voluto e potuto aiutarvi.»

«Perché non lo avete fatto, allora?» disse seccamente Webster. «Eravamo disposti a lavorare con voi, fin dall’inizio. E perfino dopo che tu hai rubato a Grant la filosofia juwainiana…»

«Rubato?» domandò Joe. «Certamente, Tyler, tu devi essere stato informato male. Noi l’abbiamo presa soltanto per studiarla meglio e completarla. C’erano tanti errori, lo sai bene. Era talmente aggrovigliata che era impossibile vederci chiaro subito.»

«Probabilmente, ci hai visto chiaro il giorno dopo averci messo le mani sopra,» disse Webster, freddamente. «Che cosa stavi aspettando? Cosa stavate aspettando, tutti? Bastava che in qualsiasi momento ci aveste offerto quella filosofia… e noi avremmo saputo che eravate con noi, e che avremmo potuto lavorare con voi. Avremmo richiamato tutti i cani, vi avremmo accettati tra noi e con noi, per lavorare insieme.»

«Davvero buffo,» disse Joe. «Che a noi non sia mai importato molto di essere accettati.»

Ed ecco che ritornava l’antica ironia, l’allegria beffarda di un uomo che era autosufficiente, perfettamente autosufficiente, che vedeva l’intero tessuto della comunità umana e dell’umana comunione d’intenti e di lavoro come un oggetto di scherno, e come una cosa buffa, una beffa grande, cosmica. Un uomo che bastava a se stesso, che era solo e che amava essere solo. Un uomo che considerava strana e buffa la razza umana, strana e buffa e, probabilmente, un po’ pericolosa… ma più buffa che mai, proprio per quel poco di pericolo che si aggiungeva al divertimento. Un uomo che non sentiva bisogno della fratellanza della razza degli altri uomini, che respingeva quella fratellanza come una cosa provinciale e patetica, ancor più provinciale e patetica dei circoli culturali del ventesimo secolo.

«Va bene,» disse Webster, in tono tagliente, «Se è questo che volete. Speravo che tu avessi da proporre qualcosa… qualcosa da offrire, per aprire uno spiraglio alla conciliazione. Non ci piacciono le cose come sono adesso… preferiremmo che fossero diverse, che la situazione fosse differente. Ma la mossa tocca a voi. Noi non possiamo farci niente.»

«Andiamo, Tyler,» protestò Joe, «È inutile prenderla su questo tono, e lo sai bene. Io credevo che magari ti avrebbe interessato sapere qualcosa sulla filosofia di Juwain. Lo so, adesso ve ne siete dimenticati un po’ tutti, ma c’è stato un tempo in cui in tutto il Sistema non si parlava d’altro, pareva una frenesia generale.»

«Bene,» disse Webster, «Avanti, dimmi quello che devi dirmi.» Il tono della sua voce lasciava capire che lui sapeva che Joe non avrebbe detto niente.

«Fondamentalmente,» disse Joe, «Voi umani siete molto soli. Non avete mai conosciuto davvero i vostri simili. Per voi è impossibile conoscere il vostro vicino, perché non possedete il denominatore comune della comprensione che, solo, potrebbe permettervi di conoscerlo. Certo, avete degli amici, ma queste amicizie sono basate su semplici emozioni, e mai su una comprensione autentica. Potete andare d’accordo tra voi, certo. Ma è la tolleranza a farvi andare d’accordo, non la comprensione. Risolvete i vostri problemi con una decisione comune, con un’intesa, ma questa intesa significa soltanto una cosa… che colui il quale possiede, tra voi, la personalità più forte e la mente più decisa, riesce a battere l’opposizione dei più deboli.»

«Cosa c’entra questo con la filosofia di Juwain?»

«Be’, c’entra, eccome,» gli disse Joe. «Perché, vedi, con la filosofia di Juwain tu riesci realmente a capire.»

«Si tratta di telepatia?» domandò Webster.

«Non proprio,» disse Joe. «Noi mutanti siamo telepatici, Ma quello di cui ti parlo adesso è qualcosa di diverso. La filosofia di Juwain fornisce la capacità di percepire il punto di vista degli altri. Non ti farà essere necessariamente d’accordo con quest’altro punto di vista, ma ti permetterà di riconoscerlo. Non solo tu saprai di che cosa sta parlando il tuo interlocutore, ma anche quali sono i suoi sentimenti sull’argomento. Con la filosofia di Juwain tu vieni costretto ad accettare la validità delle idee di un altro uomo, e a riconoscere non soltanto le parole che egli dice, ma anche i pensieri che muovono le parole.»

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